CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 febbraio 2018, n. 4578
Accertamento – Riscossione – Intimazioni di pagamento – Notificazione – Cartelle di pagamento
Fatti di causa
R.S. impugnava innanzi alla CTP di Pisa nove avvisi di mora notificatigli, in data 6 maggio 2008, da Equitalia Get per un importo complessivo di euro 74.378, 83, oltre sanzioni ed interessi, deducendo la prescrizione del credito alla riscossione. Il contribuente faceva, altresì, presente che, nella stessa data del 6 maggio 2008, gli erano state notificate n. 29 intimazioni di pagamento, recanti l’importo complessivo di euro 180.926,89. L’Agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio, deduceva l’inammissibilità del ricorso con riguardo alle intimazioni di pagamento, in quanto gli estremi di tali atti non erano stati indicati nel ricorso ed il contribuente non aveva contestato di aver ricevuto le cartelle esattoriali da cui erano scaturiti gli avvisi di mora e le intimazioni, ove erano espressamente indicati il numero e la data di notifica delle cartelle stesse.
Si costituiva Equitalia Cerit S.p.A., deducendo che le cartelle di pagamento erano state tutte notificate al contribuente e dallo stesso non impugnate. La CTP accoglieva il ricorso.
L’Agenzia delle entrate spiegava appello che veniva rigettato dalla CTR della Toscana, in ragione della mancanza di prova della notifica delle cartelle esattoriali, presupposto logico giuridico degli avvisi di mora e delle successive intimazioni di pagamento.
Propone ricorso per la cassazione della sentenza Equitalia Cerit s.p.a., affidandolo a due motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso, proponendo ricorso incidentale con quattro motivi di doglianza. R.S. ha resistito con controricorso al ricorso principale ed al ricorso incidentale dall’Agenzia delle entrate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso principale Equitalia Cerit S.p.a. censura la sentenza impugnata denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Parte ricorrente lamenta che nel caso di specie il contribuente aveva elencato solo gli avvisi di mora notificati in data 6.5.2009, mentre aveva genericamente riferito di ventinove avvisi di intimazione notificatigli nella stessa data e dei quali non ne aveva indicato il numero identificativo. Si rileva, altresì, che la sentenza impugnata non avrebbe trattato tale eccezione omettendo così di pronunciarsi su una questione preliminare sollevata sia dall’Agenzia delle entrate che da Equitalia Cerit S.p.a.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale, Equitalia Cerit S.p.a. censura la sentenza impugnata denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che la materia del contendere andava circoscritta all’esame delle doglianze formulate dal contribuente, mentre, nella specie, la CTR avrebbe emesso una pronuncia per mancata prova dell’avvenuta notifica delle cartelle, con ciò andando oltre l’oggetto del giudizio delimitato dal ricorso introduttivo, non pronunciandosi sull’unica eccezione di prescrizione sollevata dal ricorrente.
3. Il ricorso principale è inammissibile per totale carenza di autosufficienza, in violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., mancando: “la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda”. Il principio di autosufficienza del ricorso deve essere inteso come un corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto l’esame diretto degli atti e dei documenti è circoscritto a quelli che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cass. n. 896 del 2014). Se è vero, infatti, che parte ricorrente non è tenuta, in ragione della indisponibilità del fascicolo di parte, che resta acquisito, ex art. 25, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, al fascicolo d’ufficio del processo svoltosi davanti alla Commissione Tributaria, ad un nuovo onere di produzione documentale (Cass. civ. S.U., 3 novembre 2011, n. 22726), risultando all’uopo sufficiente la richiesta di trasmissione, ex art. 369, comma 3, c.p.c., del fascicolo alla segreteria della CTR, nondimeno ciò non esonera la parte stessa dal diverso onere previsto, a pena di inammissibilità, dal menzionato art. 366, n. 6, c.p.c., che richiede, come si è visto: “la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso di fonda”, con l’indicazione dei dati necessari alla individuazione della loro collocazione quanto al momento della loro produzione nei gradi di merito (in tal senso cfr. Cass. n. 22726 del 2011; Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 21686 del 2010; Cass. n. 303 del 2010), ossia in relazione alla sede in cui gli atti stessi sono rinvenibili, fascicolo di parte o d’ufficio (Cass. n. 16900 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014), e quindi anche dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le varie eccezioni e domande sono state proposte ( Cass. n. 5344 del 2013), onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013), e la ritualità, la tempestività e, in secondo luogo la decisività (Cass. n. 5344 del 2013). Onere processuale a cui non si è ottemperato.
