CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 agosto 2018, n. 20559
Cartella esattoriale per recupero contributivo – Sussistenza di un rapporto di lavoro non regolarizzato – Ricorso inammissibile – Motivi addotti si caratterizzano come richiesta di una rilettura di merito dei dati istruttori
Rilevato che
N. M. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, nei riguardi della sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria n. 1569/2011, con la quale è stata confermata la pronuncia del Tribunale della medesima sede di reiezione dell’opposizione avverso una cartella esattoriale per recupero contributivo relativo alle prestazioni di lavoro svolte presso il negozio di articoli casalinghi della stessa N. dal suo fidanzato G. C.;
l’I.N.P.S. ha resistito con controricorso, mentre Equitalia Sud è rimasta intimata; la N. ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
La Corte d’Appello, nel rigettare il gravame, ha valorizzato il fatto che gli ispettori I.N.P.S. per ben tre volte, due nel gennaio ed una nel maggio 2006, avessero trovato il C. nel negozio della N. intento alla vendita, nonché il fatto che il medesimo, fin dal febbraio 2003, avesse firmato bolle di consegna per il negozio della ricorrente, dal che veniva desunta l’effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro non regolarizzato;
a fronte di ciò la Corte riteneva che la documentazione prodotta al fine di dimostrare che il medesimo C. lavorava come bracciante agricolo alle dipendenza della madre della N. fosse «non probante», rimarcando come la conferma della veridicità di quanto in essa attestato fosse insufficiente, in quanto suffragata soltanto dalle deposizioni di persone (la madre e due fratelli) che erano familiari della N., allorquando poi altra teste, sempre sorella della ricorrente, aveva per due volte affermato in sede testimoniale che la madre non avesse un’azienda agricola;
con i tre motivi di ricorso la N. adduce difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione alla mancata valorizzazione degli elementi documentali e della deposizione del teste D. N., rispetto alla dimostrazione che il C. in realtà lavorava come bracciante agricolo per la madre della N., sottolineando come le risultanze processuali poste a base della pronuncia fossero quanto meno contraddittorie e sostenendo che fosse stata indebitamente ritenuta l’attendibilità, in senso contrario rispetto all’impiego del C. quale bracciante agricolo, della contraddittoria deposizione della teste C. N., ascoltata – a dire della ricorrente – in stato di obnubilazione per il diabete di cui era affetta, mentre poi la firma delle ricevute di consegna poteva spiegarsi anche con ragioni di cortesia;
la linea ricostruttiva fornita dalla Corte d’Appello non è in sé implausibile e dunque i motivi addotti si caratterizzano come richiesta di una rilettura di merito dei dati istruttori, inammissibile in sede di legittimità;
costituisce infatti ius receptum quello per cui «la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione» (Cass. S.U. 25/10/2013, n. 24148);
ed è altresì costante l’affermazione per cui «l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento» (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097);
tutto ciò vale rispetto alla preminenza attribuita ai riscontri ispettivi rispetto ai dati documentali inerenti il presunto ed asseritamente incompatibile rapporto di lavoro agricolo, ma anche rispetto alla valutazione di inattendibilità delle deposizioni favorevoli alla ricorrente, in quanto provenienti dai suoi familiari; non diversamente è però a dirsi anche per quanto attiene alla deposizione della teste N. C.;
rientra infatti ancora nella valutazione propria del giudice del merito l’apprezzamento in ordine al fatto che, pur a fronte di ritrattazione, debba darsi prevalenza ad alcune o ad altre dichiarazioni rese dal testimone, così come quello sull’incidenza o meno di una situazione patologica sull’attendibilità delle dichiarazioni stesse, profili entrambi non sindacabili se sorretti da non implausibili ragioni di convincimento e comunque soggetti ai limiti che l’art. 360 n. 5 c.p.c. pone rispetto alle censure inerenti la motivazione; la Corte territoriale ha in questo caso fatto leva, per valorizzare alcuni passaggi della deposizione di N. C., sulla qualità di figlia della testimone rispetto alla presunta datrice di lavoro agricolo e sul lungo periodo in cui la stessa teste ha lavorato presso quei fondi, per desumerne evidentemente che sui fatti inerenti l’inesistenza di un’azienda della madre, dapprima riferiti, non ci potesse essere errore né confusione, pur se poi ritrattati;
si tratta di valutazione non irragionevole, stante la pluralità degli elementi valorizzati (legame filiale con la presunta datrice di lavoro agricolo; perdurare del lavoro agricolo della stessa teste su quei fondi) e la concretezza di essi; rispetto al diabete, non emerge una certificazione che attesti il concreto verificarsi di un’incidenza di esso rispetto all’andamento della deposizione della predetta teste (il ricorso fa riferimento ad un certificazione di tale malattia, ma non si dice che ne emergesse alcunché di specifico rispetto all’accaduto), sicché non resterebbe che quanto la stessa N. ha affermato nel corso della deposizione, ovverosia che essa si era confusa e soffriva di quella malattia; tale evenienza, tenuto conto della possibilità che la teste si fosse avveduta di avere riferito circostanze sfavorevoli ai propri congiunti ed intendesse per ciò solo ritrattarle e giustificarsi, non appare decisiva per sostenere che, sottovalutando la questione sul diabete, su cui effettivamente la Corte non si sofferma più di tanto, sia stata resa una motivazione insufficiente e tale da risultare certamente superata dagli elementi istruttori disponibili; infatti, anche rispetto alla disciplina di cui alla previgente formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., qui ratione temporis ancora applicabile, è costante l’orientamento per cui «spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, cosi, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità» (Cass. 14 novembre 2013, n. 25608; Cass. 28 giugno 2006, n. 14973);
tali estremi di decisività e di certezza, per quanto detto finora, non sono integrati rispetto alla valutazione della deposizione della teste N., neanche per quanto attiene all’incidenza su di essa del diabete di cui la medesima è affetta; le critiche mosse dalla ricorrente costituiscono quindi ancora tentativi di proporre una diversa lettura di dati istruttori, in sé non irragionevolmente soppesati dal giudice del merito;
in definitiva il ricorso va respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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