CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10544 del 20 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – APPALTO – LAVORATORE E CREDITI RETRIBUTIVI – COMMITTENTE ED APPALTATORE – RESPONSABILITA’ SOLIDALE
Fatto
Con sentenza 12 novembre 2012, la Corte d’appello di Genova rigettava l’appello proposto da Trenitalia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le opposizioni avverso i decreti con cui lo stesso Tribunale aveva ingiunto ad essa e alla datrice P.M. Ambiente s.p.a., in via solidale ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 (quale committente nel rapporto di appalto con là, seconda per i servizi e le pulizie del materiale rotabile presso le unità locali di (OMISSIS) da febbraio 2006 a febbraio 2010), il pagamento, con il primo, della somma di Euro 14.688,52 a titolo di T.f.r. e, con il secondo, della somma di Euro 911,88 per rateo di quattordicesima mensilità, ferie non godute e Rol, in favore di N.C., dipendente della società appaltatrice, nonchè la domanda nei confronti dell’Inps, chiamata in causa, di surrogazione nei diritti della lavoratrice verso il Fondo di garanzia costituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2.
In via preliminare, la Corte territoriale riteneva la titolarità passiva della committente Trenitalia s.p.a. del debito, siccome non trasferito al Fondo di Tesoreria istituito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 755 di cui illustrate le modalità di funzionamento, in base a finanziamento dei datori di lavoro secondo il principio della cd. “ripartizione”, nel senso dell’utilizzabilità delle somme da chiunque versate, non comportante tuttavia una gestione di tipo previdenziale, soggetta al principio di automaticità delle prestazioni ai sensi dell’art. 2116 c.c., indipendentemente dal versamento dei contributi datoriali, sulla cui effettività al contrario esso è fondato: con la conseguente permanenza di titolarità passiva della datrice di lavoro P.M. Ambiente s.p.a. per quanto non coperto da contributi versati e quindi della committente coobbligata solidale, in difetto di prova di effettivo versamento di contributi esaustivo dell’obbligo datoriale.
Nel merito, la Corte ligure riteneva provato il credito della lavoratrice, sulla base della scrutinata documentazione, sia per maturazione in corso di appalto sia per importo liquidato, correttamente al lordo delle ritenute fiscali per la ravvisata natura ricognitiva del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 35 conv in L. n. 248 del 2006 (poi abrogato), estensivo della responsabilità solidale stabilita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2.
Infine, essa escludeva il diritto della committente alla surrogazione nei diritti della lavoratrice nei confronti del Fondo di garanzia previsto dalla L. n. 297 del 1982, art. 2 in consapevole dissenso da recente arresto di legittimità (Cass. 25685/2011), sull’argomentato rilievo della riconducibilità della nozione di “aventi diritto” ammessi alle prestazioni del Fondo ai titolari di un effetto traslativo pieno in virtù di autonoma scelta negoziale delle parti (quale l’ipotesi di cessione del credito, oggetto dei precedenti richiamati nella motivazione del citato arresto), per cui operante la disciplina legale della surrogazione ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3 e non a chi legalmente obbligato come l’appaltante, ai sensi della L. n. 276 del 2003, art. 29 in affiancamento alla posizione debitoria dell’appaltatore, obbligato principale, a maggior garanzia della posizione del lavoratore: e ciò per la piena soddisfazione, con il pagamento dall’obbligato solidale, della ratio giustificante l’intervento del Fondo di garanzia, secondo una logica tipicamente solidaristica, che non può operare, in assenza di una specifica disposizione normativa, a beneficio del terzo committente, titolare di un proprio interesse economico alla radice dell’operazione di appalto.
Con atto notificato il 10 maggio 2013, Trenitalia s.p.a. ricorre per cassazione con sette motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resistono con distinti controricorsi Carla Novelli e l’Inps, anche controricorrente in via incidentale condizionata con unico motivo, pure illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui replica Trenitalia s.p.a. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 755 a 757, D.M. 30 gennaio 2007 e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea ripartizione dell’onere probatorio dell’attuale sussistenza dell’obbligazione di versamento dei contributi dalla società appaltatrice (ai fini dell’esclusione dell’intervento del Fondo di Tesoreria gestito dall’Inps, cui trasferito il T.f.r. mantenuto presso la società datrice dai lavoratori non optanti per forme di previdenza complementare e la conseguente responsabilità solidale della committente), a carico dei lavoratori e da questi non assolto.
Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, artt. 2094 e 2099 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea inclusione nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto, previsto soltanto per i “trattamenti retributivi”, anche del credito per T.f.r., non riconducibile a detta nozione, come comprovato dalla successiva modificazione della norma denunciata, per effetto del D.L. n. 5 del 2012, art. 21, comma 1 conv. con mod. in L. n. 35 del 2012, correttamente ritenuto non applicabile, estensivo della garanzia legale per i trattamenti retributivi “comprese le quote di trattamento di fine rapporto… in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”.
Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di idonea prova (erroneamente ravvisata nei contratto di appalto, di lavoro individuale e nella lettera di licenziamento), a carico della lavoratrice, dei fatti costitutivi del suo credito, rappresentato dal rapporto di lavoro subordinato con P.M. Ambiente s.p.a. e dal contratto di appalto di questa con Trenitalia s.p.a. nel senso del suo impiego nei lavori appaltati quale dipendente della prima per l’intera durata dell’appalto, su cui è fondata la responsabilità solidale della committente.
Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea determinazione del credito della lavoratrice nel quantum, comprensivo di importo a titolo di T.f.r. anche eccedente il periodo dell’appalto, per cui tenuta la committente.
Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2099 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea attribuzione di natura retributiva (e conseguente non corretta inclusione nella garanzia legale per i trattamenti retributivi) all’indennità per ferie maturate e non godute e ROL, aventi piuttosto natura risarcitoria.
Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 97 del 2008, art. 3, comma 8 conv. in L. n. 129 del 2008, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea quantificazione del debito al lordo delle ritenute erariali, per effetto dell’abrogazione dell’anteriore previsione del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 34 conv. in L. n. 248 del 2006, estensivo della responsabilità solidale stabilita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 anche al “versamento delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente”.
Con il settimo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, artt. 1 e 2 e art. 1203 c.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea esclusione del diritto alla surrogazione nei diritti dei lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte di legittimità in analoga fattispecie (Cass. 25685/2011).
Con unico motivo, a propria volta l’Inps deduce, in via di ricorso incidentale condizionato, violazione e falsa applicazione dell’art. 443 c.p.c., art. 148 disp. att. c.p.c. e L. n. 297 del 1982, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per l’improponibilità della domanda di intervento del Fondo di garanzia gestito dall’Inps, attesa la natura previdenziale delle sue obbligazioni di pagamento del T.f.r. e delle ultime tre mensilità (aventi radice causale, non già nel rapporto di lavoro, ma in quello assicurativo previdenziale fondato sull’accertato stato di insolvenza del datore di lavoro, sulla formazione di un titolo giudiziale e sull’esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata), nel caso, appunto ricorrente nella specie, in difetto di presentazione di domanda in via amministrativa entro i termini di legge e di insinuazione allo stato passivo del fallimento del datore di lavoro.
Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi da 755 a 757, D.M. 30 gennaio 2007 e art. 2697 c.c., per erronea ripartizione dell’onere probatorio dell’attuale sussistenza dell’obbligazione di versamento dei contributi dalla società appaltatrice, a carico dei lavoratori e da questi non assolto, è infondato.
L’onere probatorio dei lavoratori riguarda i fatti costitutivi dei loro crediti, rappresentati dal rapporto di lavoro subordinato con P.M. Ambiente s.p.a. e dal contratto di appalto di questa con Trenitalia s.p.a. nel senso del loro impiego nei lavori appaltati quali dipendenti della prima per l’intera durata dell’appalto, in quanto radicanti la responsabilità solidale della committente escussa con gli odierni giudizi. Non anche l’effettivo versamento dei contributi spettanti al datore di lavoro, a norma della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 756, seconda parte in funzione di finanziamento del Fondo di Tesoreria istituito dall’art. 1, comma 755 L. cit., secondo il principio della cd. “ripartizione” (di cui illustrate le modalità di funzionamento in particolare a pgg. 8 e 9 della sentenza): esso costituisce, infatti, fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti della loro datrice appaltatrice (e di conseguenza della committente obbligata solidale ex lege) ed è pertanto nell’onere probatorio di questa che lo opponga in eccezione (Cass. 27 giugno 2014, n. 14610; Cass. 8 giugno 2007, n. 13390).
Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, artt. 2094 e 2099 c.c., per erronea inclusione nel regime di garanzia solidale del committente nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto anche del credito per T.f.r., è inammissibile.
