CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10093 del 17 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – EX DIPENDENTI IN PENSIONE – POLIZZA SANITARIA – MANCATO PAGAMENTO DEL PREMIO – RISARCIMENTO DEL DANNO
Fatto e diritto
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 19.4 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza 20.3.2014, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello della S.P.I. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che l’aveva condannata al pagamento della somma di Euro 2192,98 in relazione a quanto pagato per premi di polizza nell’anno 2008 e di Euro 5.224,96 per l’anno 2009, oltre accessori, in favore di B.M. (ex dipendente in pensione di C., incorporata dalla suddetta banca, impegnatasi a conservare i diritti relativi alla polizza sanitaria stipulata dall’incorporata con A., estesa agli ex dipendenti in quiescenza assunti fino al 30 settembre 1989, salvo non alimentarla più dall’1 settembre 1997 con pagamento del premio integrale per le spese dell’ex dipendente e parziale per quelle dei suoi familiari, provvedendo ad una corresponsione una tantum determinata unilateralmente) a titolo risarcitorio per mancato pagamento di premio della suddetta polizza, sulla premessa dell’accertamento dell’obbligo di S.P.I. di tener ferma la copertura sanitaria alle condizioni previste alla data di pensionamento con giudicato del (l’allora) Pretore del Lavoro di Torino.
A motivo della decisione, la Corte territoriale, esclusa la preclusione della domanda né per effetto dell’accettazione dell’importo forfettario riconosciuto dalla banca, né dell’adesione alla possibilità di iscrizione alla Cassa di assistenza San Paolo, riteneva l’inadempimento della banca all’obbligo accertato a suo carico dal Pretore torinese, non avendo essa provato la sua dipendenza, ai sensi degli artt. 1218 e 1381 c.c., dal fatto a sé non imputabile della terza assicuratrice (asseritamente rifiutatasi al rinnovo della polizza e neppure deducibile, in quanto coperto dal giudicato suddetto, in quel giudizio dovendo essere dedotto), nemmeno avendo dimostrato la propria assenza di colpa ed in ogni caso eventualmente precluso l’adempimento in forma specifica e non per equivalente; infondata, infine, la censura di errata liquidazione della somma dal Tribunale, correttamente comprensiva anche delle spese dei familiari, secondo la statuizione del Pretore del Lavoro di Torino, sulla base di analitici conteggi.
Per la cassazione di tale decisione I.S. s.p.a. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste B.M. con controricorso.
Con il primo motivo, la banca ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento agli artt. 2909 e 1381 c.c. e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 comma 1, nn. 3, c.p.c., per la negazione della prova del fatto decisivo del rifiuto di A. al rinnovo della polizza ex C. sulla base del giudicato del Pretore del Lavoro di Torino sull’an, tuttavia limitato all’accertamento dell’obbligo del suo mantenimento, senza altra pronuncia sulle pretese risarcitone; neppure preclusivo della prova del comportamento del terzo, cui la ricorrente non è stata ammessa, nonostante le istanze istruttorie tempestivamente dedotte: così ridondando la loro mancata ammissione nell’errore nell’applicazione di norme di diritto sostanziale e nel vizio determinante nell’iter argomentativo della decisione, dato che la prova della diligenza tenuta dall’Istituto bancario avrebbe precluso qualsiasi statuizione in ordine al risarcimento dei danni, avendo la banca erogato al B. l’indennizzo ai sensi dell’art. 1381 c.c., accettato senza riserve.
Con il secondo motivo, la banca deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c. c. e dell’art. 278 c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., attesa l’impossibilità di ritenere che dalla declaratoria pretorile dell’inadempimento dell’istituto discendesse un automatico accertamento dell’esistenza e entità del danno patito dall’ex dipendente pensionato e del nesso di causalità, non potendo tali elementi, oggetto dell’odierno giudizio, essere automaticamente tratti da giudicato pretorile sull’an, riguardante il solo inadempimento della banca.
Con il terzo, la banca deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 c.c., in riferimento all’art. 1218 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n, 3, c.p.c., per la mancata distinzione tra indennizzo, corrisposto ai sensi dell’art. 1381 c.c. a tutti gli ex dipendenti C. ed al quale è tenuto il promittente il fatto del terzo, che si sia attivato con diligenza, e risarcimento del danno, invece spettante qualora il predetto a ciò non si sia attenuto, gravando sul danneggiato l’onere probatorio quanto a concreta esistenza ed entità.
