Corte di Cassazione sentenza n. 7703 depositata il 28 marzo 2018
RAPPORTO DI NATURA RELIGIOSA ESISTENTE FRA LE PARTI – PRESUNZIONE DI ONEROSITA’ – SUSSISTE
RILEVATO
che:
1.1. con ricorso al Tribunale di Ivrea, G.R. conveniva in giudizio A.O. e l’Associazione Federazione Damanhur per sentir accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la ricorrente e l’ A. (in proprio e quale fondatore dell’Associazione) dal 1983 e fino al febbraio 2007 con conseguente condanna dei convenuti, per quanto di rispettiva competenza, al pagamento di differenze retributive (Euro 498.841,49) e trattamento di fine rapporto (Euro 28.274,14);
in particolare la ricorrente assumeva di aver svolto, in favore dei convenuti, attività di addetta alla tessitura manuale (1983), di impiegata (dal 1984 al 1986), di segretaria (1987), di addetta alla gestione di un centro culturale (1988), di maestra (dal 1998 al giugno 1996), di responsabile della scuola di meditazione (da luglio 1996 al 7 novembre 1997), di dirigente (“Re Guida”) della Comunità (dall’8 novembre 1997 al 23/12/1998), di dirigente addetta alle pubbliche relazioni nazionali ed internazionali (dal gennaio 1999 al 2 febbraio 2007), di assistente personale dell’ A., in concomitanza con gli altri impegni sopra elencati (dal 1997), con un orario minimo di 180 ore mensili fino ad ottobre 2004 e 160 ore mensili successivamente e svolgendo anche molte ore di straordinario; assumeva, altresì, di non aver ricevuto alcuna retribuzione negli anni 1983 e 1984 e per il resto di essere stata retribuita unicamente con “crediti damanhuriani” (vale a dire con una sorta di moneta sostitutiva utilizzabile unicamente all’interno della Comunità);
costituitisi in giudizio, A.O. e l’Associazione Federazione Damanhur contestavano la sussistenza di tale rapporto assumendo che l’attività svolta dalla G. si era contraddistinta per la piena autonomia e comunque che era stata prestata in totale adesione alle finalità di ordine spirituale che permeavano la comunità;
il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda riconoscendo in favore della G. unicamente il trattamento di fine rapporto, da calcolarsi in conformità dei parametri indicati dall’art. 2120 c.c., sulla base delle retribuzioni complessivamente ricevute dal 5/4/1996 al febbraio 2007 (ammontanti alla somma di Euro 152.073,96), oltre rivalutazione ed interessi, somme da corrispondersi solo da parte dell’Associazione atteso che di quest’ultima l’ A. non era mai stato legale rappresentante e che non era stato allegato dalla ricorrente che il predetto avesse agito spendendo il nome dell’Associazione e comunque non potendo riconnettersi responsabilità al mero fondatore o capo carismatico;
1.2. decidendo sull’impugnazione proposta dalla G. e dall’Associazione, la Corte d’appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, rigettava in toto la domanda;
escludeva la Corte territoriale, per tutto il periodo di adesione della G. a Damanhur (dal maggio 1983 al febbraio 2007), la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e, richiamando un proprio precedente relativo a causa analoga (intercorsa sempre tra la Damanhur ed altra pretesa lavoratrice subordinata), riteneva che, come l’opera svolta dal religioso nell’ambito della propria congregazione non costituiva prestazione di attività di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., bensì opera di evangelizzazione religionis causa, così nel caso di adesione alla vita damanhuriana l’attività svolta dall’aderente e la ricompensa materiale ricevuta costituisse mero corollario o appendice di un complesso sistema di vita sociale che si occupava di tutte le esigenze dell’individuo che viveva in una comunità spirituale e familiare totalizzante, gestita come un piccolo stato, dove tutti gli aspetti della vita dell’associato sono condivisi e dove il singolo entra per contribuire con il proprio impegno e la propria attività al progresso spirituale e materiale della Comunità;
dunque, ad avviso della Corte torinese si trattava di un’attività svolta su base essenzialmente volontaria e senza vincolo di subordinazione, atteso che, in sostanza, il rapporto si era sviluppato, nella sua genesi e nel suo complesso, nel senso di una totale dedizione al perseguimento dei fini della comunità ed in tale contesto l’eventuale compenso corrisposto non era che l’adempimento di una obbligazione naturale;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, G.R. propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi;
3. gli intimati A.O. e l’Associazione Federazione Damanhur resistono con controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO
che:
1.1 va preliminarmente esaminata l’eccezione, sollevata dai controricorrenti, di inammissibilità del ricorso perché notificato in luogo diverso da quello del domicilio eletto;
1.2 tale l’eccezione è infondata, dovendosi dare continuità all’orientamento da ultimo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema che, con sentenza n. 14916 del 20 luglio 2016, dirimendo il contrasto interpretativo sui confini concettuali tra inesistenza e nullità della notifica, hanno statuito che, in virtù dell’assetto strumentale delle forme degli atti processuali, in tanto può ravvisarsi inesistenza in quanto l’attività svolta sia priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa;
