CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 marzo 2018, n. 7717
Importo differenziale per ciascuna mensilità di retribuzione – Violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro – Interpretazione della disciplina contrattuale
Rilevato
che la Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 16 gennaio 2013, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la I. S. Spa alla corresponsione in favore di A. Di C. e C. F. dell’importo differenziale pari ad euro 30,09 per ciascuna mensilità di retribuzione dovuta nel periodo 1° settembre 2006 – 31 dicembre 2007, oltre accessori e spese;
che la Corte territoriale, interpretando l’art. 22 del CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia del 25 maggio 2001, ha ritenuto che il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni ivi descritto – definito dalle parti sociali come incremento automatico biennale> senza distinguere fra coloro che sono stati assunti prima o dopo il 1° giugno 2001 – operi per questi ultimi, salvo un periodo di <neutralizzazione> di tre anni, a partire dal quarto anno con cadenza biennale;
che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società in liquidazione con due motivi, cui non hanno resistito gli intimati;
Considerato
che il primo motivo del ricorso denuncia “violazione o falsa applicazione dell’art. 22 del CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti attività di pulizia e servizi integrati/multiservizi del 25.5.2001, nonché dell’art. 22 del successivo CCNL del medesimo settore stipulato il 19.12.2007; violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 1° e 2° co. e 1363 c.c.”;
che la censura è ammissibile in quanto la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. n. 6335 del 2014; conf. Cass. n. 26738 del 2014);
che il motivo è tuttavia infondato in quanto va condivisa l’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva operata dalla Corte territoriale in base alla quale il tenore letterale dell’art. 22 in contesa, secondo cui “a partire dal 4° anno di anzianità … essi (ndr. riferito agli <incrementi automatici biennali>) saranno corrisposti secondo gli importi previsti dalla tabella allegata al presente c.c.n.I.”, non può significare, come patrocinato dalla società, che, trascorso il periodo triennale di sospensione degli aumenti per gli assunti dopo il 1° giugno 2001, detti incrementi si cristallizzerebbero per tutta la durata di vigenza del contratto collettivo;
che infatti l’esegesi proposta dalla società collide con il dato letterale che configura gli emolumenti in discorso come “incrementi … biennali” e che manifesta la comune intenzione delle parti sociali di far riprendere il decorso del tempo per lo scatto per ogni biennio successivo alla prima fase di neutralizzazione;
che il secondo mezzo, con cui si denuncia “omesso esame del parere del 20 maggio 2005 a firma del direttore della FISE in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, risulta inammissibile in quanto, oltre a fondarsi su di un presupposto insussistente (atteso che la sentenza gravata alla pag. 8 prende in considerazione la nota FISE, a cui non attribuisce rilievo perché promanante “da una delle parti sociali”), censura come fatto decisivo una circostanza che tale non è, ben oltre i limiti imposto dall’art. 360 c.p.c., co. 1, n. 5, novellato, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
che dunque il ricorso va respinto; nulla va disposto per le spese in difetto di attività difensiva degli intimati;
che occorre tuttavia dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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