4. Con il primo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata denunciando violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., anche in combinato disposto con l’art. 18 del d.lgs. n. 546 del 1992, e conseguente nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. atteso che la CTR, fraintendendo la censura proposta dall’Ufficio, il quale aveva fatto rilevare che la parte non aveva mai contestato di non aver ricevuto le cartelle esattoriali da cui scaturivano gli avvisi di mora e le intimazioni di pagamento, si sarebbe limitata ad affermare che quanto sostenuto dall’Ufficio, e cioè che l’indicazione sugli avvisi di mora e sulle intimazioni di pagamento del numero e della data di notifica delle cartelle faceva presumere l’avvenuta notificazione delle stesse cartelle, non poteva essere condiviso.
4.1. Il motivo è inammissibilmente formulato.
Nella specie, l’omessa pronuncia da parte del giudice del merito non integra un difetto di attività che può essere fatta valere attraverso la deduzione di un “error in procedendo”, ma consiste, nella sostanza, in un vizio di motivazione della sentenza impugnata che si sarebbe dovuto denunciare ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., giacché le censure illustrate nel motivo chiaramente presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo non corretto, senza giustificare o non giustificando adeguatamente la \ decisione resa (Cass. n. 329 del 2016). La parte ricorrente lamenta che la CTR avrebbe frainteso la censura proposta dall’Ufficio, affermando non correttamente che quanto dedotto da Equitalia Gerit S.p.a. e dall’Agenzia delle entrate secondo cui l’indicazione sugli avvisi di mora e sulle intimazioni di pagamento del numero delle cartelle esattoriali e delle date della loro notifica, che doveva far presupporre l’avvenuta notifica, non aveva alcun pregio giuridico.
5. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata denunciando la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., atteso che dal tenore letterale del ricorso introduttivo si evincerebbe chiaramente che il contribuente, pur dando atto dell’avvenuta notifica, in data 6.5.2008, di n. 29 intimazioni di pagamento e, pur avendo chiesto, nelle conclusioni, l’annullamento delle intimazioni di pagamento, non aveva indicato gli estremi identificativi di tali intimazioni. Tale circostanza, pur essendo stata eccepita dall’Ufficio, non sarebbe stata oggetto di pronuncia da parte della CTR, incorrendo così nel vizio di omessa pronuncia.
6. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 18, commi 2 lett. d) e 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Deduce parte ricorrente che ove si ritenesse che la CTR avesse implicitamente rigettato l’eccezione trascritta al punto n. 2.4 del precedente motivo, non potrebbe negarsi la sussistenza del vizio denunciato. Dalla trascrizione del ricorso introduttivo emergerebbe chiaramente che non erano state in alcun modo indicate le intimazioni di pagamento, di cui il contribuente chiedeva l’annullamento.
7. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso incidentale vanno esaminati congiuntamente, per ragioni di connessione logica.
Le censure non hanno pregio, alla luce del principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui ad integrare il vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione della eccezione che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio non ricorre, come nella specie, quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti implicitamente il rigetto pur in mancanza di una specifica argomentazione (Cass. n. 7841 del 2014; Cass. n. 10636 del 2007; Cass. n. 4972 del 2003). Emerge chiaramente il rigetto implicito delle eccezioni formulate dall’Ufficio, tenuto conto che il contribuente non aveva proposto ricorso avverso le intimazioni di pagamento, come è dato evincere dal controricorso, in cui chiaramente si precisa che l’impugnazione riguardava solo i n. 9 avvisi di mora, e dalla intestazione della sentenza della CTR della Toscana, n. 89/24/2010, che nella voce “atti impugnati” si fa riferimento solo agli avvisi di mora.
8. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata denunciando la violazione dell’art. 102 c.p.c. e conseguente nullità del procedimento e della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. posto che già nel ricorso introduttivo, l’Ufficio aveva posto in evidenza che non tutti i tributi a cui si riferivano gli atti impugnati erano di propria competenza. L’assunto veniva ribadito in sede di ricorso in appello, con la conseguenza che, avendo il contribuente eccepito il venire meno delle pretese fiscali per prescrizione, l’ente impositore era litisconsorte necessario nel giudizio.
8.1. Il motivo è infondato. In tema di contenzioso tributario, il contribuente qualora impugni un avviso di mora emesso dall’agente della riscossione deducendo la mancata notifica dei prodromici atti impositivi, può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, costituendo l’omessa notifica dell’atto presupposto un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo ed essendo rimessa all’agente della riscossione la facoltà di chiamare in giudizio l’ente impositore (in tema di cartella di pagamento (v. Cass. n. 10528 del 2017; Cass. n. 1532 del 2012).
9. Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno rigettati. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale e condanna, in solido, entrambi i soccombenti al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 5.600,00, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
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