CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2017, n. 8710
Licenziamento disciplinare – Violento alterco con un collega – Lesioni personali – Responsabilità del litigio – Proporzionalità della sanzione – Accertamento
Svolgimento del processo
Con sentenza dell’8 luglio 2014, la Corte d’Appello di Firenze, investita, quale giudice di rinvio, del giudizio promosso da M.A. nei confronti della E. S.p.A. confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze e accoglieva la domanda proposta con il ricorso introduttivo avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per essere passato alle vie di fatto nel corso di un violento alterco con un collega avvenuto nella cella frigorifera del reparto macelleria ed aver cagionato al medesimo lesioni personali.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non provato l’addebito contestato, in difetto di qualsiasi elemento istruttorio che consenta di attribuire all’A. la responsabilità del litigio e l’iniziativa dello sbocco violento dello stesso e, pertanto, sproporzionata la sanzione irrogata.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso l’A.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., lamenta a carico della Corte territoriale lo scostamento dal principio di diritto enunciato da questa Corte nel giudizio rescindente, a motivo della conclusione raggiunta, per cui gli elementi istruttori non avrebbero consentito “di tenere per certo che l’A. abbia dato corso alla lite” né di attribuire alla stesso “l’inizio della lite od un suo atteggiamento intimidatorio”, contrastante con il conseguito accertamento del fatto, a suo dire, indicato nella pronunzia di questa Corte, come dirimente, dato dal “consensuale passaggio alle vie di fatto”.
Il secondo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione, degli artt. 1175, 1362, 1363, 1365, 1366, 1375, 1455, 2104, 2105, 2106, e 2119 c.c., degli artt. 212, 217 e 221 del CCNL di settore, è volto ad evidenziare l’incongruità logica e giuridica del giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla ricorrenza nella specie dell’invocata giusta causa di recesso, per risultare questo inficiato dall’inesatta individuazione, quanto alla sua estensione ed alla sua reale portata, del parametro di valutazione in relazione al quale andava considerata la sussumibilità della condotta in concreto addebitata al lavoratore.
I due motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati.
A riguardo va osservato come la censurata disapplicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte in sede di giudizio rescindente sia frutto di una manipolazione del dicium di questa Corte, operata facendo riferimento ad un inciso di cui al penultimo capoverso della pag. 4 della sentenza di questa Corte, ove si legge “La Corte territoriale … onde stabilire se vi fu consensuale passaggio alle vie di fatto o difesa dall’altrui aggressione…” e non al passo della motivazione ove effettivamente questa Corte così indica l’elemento dirimente ai fini del giudizio in ordine alla ricorrenza nella specie della giusta causa di licenziamento “E’ infatti evidente che, contrariamente a quel che afferma la Corte fiorentina, l’elemento – che la Corte stessa riferisce essere sfornito di prova – relativo alle modalità con le quali ha avuto inizio il contrasto fisico tra i due lavoratori è di fondamentale importanza al fine di stabilire la ricorrenza, in concreto, degli elementi della giusta causa, in quanto, altro è passare alle vie di fatto per difendersi dall’aggressione fisica subita dall’antagonista, altro è farlo per aggredire l’altro fisicamente”.
E’ palese la differenza tra i due enunciati ed è altrettanto palese, sotto il profilo logico, come la proposizione rilevante ai nostri fini sia quella per cui l’accertamento da compiere fosse quello della riferibilità al lavoratore licenziato dell’iniziativa del passaggio alle vie di fatto e non certo quello dell’accettazione della mera possibilità che, in relazione alla situazione, quel passaggio potesse verificarsi, come presupporrebbe il riferimento alla proposizione strumentalmente richiamata dalla Società ricorrente.
A questa stregua, alcuno scostamento dal principio di diritto di cui alla sentenza di questa Corte può essere addebitato alla Corte territoriale, la cui motivazione appare pertanto immune dai vizi logici e giuridici denunciati con il secondo motivo, atteso che avendo la Corte territoriale, in difformità da quanto richiesto da questa Corte, potuto accertare solo “il consensuale passaggio alle vie di fatto” e non “di tenere per certo che l’A. abbia dato corso alla lite” né di attribuire alla stesso “l’inizio della lite od un suo atteggiamento intimidatorio”, non poteva che concludere, sotto il profilo della proporzionalità della sanzione irrogata alla condotta quale giudizialmente accertata, nel senso dell’insussistenza dell’invocata giusta causa di recesso.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 100.00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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