CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 settembre 2022, n. 28351

Rapporto di lavoro – Risoluzione anticipata -Incentivo all’esodo – Indebita trattenuta operata dal datore – Natura retributiva del credito – Prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5) c.c.

Fatti di causa

1. Con ricorso depositato il 2.2.2016, D.M.A. assumeva:

a) che in data 30.9.2005, presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Napoli, alla presenza del legale rappresentante di T. s.p.a., si procedeva alla risoluzione del rapporto di lavoro tra esso ricorrente e la società resistente per mutuo consenso; b) che la società resistente offriva al lavoratore, a titolo di incentivo, per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro, la somma di € 38.845,00; c) che su tale somma veniva operata la trattenuta IRPEF pari ad € 9.312,02; d) che nell’erogazione dell’incentivo concordato, la società resistente ometteva di applicare la ritenuta agevolata IRPEF, pari al 50%, in virtù di quanto disposto dall’art. 17, comma IV-bis, del d.P.R. n. 917/1986; e) che ad esso ricorrente spettava, in considerazione di ciò, la somma di € 4.656,01, corrispondente alla metà dell’imposizione fiscale non dovuta. Chiedeva, pertanto, all’adito Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del lavoro, che venisse accertato e dichiarato l’avvenuto inadempimento contrattuale di T. s.p.a. nell’applicazione della tassazione IRPEF sulla somma data a titolo di incentivo all’esodo e che, conseguentemente, la stessa società fosse condannata al pagamento della somma di € 4.656,01, a titolo di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, con vittoria di spese.

2. Si costituiva regolarmente in giudizio T. s.p.a., la quale eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l’avvenuta prescrizione del credito invocato; nel merito, deduceva l’infondatezza del ricorso – per avere essa applicato correttamente la trattenuta di cui sopra – e ne chiedeva il rigetto, con il favore delle spese.

3. Con sentenza pubblicata il 26.1.2017, il Tribunale di Salerno, ritenendo sussistente la giurisdizione del giudice ordinario (sul presupposto che il rapporto tra sostituto e sostituito d’imposta, benché traesse origine da ragioni fiscali, rappresentava un rapporto di diritto privato), ma, nel merito, reputando infondata la pretesa attorea per intervenuta prescrizione quinquennale del credito, rigettava il ricorso del D.M. e compensava le spese di giudizio.

4. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Salerno rigettava l’appello che il D.M. aveva proposto contro la sentenza di primo grado e di nuovo dichiarava interamente compensate tra le parti le spese dell’ulteriore grado.

5. Avverso la sentenza di secondo grado D.M.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

6. Ha resistito l’intimata T. s.p.a, con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, a mezzo di tre motivi.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, il D.M. denuncia:

<Contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

“natura retributiva del diritto invocato, con conseguente prescrizione quinquennale dell’azionabilità, parificando ed equiparando l’indebito contributivo al debito di imposta” “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”>

2. Nello svolgimento di tale censura, il ricorrente deduce che:

“l’oggetto del ricorso introduttivo in primo grado riguarda non il fatto che sia stata riconosciuta una minore somma di incentivo all’esodo, somma che è stata erogata correttamente nella quantità lorda e nella tempistica concordata (vedi verbale di risoluzione nonché successivo bollettino stipendiale agli atti processuali di primo grado), bensì che sia stato operato da parte del datore di lavoro un danno al lavoratore mediante una maggiore e quindi erronea ed indebita tassazione IRPEF sulla somma concordata, con violazione espressa della previsione normativa contenuta nell’art. 19, comma IV bis, D.P.R. 917/86, ratione temporis. Ed ancora: a voler ritenere la natura retributiva dell’aliquota IRPEF, ciò comporterebbe di conseguenza che la stessa faccia parte degli elementi retributivi fissi o variabili previsti nel capitolo retribuzione del Contratto di Lavoro di riferimento e nel caso specifici delle FS spa, cosa che non è data per niente da rilevare. Una voce retributiva, è di tutta evidenza, avrebbe comportato un aumento lordo sulla retribuzione mensile globale da corrispondere. La trattenuta o imposta IRPEF non è una voce che fa aumentare la retribuzione, mensile o settimanale che sia, ma al contrario opera un prelievo sulla stessa forzoso e coattivo, secondo le richiamate norme costituzionali e le previsioni fiscali in essere al momento del prelievo stesso”. Così individuato quello che reputa il punto cardine del procedimento, e dopo aver riferito la conclusione cui era approdata (anche) la Corte territoriale (come il primo giudice) circa la prescrizione del credito azionato, il ricorrente deduce che la stessa Corte, <dopo aver rettamente marcato il discrimine tra debito di imposta ed il debito contributivo (per contributi INPS) anche alla luce dell’insegnamento della Corte di legittimità (Cass. Civ., Sez. Lav. n. 239 del 2006, citata nella gravata sentenza), finisce per equiparare e parificare erroneamente il debito di imposta dovuta all’erario a quello contributivo dovuto all’ente previdenziale (INPS), sino ad attribuire natura retributiva anche al debito di imposta. La richiamata sentenza dell’11.1.2006, n. 239, ha esplicitamente affermato al punto 8): “il sostituto di imposta, qual è il datore di lavoro, svolge sostanzialmente funzione di esattore dell’Amministrazione Finanziaria, versando direttamente a quest’ultima gli acconti di imposta per conto del contribuente sostituito, nel caso di specie del lavoratore subordinato;