nel caso in esame il ricorso, lungi dall’essere stato restituito puramente e semplicemente al mittente, è stato consegnato al destinatario, solo in un luogo diverso dal domicilio eletto, di guisa che non può parlarsi di inesistenza, ma – al più – di nullità sanata dalla costituzione in giudizio dell’intimato (cui la notificazione stessa era diretta), anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità (cfr. Cass. 10 marzo 2004, n. 4924; Cass. 29 novembre 2004, n. 22486; Cass. 16 luglio 2005, n. 15103; Cass. 19 luglio 2005, n. 15190; Cass. 11 giugno 2007, n. 13650);
2.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (L. 24 giugno 1929, n. 1159 e relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. 28 febbraio 1930, n. 289 e dell’elenco enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica riconosciuti dal Ministero dell’interno della L. n. 1159 del 1929, ex art. 2), lamentando l’operata assimilazione della Federazione Damanhur ad una comunità religiosa e rilevando che tale comunità, oltre a non essere una confessione religiosa, non è ricompresa nell’elenco degli enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica;
2.2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 414 e 434 c.p.c., in relazione all’art. 2094 c.c., lamentando la totale pretermissione delle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado con riferimento alla natura subordinata dell’attività lavorativa svolta dalla G. in favore della Comunità Damanhur, associazione non riconosciuta le cui dinamiche interne andavano valutate ed interpretate alla luce degli articoli del codice civile e delle leggi relative alle associazioni oltre che del principio secondo il quale ogni attività che, per il modo in cui venga estrinsecata, sia oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso;
2.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto decisivo della controversia e – ancora – la violazione dell’art. 2094 c.c., dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia escluso lo status di lavoratrice subordinata della G. senza tenere in alcun conto l’attività dalla stessa svolta, contraddistinta dai requisiti tipici richiesti: subordinazione e assoggettamento all’altrui potere disciplinare, di controllo e sanzionatorio;
2.4 con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 414 e 434 c.p.c., nonché delle disposizioni dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro, lamentando che la Corte territoriale abbia escluso l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nonostante la prospettazione svolta a fondamento delle rivendicate pretese retributive, con riferimento alle mansioni svolte ed ai relativi livelli di inquadramento secondo le previsioni dei differenti c.c.n.l. applicabili;
3.1 il primo e il secondo motivo di ricorso sono fondati, il che assorbe la disamina delle ulteriori censure;
3.2 in sostanza la motivazione della sentenza impugnata ravvisa la gratuità della prestazione dalla qualità soggettiva della Federazione Damanhur desunta dal contenuto della Costituzione di tale comunità (si vedano le pagg. 17-19 della sentenza) e non dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto con la G., tanto che nel rigettarne la domanda richiama il concreto svolgimento del rapporto tra l’associazione odierna controricorrente e un’altra lavoratrice (oggetto d’una precedente sentenza della stessa Corte d’appello di Torino);
in altre parole, la conclusione cui perviene la sentenza impugnata si risolve in una vera e propria presunzione di gratuità d’una prestazione pur oggettivamente di lavoro sol perché eseguita a vantaggio d’una associazione avente finalità di natura lato sensu culturale o spirituale;
se tale conclusione poteva trovare conforto in un precedente giurisprudenziale (Cass. 7 novembre 2003, n. 16674) relativo all’attività svolta dal religioso nell’ambito della propria congregazione, deve però osservarsi che la più recente giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, al contrario e anche con riferimento ad un rapporto di natura religiosa, che ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro si deve presumere come effettuata a titolo oneroso, (così Cass. 20 febbraio 2006, n. 3602);
è stato a tal fine precisato che il rapporto di natura religiosa esistente tra i soggetti non è sufficiente a dimostrare la natura affectionis vel benevolentiae causa della prestazione resa, ma occorre dare la prova rigorosa che tutto il lavoro sia stato prestato per motivazioni esclusivamente religiose e non in adempimento delle ordinarie obbligazioni civilistiche;
così, anche con riferimento ai rapporti di natura religiosa, è stato applicato il principio, più volte affermato da questa Corte Suprema, secondo il quale ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, solo ove risulti dimostrata in concreta la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa (cfr. Cass. 9 febbraio 1996, n. 1024; Cass. 6 aprile 1999, n. 3304; Cass. 2 marzo 2004, n. 4255; Cass. 26 gennaio 2009, n. 1833; Cass. 3 luglio 2012, n. 11089);
a maggior ragione ciò valga nel caso di specie, atteso che l’Associazione Federazione Damanhur non è un ente di culto avente personalità giuridica riconosciuta dallo Stato ai sensi della L. 24 giugno 1929, n. 1159 e relativo regolamento di attuazione approvato con R.D. 28 febbraio 1930, n. 289 e dell’elenco degli enti di culto diversi dal cattolico dotati di personalità giuridica riconosciuti dal Ministero dell’interno della stessa L. n. 1159 del 1929, ex art. 2 (il riferimento all’Enciclopedia delle religioni in Italia che si legge nella sentenza impugnata è fuorviante, perché riguarda un mero dato culturale o sociologico, irrilevante nella controversia in esame);
