TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE per la Toscana sezione 1 sentenza n. 1339 del 3 novembre 2017
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – EQUO INDENNIZZO – IMPIEGO PUBBLICO – ASSISTENTE CAPO DEL CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA – ONERE DELLA PROVA
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso notificato al Ministero della Giustizia e a quello dell’Economia e delle Finanze, il ricorrente, Assistente Capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, ha impugnato i provvedimenti specificati in epigrafe, con cui gli è stato negato il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per due patologie discali riguardanti la colonna vertebrale nei tratti lombo sacrale e cervicale, chiedendone l’annullamento.
In particolare, il dipendente contesta i giudizi medico-legali con cui è stato decretato, rispettivamente: A) “L’infermità ‘Spondilodiscoartrosi lombare con protusioni discali multiple e focalità erniaria in L4-L5″, non è dipendente da causa di servizio”; B) “L’infermità ‘Spondilodiscoartrosi cervicale con discopatie’ non è dipendente da causa di servizio”.
2. – L’interessato deduce un unico, articolato motivo di eccesso di potere sotto svariati profili (difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità, erroneità, ecc.).
Al riguardo, si lamenta che il CVCS ha respinto l’istanza del ricorrente ritenendo che la patologia fosse “dovuta a fatti dismetabolico-degenerativi a livello delle articolazioni intervertebrali associate ad usura dei dischi cartilaginei intervertebrali. I processi artrosici sono da considerarsi prevalentemente sintomo del fisiologico invecchiamento, talvolta precoce, delle strutture articolari”.
3. – Osserva, in contrario, il dipendente che le domande di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio risultano presentate dal ricorrente, nato il (omissis), in data (omissis) ed in data (omissis), ovvero all’età di anni quarantatre e quarantaquattro. Alla luce di questo mero dato temporale sarebbe evidente che nessuna incidenza poteva attribuirsi all’età nell’insorgenza di queste particolari patologie.
4. – Il Comitato, inoltre, non avrebbe esaminato e valutato le circostanze per cui il Sig. C. ha svolto servizio di sentinella con postura eretta per otto ore al giorno per circa 5/6 anni, in località soggette a forti escursioni termiche, svolgendo una media di 5/6 notti al mese. Inoltre, che il dipendente era stato impegnato in servizio di traduzioni per lunghe tratte e per 8/10/12 ore al giorno, viaggiando per circa due anni di automezzi con oltre dieci anni di vita, privi di adeguato sistema di ammortizzatori, percorrendo in due anni una media di 200.000 chilometri su automezzi della Polizia Penitenziaria.
5. – Lo stesso Comitato avrebbe altresì omesso di considerare che lo stesso C. era stato impegnato nelle aule di tribunale per circa due anni, con una media di impiego di 8/10/12 ore al giorno con postura eretta, nella sorveglianza dei detenuti. Non sono stati tenuti in analisi lo svolgimento dei servizi armati di scorta alla persona con indosso 8/10/12 ore al giorno giubbotto antiproiettile e casco antiproiettile nei circa due anni trascorsi al nucleo traduzioni piantonamenti e scorte né le mansioni di sollevamento e trasporto, attraverso rampe di scale, di ceste colme di prodotti alimentari e confezioni di acqua minerale da sei bottiglie cadauna destinate ai detenuti.
6. – Con memoria depositata in data 9-6-2017 sono state ribadite le censure mosse con il ricorso senza aggiungere alcunché di significativo ed insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Si sono costituite le amministrazioni intimate con comparsa formale.
Alla pubblica udienza del 12 luglio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
7. – Al fine del decidere vale ricordare che con ord.za n. 579/2016 emessa a seguito della c.c. del 9-11-2016 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare ampiamente motivando nel modo che segue.
Considerato che il ricorso, tendente all’ottenimento dell’equo indennizzo, non appare assistito da sufficienti elementi di fumus in quanto:
a) le mansioni come descritte dallo stesso ricorrente a pag. 3 del ricorso non appaiono travalicare quelle ordinariamente, variegatamente e complessivamente richieste ad un qualsiasi agente di Polizia Penitenziaria; sicché, nella specie appare applicabile la consolidata giurisprudenza, anche di questo TAR, secondo la quale il dipendente che richieda l’equo indennizzo deve fornire la prova rigorosa che le sue condizioni di lavoro siano state particolarmente devianti – sotto il profilo dello stress e della fatica – rispetto a quelle normalmente richieste ad un qualsiasi altro appartenente alla medesima categoria professionale (per tutte: TAR Toscana, sez. I, 25/02/2016 n. 335); si tratta infatti di mansioni proprie di un qualsiasi appartenente al Corpo di polizia penitenziaria: servizio di sentinella “per otto ore al giorno per circa 5/6 anni, in località soggette a forti escursioni termiche, con una media di 5/6 notti al mese, servizio di traduzioni detenuti per lunghe tratte e per “8/10/12 ore al giorno”, viaggiando per circa due anni su automezzi vetusti, impegno nelle aule di tribunale per circa due anni nella sorveglianza dei detenuti, servizi armati di scorta alla persona con indosso “8/10/12 ore” al giorno giubbotto antiproiettile e casco antiproiettile per circa due anni, sollevamento e trasporto attraverso rampe di scale di ceste con prodotti alimentari e confezioni di acqua minerale destinate ai detenuti;
b) il parere del CVCS appare, nella specie, congruamente motivato sia con riguardo al processo eziopatogenico dell’infermità “spondiloartrosi con discopatie”, sia con riferimento alle condizioni di servizio, ripetesi non rivelanti né dimostranti particolari, ripetute e prolungate deviazioni dalle complessive, plurime ordinarie mansioni proprie della qualifica di appartenenza;
c) per altrettanto costante e nota giurisprudenza il parere del CVCS assorbe e prevale su qualsiasi altro parere circa la dipendenza da causa di servizio espresso da altri organi collegiali come la CMO e a maggior ragione su consulenze medico-legali di singoli professionisti di parte;
d) in ogni caso il danno grave ed irreparabile non sta certo nel diniego di un indennizzo patrimoniale, che non fa venir meno altri strumenti di tutela medica e fisioterapica contro la patologia lamentata dal ricorrente;
Considerato altresì che le spese della presente fase cautelare seguono necessariamente la soccombenza (artt. 26 e 57 c.p.a.): …”.
