CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 21069 depositata il 24 agosto 2018
RILEVATO CHE:
– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 26 settembre 2014, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Unipolsai Assicurazioni s.p.a. per l’annullamento di un avviso di accertamento emesso relativo all’anno 2004;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo era stato emesso per mancato versamento dell’i.v.a. in relazione ai compensi percepiti dalla società contribuente in adempimento della cd. «clausola di delega», per effetto della quale, in relazione a contratti di coassicurazione, viene conferito ad uno dei coassicuratori il mandato di gestire il rapporto con l’assicurato;
– il giudice di appello, confermando la decisione di primo grado, ha evidenziato che le commissioni di gestione richieste dalla compagnia coassicuratrice delegataria alle altre compagnie coassicuratrici deleganti, «in quanto corrispettivi legati ad operazioni relative alla gestione del rapporto assicurativo», devono essere considerate esenti dall’i.v.a., ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633;
– il ricorso è affidato ad un unico motivo;
– resiste con controricorso la società contribuente, la quale propone, altresì, ricorso incidentale condizionato;
– quest’ultima deposita, inoltre, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.;
CONSIDERATO CHE:
– vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale sollevate dalla società contribuente per inosservanza dell’onere di autosufficienza e per insindacabilità di norme contrattuali per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.;
– la prima eccezione va disattesa, atteso che nel caso in esame non è in contestazione tra le parti il contenuto e l’interpretazione della clausola in esame, ma unicamente l’assoggettabilità o meno dell’operazione realizzata all’i.v.a.;
– del pari infondata è anche la seconda eccezione di inammissibilità, in quanto la violazione di legge interessata dal ricorso investe non già l’interpretazione di una clausola contrattuale, quanto l’applicazione delle norme che prevedono esenzioni all’applicazione dell’i.v.a.;
– nel merito, con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1911 c.c., e 3, commi primo e terzo, e 10, primo comma, nn. 2 e 9, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la sentenza impugnata escluso l’assoggettamento all’i.v.a. dei compensi dovuti per le prestazioni eseguite in adempimento della cd. clausola di delega;
– evidenzia che l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 10, comma primo, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, alle «operazioni di assicurazione» va circoscritta, attesa l’insuscettibilità di interpretazione estensiva della disposizione, alle sole operazioni caratterizzate dalla copertura di un rischio a fronte del versamento di un premio, mentre non si estenderebbe all’ulteriore attività svolta da una delle imprese coassicuratrici, su delega e nell’interesse delle altre, alla gestione del rapporto contrattuale con l’assicurato;
– il motivo è fondato;
– l’art. 10, primo comma, d.P.R. n.633 del 1972, stabilisce che sono esenti dall’i.v.a., tra le altre, «le operazioni di assicurazione, di riassicurazione e di vitalizio» (n. 2) e «le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)» (n. 9);
– la disposizione è coerente con la disciplina unionale che, all’art. 135, paragrafo 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE – corrispondente all’art. 13, parte B, lett. a), della Sesta direttiva del Consiglio, 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE – dispone (tra l’altro) che «Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: a) le operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione»;
– la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha evidenziato che i termini utilizzati per designare le esenzioni di cui all’articolo 135, par. 1, della direttiva IVA devono essere interpretati restrittivamente, dato che esse costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’i.v.a. è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo (Corte Giust, 17 marzo 2016, Aspiro; Corte Giust. 17 gennaio 2013, BG’ Leasing), aggiungendo che le esenzioni previste da tale articolo costituiscono nozioni autonome del diritto dell’Unione, che mirano ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’i.v.a. da uno Stato membro all’altro (v., in tal senso, anche Corte Giust. 8 marzo 2001, Skandia);
– in ordine all’interpretazione dell’espressione «operazioni di assicurazione», ha affermato che la stessa fa riferimento a quelle operazioni caratterizzate dal fatto che l’assicuratore si impegna, previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto (vedi, sul punto, Corte Giust., 20 novembre 2003, Taksatorringen; Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP);
