Corte di Cassazione sentenza n. 9904 depositata il 20 giugno 2003
pignorabilità – limite – compensazione
Fatto
Con ricorso del14 luglio 1993 al Pretore di Venezia la s.p.a.
Banco di Napoli proponeva opposizione contro un decreto ingiuntivo emesso a favore di Attilio Mario Lagalante ed avente ad oggetto somme dovute per effetto di un rapporto di lavoro subordinato. L’opponente non negava il debito ma deduceva in compensazione un maggior credito per risarcimento di danni arrecati dal Lagalante con numerosi atti asseritamente illeciti e commessi nell’esercizio delle mansioni di preposto all’agenzia n. 2 della suddetta città.
Costituitosi l’opposto, il Pretore rigettava l’opposizione ma accoglieva la domanda riconvenzionale e compensava i crediti fino a concorrenza del minor importo con decisione del 22 luglio 1998, in parte riformata, su appello del Lagalante, con sentenza del 17 dicembre 1999 dal Tribunale, il quale riteneva che i crediti fossero compensabili soltanto nei limiti di un quinto della somma dovuta al lavoratore (un trattamento di fine rapporto), stante il divieto risultante dagli artt. 1246 cod. civ. e 545, quarto comma, cod. proc. civ.. Era vero infatti che tali divieti non operavano, in linea di principio, quando, come nella specie, si trattasse non di compensazione in senso tecnico ma di mero calcolo di dare – avere; era però altrettanto vero che l’art. 64 del vigente contratto collettivo per le aziende di credito escludeva la detta ed illimitata compensazione atecnica, salvi specifici accordi individuali, nella specie non risultanti. Tornava perciò a valere il limite posto dagli artt. 545 e 1246 citt..
Contro questa sentenza ricorre per cassazione la s.p.a. Banco di Napoli, mentre l’intimato Lagalante non si è costituito.
Memoria della ricorrente.
Diritto
Motivi della decisione
Con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1241, 1242, 1243, 1246, 1252, 1322, 1362, 1372 cod. civ. con riferimento al contratto collettivo per le aziende di credito del 22 novembre 1990, e degli artt. 420, 437, 545 cod. proc. civ. nonché vizi di motivazione.
Delle diverse censure in cui si articola il motivo dev’essere presa in considerazione anzitutto, per ragioni di buon ordine espositivo, quella in cui la ricorrente, dopo aver constatato che la sentenza impugnata ha ritenuto operanti nella specie i limiti alla compensabilità dei crediti, previsti negli artt. 545 cod. proc. civ. e 1246 cod. civ., in forza dell’art. 64 c.c.n.l. cit., riporta il testo di tale clausola contrattuale, ritenuta decisiva dal Tribunale, ed osserva come dovesse essere applicata solo nel caso di licenziamento in tronco e non in quello, ricorrente in concreto, di cessazione del rapporto per dimissioni del prestatore di lavoro.
La censura è fondata.
A norma dell’art. 1246, n. 3, cod. civ. la compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell’uno o dell’altro debito, eccettuato il caso “di credito dichiarato impignorabile”.
L’art. 545, n. 3, cod. proc. civ. pone poi fra i crediti limitatamente pignorabili “le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego” e precisa nel successivo n. 4 che “tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto… per ogni credito”.
Queste norme pongono dunque il limite di un quinto alla compensabilità dei crediti di lavoro. Limite che però questa Corte ha precisato non dover valere quando i contrapposti crediti abbiano origine da un unico rapporto, si che la valutazione delle singole pretese importi solo un accertamento contabile di dare ed avere e non una compensazione in senso tecnico. Non vale perciò il detto limite quando il datore di lavoro voglia compensare il credito risarcitorio per danni da prestazione lavorativa non diligente col credito retributivo vantato dal prestatore (Cass. 5 maggio 1995 n. 5873).
Il limite normativo in questione torna tuttavia ad operare, anche nel caso di compensazione atecnica ossia di mero calcolo dare – avere, quando una clausola di contratto collettivo lo permetta, salvi restando sempre i diversi accordi individuali (Cass. 4 luglio 1997 n. 6033).
Questa ipotesi si è verificata in concreto secondo la sentenza qui impugnata, che ha ravvisato la detta clausola nel c.c.n.l. del 1990 ed ha constatato l’assenza di un contrario accordo individuale.
Tuttavia il Tribunale non ha riportato nè ha dato conto neppur sommariamente del contenuto della clausola, e di conseguenza non ha verificato la riconducibilità ad essa del caso di specie, in cui trattavasi di risoluzione del rapporto di lavoro da “domanda per esodo anticipato” (pag. III della sentenza) e di accordo transattivo con reciproche concessioni (aliquid datum, aliquid retentum) (pag. VII), e non di licenziamento.
La sentenza è anzi motivata col richiamo di un precedente (Cass. n. 6033 del 1997 cit.) reso con riferimento ad un contratto collettivo diverso, del 1977.
La carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia comporta la cassazione della sentenza ed il rinvio ad altro collegio di merito, che si designa nella Corte di Trieste e che riporterà il contenuto dell’art. 64 cit., procedendo ad nuova interpretazione e verificandone l’applicabilità al caso di specie, ossia di dimissioni con accordo patrimoniale transattivo.
Parimenti fondata è la censura, formulata ancora dalla ricorrente, contro la sentenza del Tribunale, nella parte in cui esclude la compensabilità del credito della datrice di lavoro, contestato e perciò non liquido. A norma dell’art. 1243, secondo comma, cod. civ., se il debito opposto in compensazione non è liquido ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare la compensazione fra la parte del debito che riconosce esistente e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all’accertamento del credito opposto in compensazione.
Questa Corte ha poi precisato che alla facile e pronta liquidazione non osta la semplice contestazione del credito, occorrendo che questa comporti una lunga istruttoria (Cass. 7 luglio 1971 n. 2128, 7 febbraio 1995 n. 1394) o addirittura un separato giudizio (Cass. 25 febbraio 1995 n. 2176).
In ogni caso è necessario un congruo esame dei crediti ed un’adeguata motivazione, che nel caso qui in esame è mancata. Vi provvederà il giudice di rinvio, che deciderà anche in ordine alle spese processuali.
Le altre censure del ricorrente rimangono assorbite.
PQM
La Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio alla Corte d’appello di Trieste, anche per e spese processuali.
Così deciso in Roma il 21 gennaio 2003.
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