8. – Vale, ancora, osservare che con articolata memoria depositata in data 9 giugno 2017 parte ricorrente, nel contestare le eccezioni di merito e le richieste pregiudiziali di estromissione del CVCS formulate dall’Avvocatura dello Stato, ha insistito sui profili di difetto di motivazione e di istruttoria già sollevati con il ricorso, senza peraltro contestare le motivazioni della riportata ordinanza cautelare.
9. – Ritiene il Collegio di dover confermare l’impianto motivazionale della ricordata ordinanza, il quale, come pure ivi ricordato, è suffragato dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, anzitutto di questo TAR, in materia di onere probatorio dell’esistenza di uno specifico nesso di causalità tra infermità e condizioni di lavoro.
10. – Per quanto riguarda il profilo del nesso di causalità che deve intercorrere tra la patologia denunciata dal dipendente e l’attività di servizio in concreo espletata, i precedenti su tale punto fanno registrare acquisizioni ormai consolidate, nel senso che si va sinteticamente ad illustrare.
10.1 – Nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi palesemente eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, particolarmente gravosi per intensità e durata, tali da costituire, secondo un criterio di prevalenza qualitativa, quantitativa e temporale – prevalenza da considerare rispetto alla gamma variegata del complesso delle prestazioni normalmente e naturalmente connesse al profilo professionale posseduto dal dipendente – uno specifico fattore di rischio invalidante; fatti ed eventi che vanno necessariamente indicati, documentati e provati in giudizio dal richiedente il beneficio in parola. Dal concetto di causalità, quindi, vanno escluse le circostanze e le condizioni connaturali e coerenti con la qualifica posseduta e le relative mansioni, quali sono gli inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario (e non specifico) naturalmente connesso allo status di appartenente alle Forze Armate o di Polizia; status il quale richiede, necessariamente, tipologie di prestazioni lavorative normalmente più impegnative rispetto ad altre categorie di pubblici dipendente (cfr. art. 19 della L. n. 183/2010, che ha conferito numerose deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, ecc.).
10.2 – Da quanto sopra esposto consegue che in mancanza di un’adeguata dimostrazione di specifiche, circostanziate, prolungate e particolarmente gravose condizioni di impiego, idonee ad evocare in via diretta – per la loro specifica, prolungata e significativa anomalia rispetto al pur gravoso quadro prestazionale ordinariamente connesso allo status posseduto – un collegamento qualificato con le infermità denunciate, sì da assurgere a fattore (con)causale delle stesse, le censure di eccesso di potere rivolte all’operato della CVCS sono da intendere prive di fondamento.
10.3 – In altri, più espliciti ed esemplificativi, termini, se un agente di polizia penitenziaria lamenti di avere svolto, nell’arco della sua carriera, le molteplici e pur gravose prestazioni richiedibili ad un qualsiasi appartenente a tale Forza dell’ordine, senza che nessuna di quelle prestazioni prevalga, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporali – usando la terminologia delle norme lavoristiche in materia di mansioni superiori – ovvero, ciò che è lo stesso, in mancanza di un’adeguata dimostrazione di specifiche, circostanziate, prolungate e particolarmente gravose condizioni di impiego (per usare un linguaggio ricorrente nei pareri del CVCS), il parere negativo dello stesso organo tecnico medico-legale resta immune da censure di illegittimità sotto i molteplici profili di eccesso di potere.
11. – Le predette considerazioni trovano, come detto, puntuale riscontro nelle ormai consolidate acquisizioni della giurisprudenza, in primis di questo Tribunale: T.A.R. Toscana Sez. I, 22/12/2016, n. 1840; idem sent. n. 1732/2016; idem, n. 881/2015 su ricorso NRG 1763/2009; idem, 06/07/2015, n. 1007. Si vedano anche, in senso del tutto conforme: T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 20-06-2017, n. 3349; T.A.R. Puglia Bari Sez. II, 27-06-2017, n. 735; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 28/01/2017, n. 54. Cfr. anche T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 02/11/2016, n. 10820, sub p. 4 motivazione.
12. – In definitiva, poiché le mansioni svolte dal ricorrente, come da lui stesso indicate in ricorso e riportate sopra sub pp. 3 e 4, rientrano in quelle tipiche e normali per un qualsiasi appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria, senza alcun profilo di specifica e particolare gravosità che valga a differenziare la condizione lavorativa del singolo rispetto a quella degli altri colleghi, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle spese anche per la fase di merito.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese ed onorari della fase di merito, che liquida, in favore delle amministrazioni costituite, in complessivi euro ottocento.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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