– ha sottolineato che nell’ambito di tali operazioni possono rientrare anche quelle effettuate da un soggetto passivo che non sia direttamente assicuratore, ma che, nell’ambito di un’assicurazione collettiva, procuri ai suoi clienti siffatta copertura avvalendosi delle prestazioni di un assicuratore che si assume l’onere del rischio assicurato, a condizione che sussista l’identità del destinatario della prestazione e che una tale operazione implica, per sua natura, che esista un rapporto contrattuale tra il prestatario del servizio di assicurazione e l’assicurato (Corte Giust., 20 novembre 2003, Taksatorringen);- ha, inoltre, puntualizzato che ciascuna prestazione di servizio deve essere considerata di regola come autonoma e indipendente, potendosi ravvisare l’esistenza di un’unica prestazione solo quando alla presenza di uno o più elementi che costituiscono la prestazione principale si affiancano altri elementi che danno luogo ad una prestazione accessoria, per tale ravvisandosi una prestazione che non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP);
– in ordine all’individuazione del significato dell’espressione «prestazioni di servizi relative a dette operazioni effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione», la Corte di Giustizia, nella richiamata pronuncia Aspiro, ha sostenuto, da un lato, che il termine «relative» è sufficientemente ampio da ricomprendere diverse prestazioni che concorrono alla realizzazione di operazioni di assicurazione e, segnatamente, la liquidazione di sinistri, la quale costituisce una delle parti essenziali di tali operazioni;
– dall’altro, ha evidenziato che l’accertamento del requisito soggettivo indicato nell’espressione va condotto all’esito di una valutazione del contenuto stesso delle attività, nell’ambito della quale non è determinante la circostanza relativa al mancato possesso della qualifica di mediatore o intermediario di assicurazione, essendo necessario che vengano soddisfatte due condizioni: che il prestatore sia in rapporto con l’assicuratore e con l’assicurato e che la sua attività riconnprenda aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione;
– in merito a quest’ultima condizione ha chiarito che tali attività devono essere connesse alla natura stessa del mestiere di mediatore o di intermediario di assicurazione, il quale consiste nella ricerca di clienti e nel mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore, in vista della conclusione di contratti di assicurazione (cfr., altresì, Corte Giust., 3 marzo 2005, Arthur Andersen);
– questa Sezione, con sentenza del 4 novembre 2016, n. 22429, affrontando la medesima questione in esame, ha proceduto ad un’analitica ricostruzione del quadro normativo in rilievo e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia in materia, osservando che sul piano oggettivo un’operazione va considerata unica, sul piano fiscale, quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo sono strettamente connessi, a tal punto da formare una sola prestazione economica indissociabile, la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso e ciò anche quando la pluralità degli atti necessari a completare la prestazione possa coinvolgere anche soggetti estranei al rapporto contrattuale;
– ha aggiunto che, relativamente alle «operazioni di assicurazione», è necessario, sul piano soggettivo, che vi sia un rapporto contrattuale tra il prestatore del servizio di assicurazione e l’assicurato;
– ha, quindi, riconosciuto la riconducibilità alla fattispecie di esenzione dell’imposta nei casi relativi a prestazioni idonee ad integrare il servizio assicurativo sotto il profilo economico e tali da dar luogo ad un’unica operazione, nei sensi considerati, e sempre che il prestatore di servizi si sia impegnato esso stesso nei confronti dell’assicurato a garantire a quest’ultimo la copertura di un rischio e sia vincolato all’assicurato da un rapporto contrattuale;