La questione è infatti nuova, non risultando trattata dalla sentenza impugnata, neppure avendo la ricorrente indicato specificamente, nè trascritto gli atti nei quali essa l’avrebbe posta nei gradi di merito: e ciò si riflette sulla genericità del motivo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso e pertanto della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; 11 gennaio 2007, n. 324).
Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., per difetto di idonea prova, a carico della lavoratrice, dell’impiego nei lavori oggetto dell’appalto quale dipendente di P.M. Ambiente s.p.a. per l’intera sua durata, è inammissibile.
Non si configurano, infatti, le denunciate violazioni di norme di legge, per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
In particolare, la norma prevista dall’art. 2697 c.c. regola l’onere della prova, non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 novembre 2012, n. 21234; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707). D’altro canto, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non riguarda la valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento (salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale) è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonchè l’iter seguito per addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, con apprezzamento è insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 13 luglio 2004, n. 12912): essendo piuttosto apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267).
E comunque la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito ed è censurabile, ricorrendone i presupposti, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. 20 settembre 2013, n. 21603).
In realtà, il mezzo scrutinato è teso all’essenziale censura della valutazione degli elementi di prova individuati dalla Corte territoriale: sicchè, esso è piuttosto modulato come contestazione del ragionamento argomentativo svolto, in modo corretto ed esauriente, dalla Corte territoriale (al terzo e quarto capoverso di pg. 6 della sentenza, sulla scorta di buste paga, CUD, contratto di appalto, individuale di lavoro e comunicazione di cessazione del rapporto lavorativo), così da risolversi in una sostanziale richiesta di riesame del merito, insindacabile in questa sede, spettando al giudice di legittimità, non già un nuovo esame nel merito dell’intera vicenda processuale, ma la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 marzo 2007, n. 5066).
Il quarto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 per erronea determinazione del credito della lavoratrice nel quantum, è infondato.
La ricorrente non ha, infatti, confutato, tanto meno specificamente, l’argomentata ragione di determinazione quantitativa del credito della lavoratrice, sulla base del materiale probatorio raccolto, in assenza di “specifici rilievi critici” da Trenitalia s.p.a. “circa il conteggio di spettanze formulato da N.C…. che… si fonda sui dati desumibili dalle buste paga” (primo periodo, ult. parte di pg. 7 della sentenza): sicchè, l’omessa confutazione ridonda nella genericità del motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
Il quinto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2099 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, per erronea attribuzione di natura retributiva all’indennità per ferie maturate e non godute e ROL, è inammissibile.
Anche qui si tratta di una questione nuova, non trattata dalla sentenza impugnata, nè avendo la ricorrente indicato specificamente, nè tanto meno trascritto gli atti nei quali l’avrebbe posta nei gradi di merito: e ciò si riflette sulla genericità del motivo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso e pertanto della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; 11 gennaio 2007, n. 324).
Il sesto motivo, relativo a violazione e falsa applicazione del D.L. n. 97 del 2008, art. 3, comma 8 conv. in L. n. 129 del 2008, per erronea quantificazione del debito della ricorrente al lordo delle ritenute erariali, è inammissibile.
Esso difetta di alcuna confutazione, tanto meno specifica, della ragione argomentativa della Corte territoriale, ben consapevole dell’abrogazione della norma applicata, in ragione della ritenuta natura meramente ricognitiva del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 34 conv. in L. n. 248 del 2006 (al quarto capoverso di pg. 10 della sentenza), ridondante nella genericità del motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
Il settimo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, artt. 1 e 2 e art. 1203 c.c., n. 3, per erronea esclusione dei proprio diritto alla surrogazione nei diritti dei lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, è infondato.
La posizione giuridica soggettiva della committente Trenitalia s.p.a. non è, ad avviso del collegio, riconducibile a quella dell’avente diritto beneficiario della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2 (per il quale: “E’ istituito presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto”).
Non appare, infatti, condivisibile quell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, su cui essenzialmente si fonda la censura, secondo cui “l’art. 2 non osta all’intervento del Fondo a favore del cessionario a titolo oneroso del credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al lavoratore, in quanto l’intervento è previsto in favore degli “aventi diritto” e, con tale termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c.c., si fa riferimento agli aventi causa in genere del lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto” (Cass. 1 dicembre 2011, n. 25685). Perchè un tale principio è stato tralaticiamente e acriticamente mutuato da un indirizzo in realtà formatosi sulla ben diversa ipotesi di cessione di credito, che, nell’intendere l’espressione “aventi diritto” nel medesimo significato attribuito all’identica espressione contenuta nell’art. 2122 c.c., fa appunto riferimento agli “aventi causa in genere del lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, della successione nel diritto” (Cass. 18 aprile 2008, n. 10208; Cass. 5 maggio 2008, n. 11010; Cass. 14 dicembre 2010, n. 25256).