né l’associazione controricorrente è qualificabile come ente del terzo settore ai sensi del D.Lgs. n. 117 del 2017, art. 4 (c.d. codice degli enti del terzo settore, peraltro posteriore al ricorso introduttivo del giudizio de quo), atteso che u.c. di tale art. 4 espressamente prevede l’applicabilità del D.Lgs. medesimo agli enti religiosi purché civilmente riconosciuti (non è il caso di parte controricorrente) e limitatamente allo svolgimento delle attività di cui al successivo art. 5 e previo adempimento di ulteriori formalità;
il cit. D.Lgs. n. 117 del 2017, emanato in attuazione della delega per la riforma del terzo settore contenuta nella legge 6 giugno 2016, n. 106, ha invero riscritto le regole per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale abrogando la L. n. 266 del 1991 (legge quadro sul volontariato), la L. n. 383 del 2000 (disciplina delle associazioni di promozione sociale), oltre che buona parte della L. n. 460 del 1997 (legge quadro sul volontariato);
tale D.Lgs. ha previsto all’art. 4 che sono enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore (neppure questo è il caso dell’odierna controricorrente che non risulta aver adempiuto all’iscrizione nel registro del corrispondente livello come egualmente prevista dalla L. n. 383 del 2000, art. 11, comma 2);
nella medesima disposizione, al comma 3, sono tenuti distinti gli enti religiosi civilmente riconosciuti;
anche nell’ambito della più recente disciplina è previsto lo svolgimento di lavoro negli enti del terzo settore (si vedano l’art. 16 sul diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui al D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, art. 51 e l’art. 18 sull’assicurazione obbligatoria), di guisa che neppure tale assetto legislativo – ad ogni modo inapplicabile al caso di specie – gioverebbe alla tesi dell’associazione controricorrente;
semmai quest’ultima – che ha la natura di mera associazione non riconosciuta al pari di tante altre – potrebbe essere qualificabile, al più, come organizzazione di tendenza lato sensu religiosa o culturale L. n. 108 del 1990, ex art. 4, comma 1, il che rafforza la presunzione di onerosità della prestazione oggettivamente lavorativa resa al suo interno;
infatti la L. n. 108 del 1990, art. 4, è intervenuto a fornire una nozione positiva di organizzazione di tendenza laddove ha previsto che la disciplina di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, come modificato dall’art. 1 della medesima legge, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto;
non vi è dubbio che già tale previsione normativa implicitamente riconosca la possibilità dell’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato alle dipendenze di organizzazioni di tendenza (chiari sono il riferimento ai “datori di lavoro” e la stessa regolamentazione delle conseguenze in caso di licenziamento inefficace o illegittimo) e rafforzi la presunzione di onerosità di cui s’è detto, sicché grava sulla parte che ne sostenga la riconducibilità ad un rapporto diverso da quello subordinato, con correlativa gratuità della stessa attività, l’onere di una prova tanto più rigorosa di tale assunto quante volte siano provate anche erogazioni periodiche di denaro in favore del prestatore, per le quali quest’ultimo non è tenuto a dimostrare l’insussistenza di un titolo di altra natura, spettando invece all’altra parte la prova di una causa solvendi diversa da quella retributiva (cfr. Cass. 9 febbraio 1996, n. 1024; Cass. 28 marzo 1998, n. 3290; Cass. 2 marzo 2004, n. 4255; Cass. 28 marzo 2017, n. 7925);
nella specie, peraltro, dalla stessa ricostruzione in fatto evincibile dalla sentenza impugnata è dato rilevare che vi era stata una prestazione lavorativa remunerata con determinate utilità (tali dovendosi intendere le c.d. monete damanhuriane spendibili all’interno della relativa comunità);
orbene, a fronte di una siffatta ricostruzione in punto di fatto, viepiù confermativa della indicata presunzione di onerosità, non è stata acquisita la prova contraria, tale non potendo ritenersi né il richiamo al contenuto della c.d. Costituzione della Federazione Damanhur (poiché, come evidenziato, ciò equivale ad un inammissibile capovolgimento della presunzione in ragione della mera qualità soggettiva del beneficiario della prestazione di lavoro) né il riferimento alla vicenda processuale di altra attrice;
invero, trascrivere la motivazione riguardante tale altra attrice e le prove in quel processo acquisite (è quel che si legge nella sentenza impugnata in questa sede) non può giuridicamente dimostrare che lo stesso sia avvenuto anche riguardo al rapporto dell’odierna ricorrente;
in conclusione, si ravvisa la violazione sia della L. 24 giugno 1929, n. 1159 e del relativo regolamento di attuazione sia dell’art. 2094 c.c.;
4. da tanto consegue che vanno accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino affinché, in diversa composizione, proceda ad un accertamento in punto di fatto e con riferimento alla specifica posizione della ricorrente, attenendosi ai sopra indicati principi.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.
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