CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2018, n. 17676
Dirigente – Licenziamento per motivi disciplinari – Preventiva contestazione delle mancanze addebitate – Comportamento negligente – Lesione del vincolo fiduciario
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 27 giugno 2013, ha respinto l’appello proposto dalla B.N.L. avverso la sentenza pronunciata dal locale Tribunale nella parte in cui, ricondotta la fattispecie del recesso intimato al dirigente A.S. nell’ambito del licenziamento per motivi disciplinari, “sul presupposto dell’applicabilità delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970, lo ha dichiarato ingiustificato per mancanza di preventiva contestazione delle mancanze addebitate”.
La Corte territoriale – per quanto qui rileva – ha dichiarato “il motivo di gravame della Banca in punto di licenziamento … inammissibile”, affermando che “le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7, secondo e terzo comma, legge n. 300 del 1970, devono trovare applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento colpevole, sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venire meno la fiducia”.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la B.N.L. Spa con unico articolato motivo. Ha resistito il S. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il motivo la società denuncia violazione degli artt. 342, 434112 c.p.c.e nullità della sentenza e del procedimento nonché omessa pronuncia nel merito del motivo di gravame, deducendo la “erroneità della declaratoria di parziale inammissibilità del ricorso in appello di BNL avverso la sentenza di primo grado in punto di ingiustificatezza del licenziamento del Sig. S.”.
Si eccepisce che la Corte romana avrebbe ignorato gli argomenti spesi nell’atto di appello della banca, sintetizzabili come segue: “1) in primo luogo, il licenziamento non aveva natura disciplinare in quanto i fatti posti a fondamento del provvedimento, pur se di natura in parte soggettiva, erano stati valutati da BNL esclusivamente sul piano oggettivo, vale a dire con riferimento all’impossibilità di trovare una idonea collocazione alternativa per il dipendente; 2) in secondo luogo, comunque, anche volendo considerare parte dei motivi di natura disciplinare, tra i motivi posti a base del licenziamento vi era certamente quello, indubbiamente di carattere oggettivo e non disciplinare, in ordine all’impossibilità di trovare una idonea collocazione per il dirigente nella compagine aziendale”.
2. Il motivo è infondato.
Invero la Corte di Appello, pur dichiarando il motivo di ricorso della banca “inammissibile”, nella sostanza lo ha respinto nel merito, confermando quanto già statuito dal primo giudice circa la natura ontologicamente disciplinare del licenziamento del dirigente, che rendeva ingiustificato il recesso per mancata contestazione dell’addebito in violazione dell’art. 7 I. n. 300 del 1970 applicabile anche ai dirigenti.
Tale assunto viene contestato dal ricorrente affermando che il licenziamento non aveva natura disciplinare ma tale censura, per i profili attinenti all’accertamento del fatto, è preclusa in questa sede di legittimità e, per quanto riguarda i principi di diritto, essa contrasta con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui le tutele dell’art. 7 I. n. 300 del 1970 trovano applicazione nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente, a prescindere dalla sua specifica collocazione nell’impresa, sia se il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato, sia se a base del recesso ponga comunque condotte suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, con la conseguenza che la violazione di dette garanzie esclude la possibilità di valutare le condotte causative del recesso (per tutte v. Cass. n. 2553 del 2015 e Cass. n. 18270 del 2013).
Orbene nella sentenza impugnata si riporta il contenuto della lettera di licenziamento, secondo cui “la risoluzione del rapporto è determinata dalle criticità gestionali relative allo svolgimento del ruolo manageriale affidato e all’impossibilità di individuare ulteriori ambiti lavorativi adeguati al Suo inquadramento”, nonché delle difese in giudizio della banca in base alle quali il recesso era stato determinato “dal persistente atteggiamento non collaborativo del ricorrente, il quale si era rifiutato di operare fattivamente con i propri superiori, il che aveva evidenziato l’incapacità del S. di espletare in modo soddisfacente gli incarichi affidatigli, con l’impossibilità di ricollocarlo utilmente in analogo ruolo dirigenziale”.
Con il che si conclama la natura ontologicamente disciplinare del licenziamento intimato in quanto riconducibile ad una condotta colpevole in senso lato del lavoratore che aveva così pregiudicato il rapporto di fiducia con la società.
3. Conclusivamente il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie al o 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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