E’ bene allora chiarire la nozione e la latitudine di una tale locuzione normativa.
Ora, è noto dai principi generali in materia di obbligazioni che avente diritto (o avente causa) sia il soggetto che acquisti a titolo derivativo, come appunto avviene nella cessione di credito (art. 1260 c.c.). Ed il concetto di avente causa ricorre ogni qual volta la posizione giuridica di un determinato soggetto sia legata da un nesso di derivazione dalla posizione giuridica di un altro soggetto, così istituendosi una relazione tra due posizioni giuridiche soggettive, basata appunto su un nesso derivativo.
Quest’ultimo può essere qualificato: dal punto di vista oggettivo, come un’unica causa (o fattispecie) capace di produrre il duplice effetto della perdita (o limitazione) per il precedente titolare e l’acquisto per il susseguente; dal punto di vista soggettivo, come riferimento al precedente titolare (autore dell’atto di attribuzione o portatore dell’interesse e termine al quale va ricondotto l’effetto).
Ove pertanto non sia configurabile un tale nesso di derivazione (non bastando la mera sostituzione di un soggetto ad un altro in una determinata posizione giuridica) neppure si prospetta una situazione giuridica soggettiva di avente diritto (o avente causa); sicchè, non è tale la condizione di chi sia titolare di un diritto acquistato in maniera autonoma, anche se tale acquisto sia, per avventura, successivo ad una perdita o ad una limitazione in una altrui sfera giuridica: dovendo una causa autonoma di acquisto essere considerata a titolo originario e non già derivativo.
Ebbene, nella fattispecie in esame, il committente solidalmente responsabile con il proprio appaltatore, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 (che recita: “In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”), non trae la propria posizione in via derivata da un dante causa (nel caso di specie: il lavoratore) come invece il cessionario del suo credito, ma presta una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del lavoratore, adempiendo alla quale assolve ad un’obbligazione propria, istituita ex lege, che lo legittima, come nei rapporti tra condebitori solidali, ad un’azione di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c. nei confronti dell’appaltatore, obbligato principale.
E nei suoi confronti, quando si renda inadempiente, il medesimo committente può agire anche in surrogazione dei diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3, in base al diverso titolo del rapporto di appalto assistito dal particolare obbligo di garanzia legale, posto che: “Ai fini dell’operatività della surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, non è necessario nè che il surrogante sia tenuto al pagamento del debito in base allo stesso titolo del debitore surrogato, nè che egli sia direttamente obbligato nei confronti dell’accipiens, richiedendo la norma soltanto che il surrogante abbia un interesse giuridicamente qualificato alla estinzione dell’obbligazione” (Cass. 16 dicembre 2013, n. 28061).
Ed è per tale ragione che Trenitalia s.p.a. non può essere qualificata ad alcun titolo avente diritto del lavoratore, il quale riceve la propria garanzia attraverso il meccanismo predisposto dalla speciale normativa in materia di appalto, così essendo soddisfatto del proprio credito. E per effetto di ciò, vengono meno, per la parte così soddisfatta, i presupposti di applicabilità del Fondo di Garanzia gestito dall’Inps, avendo l’adempimento del committente, obbligato solidale dell’appaltatore datore di lavoro, rimediato alla sua insolvenza, in virtù della garanzia istituita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 a carico del committente. Sicchè, quest’ultimo non può sicuramente accedere, sulla base di un titolo autonomo, per la ragione detta, e pertanto non di derivazione diretta da quello del lavoratore (quale appunto suo “avente diritto”), a detto Fondo.
La ritenuta infondatezza del motivo scrutinato assorbe l’esame dell’unico motivo incidentale condizionato, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 443 c.p.c., art. 148 disp. att. c.p.c. e L. n. 297 del 1982, art. 2 per improponibilità della domanda di intervento del Fondo di garanzia gestito dall’Inps, attesa la natura previdenziale delle sue obbligazioni di pagamento del T.f.r. e delle ultime tre mensilità, nel caso di mancata presentazione della domanda in via amministrativa entro i termini di legge e di insinuazione allo stato passivo del fallimento del datore di lavoro.
Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato;
condanna Trenitalia s.p.a. alla rifusione, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per compensi professionale, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% (per la sola N.) e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
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