provvede, cioè, sia pure in adempimento di un preciso obbligo di legge (e non in esecuzione di un mandato negoziale o come gestione di affari altrui), ad adempiere un’obbligazione altrui, e cioè quella del sostituito nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, trovando fondamento al proprio operato nell’art. 64, comma 1, del D.P.R. del 29.9.1973, n. 600″. In questo caso l’esatto adempimento da parte del datore di lavoro, quale sostituto, in luogo del lavoratore, quale sostituito, non v’è stato, in quanto ha ignorato la previsione normativa agevolativa prevista dall’art. 19, comma IV bis, del D.P.R. 917/86, applicando la tassazione per intero, invece di quella agevolata alla metà, con conseguente danno nella sfera giuridica del lavoratore>. Nel seguito della sua trattazione, il ricorrente sottolinea che “a differenza del credito previdenziale che ha effettivamente natura retributiva, il credito di imposta IRPEF (nel caso in esame insorto a seguito di indebita trattenuta da parte datoriale) non solo non riveste natura retributiva, ma non può averla, avendo la ritenuta alla fonte da parte datoriale radice nell’obbligazione ex lege di prelevare, in via coattiva e forzosa sul reddito erogato al lavoratore, un’aliquota a titolo di imposta IRPEF”, di talché erano inconferenti tutte le sentenze richiamate nella sua motivazione dalla Corte distrettuale. Sostiene ancora che “il petitum dell’azione esercitata dall’odierno ricorrente è da individuare nella ripetizione dell’indebita trattenuta operata dal datore nella sua qualità di sostituto di imposta”.

3. Rileva preliminarmente il Collegio che neppure lo sviluppo delle doglianze del ricorrente individua un vizio motivazionale della sentenza impugnata nei termini della pur dedotta contraddittorietà di motivazione che faccia sì che la stessa non raggiunga il c.d. “minimo costituzionale”, in ipotesi ora denunciabile ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.; né fa ammissibilmente valere un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, in ipotesi da far valere ai sensi del n. 5) dello stesso comma. Il motivo, perciò, è da prendere in considerazione esclusivamente nella chiave di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ossia, i richiamati artt. 2946 e 2948 c.c. in tema di prescrizione, in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c.;

violazione che si sarebbe avverata perché la Corte di merito avrebbe erroneamente qualificato il credito vantato dal lavoratore come avente natura retributiva.

4. Occorre, allora, ricordare che questa Corte si è più volte espressa su casi di versamento in eccesso, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali, anche per la quota a carico del lavoratore, mediante correlative e precedenti trattenute dalla retribuzione dovuta a quest’ultimo. In particolare, è stato deciso che, in tema di obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie, il datore di lavoro – che, ai sensi dell’art. 19 L. n. 218 del 1952, è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei lavoratori che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi – è direttamente obbligato verso l’ente previdenziale anche per la parte a carico dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege. Ne consegue che, in ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente anche con riguardo alla quota predetta, mentre il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta può agire nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa. In merito a tale ultima eventualità, il credito azionato dal lavoratore ha natura retributiva sicché, da un lato, ad esso si applicano la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c. e l’art. 429 c.p.c. in materia di interessi e rivalutazione e, dall’altro, esso può essere fatto valere indipendentemente dall’avvenuto rimborso in favore del datore di lavoro dei contributi indebitamente versati (così Cass. civ., sez. lav. 16.6.2001, n. 8175; e in termini id., sez. lav., 25.9.2002, 13936, la quale ha specificato che il rapporto retributivo si instaura solo tra datore e prestatore di lavoro, ed all’interno di esso hanno natura retributiva anche le somme trattenute dal datore di lavoro e relative alla quota di contributi a carico del lavoratore; ne consegue che legittimato passivo nell’azione di adempimento proposta dal lavoratore al quale siano state indebitamente trattenute sulla retribuzione è solo il datore di lavoro, al quale il lavoratore può richiedere direttamente il pagamento della percentuale di retribuzione non corrisposta perché indebitamente trattenuta, in quanto il diritto alla integrità della retribuzione non è decurtabile se non nei rigorosi limiti della reale sussistenza della obbligazione contributiva adempiuta). La prima delle ora richiamate decisioni (Cass. n.I 8175/2001) era stata citata anche dal giudice a quo nella sua motivazione, in cui aveva considerato pure Cass. civ., sez. lav., 21.5.2003, n. 8026. Ma non differenti principi erano stati confermati da Cass. civ., sez. lav., 11.1.2006, n. 239, parimenti richiamata dalla Corte d’appello, la quale, sul versante previdenziale/contributivo, aveva confermato che il lavoratore che abbia subito l’indebita trattenuta, a tale titolo (vale a dire, per contributi), può agire soltanto nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa.