– successivamente la Sezione si è pronunciata con la sentenza dell’8 marzo 2017, n. 5885, affermando che «ai fini dell’assoggettabilità delle operazioni di coassicurazione al regime di esenzione IVA, occorre verificare se la società coassicuratrice delegataria che gestisce la liquidazione dei sinistri sia anche parte del rapporto in essere con l’assicurato, per avere ad esempio assunto obbligazioni contrattuali nei suoi confronti sotto il profilo della garanzia della copertura del rischio, sia pure secondo le caratteristiche proprie della coassicurazione, che prevedono una gestione frazionata del rischio con altre imprese assicuratrici, a tal fine non rilevando invece – perché operante su un diverso piano – la regola sancita dall’art. 1911 c.c., che esclude la solidarietà nelle obbligazioni assunte (sia pure in un unico contratto) dalle diverse imprese (co)assicuratrici». – orbene, appare evidente, alla luce dei richiamati principi, che il contratto di coassicurazione vada qualificato quale «operazione di assicurazione» ai sensi e per gli effetti di cui all’art 10, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 e 135, par. 1, della Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE;
– infatti, con il contratto di coassicurazione – disciplinato dagli artt.1910 c.c. e, quanto alla coassicurazione comunitaria, dagli artt. 161 e 162, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (questi ultimi, peraltro, non applicabili al caso in esame ratione temporís) – la medesima assicurazione o l’assicurazione di rischi relativi alle medesime cose viene ripartita tra più assicuratori per quote determinate, per cui ciascun assicuratore è tenuto al pagamento dell’indennità assicurata in proporzione della rispettiva quota, anche se unico è il contratto, sottoscritto da tutti gli assicuratori;
– si realizza, in tal modo, una struttura oggettivamente unitaria del negozio (a differenza dell’assicurazione plurima o cumulativa), ma soggettivamente composita dal lato degli assicuratori, che, d’accordo tra loro e con il contraente assicurato, prestano la garanzia frazionatamente, in misura della rispettiva concordata partecipazione al rischio, per cui, in presenza di una pluralità di posizioni debitorie distinte caratterizzate dalla parziarietà, viene ad essere escluso tra i coassicuratori ogni vincolo di solidarietà, con la conseguente insussistenza di un diritto di regresso;
– risulta, dunque, evidente la ricorrenza del requisito caratterizzante le «operazioni di assicurazione», in relazione all’impegno di più assicuratori, previo versamento di un premio, di procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto;
– con riferimento alla questione relativa alla riconducibilità al concetto di «operazione di assicurazione» delle prestazioni effettuate da uno dei coassicuratori in adempimento della cd. «clausola di delega» (alla gestione del rapporto contrattuale con l’assicurato), affermata dalla sentenza impugnata in ragione della ritenuta accessorietà delle stesse rispetto a quelle tipiche del contratto di assicurazione, giova premettere che tale clausola non modifica affatto i termini del rapporto contrattuale di coassicurazione dando luogo ad una responsabilità solidale, in quanto tale clausola si risolve nel conferimento, ad uno dei coassicuratori, dell’incarico di gestire le polizze con assegnazione di un potere rappresentativo nel compimento di atti giuridici o nel pagamento dell’indennizzo che può essere, così, eventualmente richiesto al delegato anche nella qualità di rappresentante degli altri (cfr. Cass. 12 luglio 2005, n. 14590);
– si tratta, all’evidenza, di uno strumento mediante il quale i coassicuratori, per ragioni di semplificazione, conferiscono ad uno di essi (solitamente a quello che ha assunto la quota maggiore) la gestione della polizza e, cioè, il compimento di tutti gli atti inerenti allo svolgimento del rapporto assicurativo, e che, non interferendo con la parziarietà dell’obbligazione dei coassicurati, vale ad armonizzare il frazionamento della garanzia assicurativa con l’esigenza dello svolgimento unitario del rapporto (Cass. 28 gennaio 2005, n. 1754; Cass. 12 dicembre 1997, n. 12610);
– e, infatti, anche nei casi in cui la clausola investa la gestione diretta delle controversie e, quindi, comprenda la rappresentanza processuale degli altri coassicuratori, l’assicuratore delegato può essere convenuto in giudizio anche per il pagamento delle quote di indennità di pertinenza dei deleganti solo a condizione che la domanda nei suoi confronti sia proposta espressamente, o comunque inequivocamente, richiamando la sua qualità di delegato, in modo che risulti chiaramente che per la parte eccedente la quota di rischio a suo carico l’indennizzo gli è stato richiesto nella qualità di rappresentante degli altri coassicuratori, e in tale qualità deve essere pronunciata, quindi, la sua eventuale condanna per la predetta parte (cfr. Cass. 20 aprile 2017, n. 9961);