Con il quarto, la banca deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., comma 2, anche in riferimento all’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per omessa valutazione dell’espressione dall’ex dipendente, con l’accettazione senza riserve dell’indennizzo erogato, della volontà di sostituzione del precedente trattamento assicurativo con il nuovo, oggetto della scheda di adesione sottoscritta, integrante rinuncia non impugnata a norma dell’art. 2113 c.c., comma 2.
Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento agli artt. 2909 e 1381 c.c., per la negazione della mancata prova del fatto decisivo del rifiuto di A. al rinnovo della polizza ex C. dal giudicato del Pretore del Lavoro di Torino sull’an, è inammissibile. L’ inammissibilità sotto il profilo del vizio di violazione di legge discende dall’ inconfigurabilità siccome soltanto enunciato il vizio, non integrato nei requisiti suoi propri di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
Peraltro, deve ritenersi corretta I’ argomentazione della sentenza in ordine alla mancata prova della diligenza della banca, insindacabile nell’odierna sede di legittimità, dovendo il fatto del terzo essere piuttosto dedotto nel giudizio davanti al Pretore del Lavoro di Torino (con accertamento ormai coperto da giudicato) e risultando comunque inidonee al riguardo le istanze istruttorie trascritte, intese alla dimostrazione dell’inesistenza di un inadempimento della banca invece già accertato con il predetto giudicato, come già ritenuto da questa Corte (Cass. 9 dicembre 2014, n. 25876; Cass. 7 giugno 2013, n. 14474; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1414).
Il secondo motivo, relativo alla dedotta impossibilità di ritenere I’accertamento dell’esistenza e entità del danno patito dall’ex dipendente pensionato e del nesso di causalità quale conseguenza della sentenza pretorile sull’ “an”, è infondato.
Accertato, infatti, con sentenza passata in giudicato l’obbligo della banca di mantenere, in favore dell’ex dipendente e dei familiari, l’assistenza sanitaria ed incontestato il suo inadempimento all’obbligo, senza dimostrazione della sua dipendenza dal fatto del terzo, la condanna risarcitoria segue naturalmente, in dipendenza della causale degli esborsi, esattamente determinata (Cass. 7 giugno 2013, n. 14474).
Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 c.c., in riferimento all’art. 1218 c.c. e insufficiente motivazione, per mancata distinzione tra indennizzo, corrisposto ai sensi dell’art. 1381 c.c. e risarcimento del danno, è inammissibile. La censura è irrilevante, per ininfluenza della distinzione posta, avendo la Corte territoriale escluso la spettanza di un indennizzo, sulla base del citato giudicato del Pretore del Lavoro di Torino, che copre il dedotto e il deducibile, non essendo stata in quel giudizio eccepita l’impossibilità di adempiere per il fatto del terzo (Cass. 10 ottobre 2013, n. 22411).
Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., comma 2, anche in riferimento all’art. 2909 c.c., per omessa valutazione dell’espressione dall’ex dipendente, con l’accettazione senza riserve dell’indennizzo erogato, della volontà di sostituzione del precedente trattamento assicurativo con il nuovo, oggetto della scheda di adesione sottoscritta, integrante rinuncia non impugnata a norma dell’art. 2113 c.c., comma 2, è infondato. La questione non può essere dedotta, in quanto coperta dal giudicato torinese, di accertamento dell’obbligo della banca di tener ferma la copertura sanitaria alle condizioni previste alla data di pensionamento (Cass. 9 dicembre 2014, n. 25876; Cass. 7 giugno 2013, n. 14474; Cass. 31 gennaio 2012, n. 1414).
In forza delle superiori argomentazioni (argomentazioni conformi a Cass. 8594/2015 e Cass. 8530/2015, dalle quali non vi sono motivi per dissentire) si propone il rigetto del ricorso, ai sensi dell’art. 375, n. 5, c.p.c.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. Il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, 2° comma, c.p.c. di contenuto adesivo alla relazione.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto dello stesso.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.
Poiché il ricorso è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 si impone di dare atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrate o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore degli avv.ti P. e R.L..
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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