Quest’ultima decisione, che atteneva ad un caso peculiare, in cui venivano in considerazione anche ritenute alla fonte di natura fiscale, ha altresì affermato in parte motiva quanto ricorda ora il ricorrente.

5. Più di recente, poi, questa Sezione ha statuito che il credito vantato dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per le somme indebitamente trattenute sullo stipendio a titolo di ritenute fiscali ha natura retributiva e, conseguentemente, ad esso si applica l’intera disciplina afferente al rapporto di lavoro, comprese le disposizioni di cui all’art. 429 c.p.c. in tema di interessi e rivalutazione (così Cass., sez. lav., 28.5.2019, n. 14502, che aveva confermato la sentenza di merito con la quale era stato affermato il diritto del lavoratore alla ripetizione delle somme, maggiorate di interessi e rivalutazione, trattenute per ritenute fiscali dal datore di lavoro per la parte eccedente quella effettivamente versata all’Erario in seguito alla definizione agevolata prevista dalla L. n. 289 del 2002). In sintesi, tale decisione, dopo aver tra l’altro considerato le sentenze in precedenza già menzionate, ha ribadito “una condivisa interpretazione della normativa speciale di riferimento e dei principi in materia di retribuzioni, in base alla quale il lavoratore ha diritto a ricevere l’intero importo retributivo che va decurtato delle trattenute fiscali e previdenziali dovute per legge, il cui versamento sia stato effettivamente adempiuto dal datore di lavoro” ed ha, perciò, appunto confermato “la natura retributiva del credito al rimborso”, in quel caso, come in quello che ci occupa, fatto valere dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, con tutte le relative conseguenze dipendenti da tale sussunzione, e in termini analoghi id., 27.11.2019, n. 31035 e id., 4.12.2019, n. 31699).

Infine, da ultimo il medesimo principio è stato confermato in relazione a fattispecie concreta pressoché sovrapponibile a quella che qui ci occupa (cfr. Cass. civ., sez. lav., ord. 16.11.2021, n. 34723).

6. In base, quindi, al testé specificato inquadramento giuridico, anche la domanda di condanna formulata dal D.M. è da qualificare appunto come tesa a conseguire l’adempimento integrale dell’obbligazione a carico della datrice di lavoro circa l’emolumento concordato a titolo di esodo c.d. incentivato (del quale lo stesso ricorrente non pone in dubbio la natura retributiva in senso ampio), secondo il ricorrente illegittimamente decurtato per una ritenuta d’imposta praticata in eccesso (non essendosi tenuto conto del regime d’imposizione di cui all’art. 17, comma IV-bis, d.P.R. n. 917/1986). Nota del resto questa Corte che lo stesso ricorrente, secondo la ricostruzione operata dal giudice di secondo grado, dianzi premessa e non contestata in questa sede, aveva chiesto di accertare “l’inadempimento contrattuale di T. s.p.a. nell’applicazione della tassazione IRPEF sulla somma data a titolo di incentivo all’esodo”. Vero è che sempre il ricorrente chiedeva, poi, la condanna della controparte datoriale al pagamento della somma di C 4.656,01, corrispondente appunto alla metà dell’importo della trattenuta IRPEF praticata da T., “a titolo di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale”. Correttamente, però, i giudici di merito, non avevano inquadrato la domanda del lavoratore in un’azione di risarcimento del danno contrattuale (o magari extracontrattuale), ma l’avevano qualificata come volta a far valere un credito di natura retributiva e, perciò, assoggettato alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5) c.c. Invero, nel rapporto contrattuale tra prestatore di lavoro e datrice di lavoro, quanto nella specie rappresentato dal primo quale attore in giudizio costituiva un inadempimento (parziale) di un’obbligazione di natura retributiva, perché trattenute eccessive del genere di quella praticata (non diversamente da quelle a titolo di contributi dovuti agli enti previdenziali), quale che ne sia la causale contingente, circa la retribuzione comportano invariabilmente che essa sia corrisposta al lavoratore in misura inferiore al dovuto, così integrando un parziale inadempimento dell’obbligazione principale che incombe sul datore di lavoro; a fronte del quale inadempimento al lavoratore compete anzitutto l’azione di esatto adempimento, essendo ininfluente il dato che tuttora il ricorrente discorra di un danno a lui derivato dalla condotta datoriale, visto che egli stesso prospetta tale “danno” in misura esattamente pari alla somma in più che avrebbe dovuto ricevere quale incentivo, a sua volta, quantificata nella metà della ritenuta praticata (invece non dimidiata dalla parte datoriale in occasione dell’erogazione di quanto concordato).

7. Sempre per completezza d’esame, mette conto aggiungere che erroneamente ora il ricorrente rappresenta il petitum sostanziale della sua azione in chiave di “ripetizione dell’indebita trattenuta operata dal datore nella sua qualità di sostituto d’imposta”. Ha senso, infatti, parlare di restituzione o ripetizione in ordine a qualcosa che prima della stessa fosse stato corrisposto da qualcuno ad un altro soggetto, laddove nella fattispecie in esame il lavoratore non aveva corrisposto alcunché alla datrice di lavoro, ma si era visto ab origine corrispondere un emolumento inferiore al dovuto, a motivo dell’eccessiva ritenuta d’imposta operata, correlativa a parte di quell’emolumento mai da lui ricevuta. In proposito, del resto, questa Corte ha specificato che la qualificazione di un’azione come di ripetizione di indebito, anche ai fini dell’applicabilità del conseguente regime di prescrizione decennale, presuppone sempre una prestazione positiva (un facere o un dare) in precedenza indebitamente eseguita dal solvens che agisce ex art. 2033 c.c. (così, ad es., Cass., sez. lav., 9.12.2016, n. 25270, che, in caso analogo a quello che ci occupa, aveva confermato la sentenza di appello che, esclusa la disciplina dell’indebito, aveva applicato il termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2948, n. 5, c.c., all’azione di inesatto adempimento esercitata da lavoratori nei confronti del datore di lavoro che, all’atto del pagamento del TFR, aveva operato una compensazione impropria con gli incentivi all’esodo di cui aveva diritto ad ottenere la restituzione). Invero, in disparte il rilievo già svolto che sempre il ricorrente rappresentava la propria domanda come fondata su “un inadempimento contrattuale”, e non sulla corresponsione da parte sua alla controparte di somma oggettivamente non dovuta, va di nuovo rimarcato che egli ha rivolto tale sua domanda esclusivamente contro l’ex-datrice di lavoro T., sicché non trattasi ovviamente di domanda di rimborso o di ripetizione spiegata nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

8. Alla stregua dell’inquadramento giuridico della fattispecie già in precedenza esposto, resta confermato che la domanda del lavoratore è da sussumere in un’azione volta ad ottenere l’integrale adempimento dell’obbligazione di natura retributiva a carico della controparte datoriale; obbligazione non integralmente assolta, come più volte evidenziato, da quest’ultima a motivo della ritenuta d’imposta eccessiva praticata. E’ perciò da escludere l’applicazione sia del regime dell’ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. (non vertendosi in una ripetizione d’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.) che di quello di cui all’art. 2947 c.c. (non trattandosi di azione risarcitoria per danno contrattuale o extracontrattuale), e devesi invece confermare che all’azione proposta era applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c.

9. Con i tre motivi del suo ricorso incidentale, espressamente qualificato come condizionato, l’intimata T., rispettivamente, denunciava: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 (oggi 19), co. 4 bis, d.p.r. 917/1986, vigente ratione temporis – art. 360 n. 3, cod. proc. civ.” (I motivo); “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. – Art. 360 n. 4, cod. proc. civ.” (II motivo); “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. – Att. 360 n. 3, cod. proc. civ.” (III motivo).

Premesso che le questioni così poste non rientrano tra questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, e che quindi dovessero essere esaminate con priorità rispetto al ricorso principale, stante la completa reiezione di quest’ultimo, la ricorrente incidentale manca di qualsiasi interesse ad una pronuncia sulla propria impugnazione condizionata, poiché il suo eventuale accoglimento non potrebbe procurare ad essa un risultato più favorevole di quello derivante dal rigetto del ricorso principale.

Va, pertanto, dichiarato l’assorbimento del suo ricorso incidentale condizionato.

10. Il ricorrente principale, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.