– del pari, l’atto con cui l’assicurato denuncia il sinistro e richiede il pagamento dell’indennità nei confronti della compagnia delegataria è idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto al pagamento dell’indennità nei confronti di ciascun coassicuratore solo allorché sia contrattualmente previsto che tutti i rapporti inerenti al contratto siano «svolti» dall’assicurato unicamente nei confronti della delegataria, alla quale, dunque, siano affidati, accanto a compiti di gestione della polizza, anche quelli di ricezione di tutte le comunicazioni ad essa inerenti e di informazione alle compagnie coassicuratrici (cfr. Cass. 10 agosto 2016, n. 16862; Cass. 30 maggio 2013, 13661);
– i menzionati caratteri della «clausola di delega» inducono a ritenere, in coerenza con l’opinione prevalente, che si sia in presenza di un mandato con rappresentanza: la clausola di delega, da un lato, determina infatti, nei rapporti esterni, una legittimazione esclusiva della delegataria, cui corrispondono, dall’altro, nei rapporti interni, poteri gestori in capo a quest’ultima che trovano la loro fonte nella convenzione di delega;
– una siffatta natura giuridica della clausola appare coerente anche con la disciplina introdotta dall’art. 162, d.lgs. n. 207/05 in tema di coassicurazione comunitaria – a tenore del quale la delega appare necessaria -, nella parte in cui fa riferimento alla gestione della polizza «per conto» e «nell’interesse» degli altri coassicuratori;
– viene, inoltre, in rilievo un mandato in rem propriam posto che l’attività del delegatario è destinata a svolgersi anche nell’interesse proprio, avuto riguardo al risparmio di costi amministrativi per tutte le imprese partecipanti e collettivo, se conferito da più assicuratori;
– da quanto affermato in precedenza consegue che le prestazioni eseguite da uno dei coassicuratori in adempimento di una «clausola di delega» non possono essere assimilate, ai fini della fruizione dell’esenzione dall’i.v.a., alle «operazioni di assicurazione», in quanto ne risulta essere assente l’elemento imprescindibile, rappresentato dall’impegno, previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di realizzazione del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto;
– infatti, gli impegni oggetto della clausola di delega non hanno per oggetto la copertura assicurativa del rischio del verificarsi di un determinato evento, ma unicamente le modalità per una gestione accentrata e unitaria del rapporto plurisoggettivo (dal lato dell’assicuratore);
– inoltre, difetta anche il requisito della corrispondenza del destinatario della prestazione con il soggetto i cui rischi sono coperti dall’assicurazione, ossia l’assicurato;
– nel caso in esame, le prestazioni sono rese a seguito di mandato conferito dagli altri coassicurati e, dunque, sono a loro a beneficiarne, nel senso della perseguita ripartizione degli oneri amministrativi derivanti dalla gestione del rapporto assicurativo, ed è a fronte di tale utilità che si impegnano a remunerare il delegatario;
– non decisive appaiono le circostanze relative alla sussistenza di un interesse dell’assicurato all’esecuzione di tali prestazioni, in relazione al vantaggio di avere un unico interlocutore nella gestione del rapporto assicurativo, trattandosi di un interesse estraneo al rapporto sinallagmatico;
– una conferma della conclusione raggiunta si rinviene dall’analisi della clausola sia sotto il profilo strutturale, sia sotto quello causale: quanto al primo aspetto, l’assicurato non è parte dell’accordo negoziale raggiunto dai coassicuratori in ordine al conferimento dei poteri rappresentativi e l’estensione degli effetti degli atti indirizzati al delegatario anche agli altri coassicurati si realizza solo in virtù (e nei limiti) di tale conferimento;
– in tal senso indicativa è la disciplina della clausola di delega prevista, per la coassicurazione comunitaria, dall’art. 161 del d.lgs. n. 207 del 2005, il quale, prevedendo all’ultimo comma, che il coassicuratore delegatario determina le condizioni di assicurazione ed il tasso del premio da applicare al contratto, lascia intendere non solo che il contratto di coassicurazione e la clausola di delega possano intervenire in momenti diversi, ma, addirittura, che il primo possa precedere il secondo, rendendo ancora più evidente l’estraneità dell’assicurato alla stipula della clausola di delega;
– quanto al profilo causale, l’interesse che giustifica la stipula della clausola di delega è unicamente quello dei coassicuratori, in relazione alla loro esigenza di provvedere ad una ripartizione degli oneri amministrativi inerenti la gestione del rapporto con l’assicurato e di mitigare, in tal modo, le conseguenze derivanti dall’applicazione del principio della parziarietà dell’obbligazione indennitaria;
– il pagamento del compenso per l’esecuzione delle prestazioni che la clausola di delega richiede è posto a carico dei coassicuratori deleganti proprio in ragione del soddisfacimento di tale interesse;
– l’estraneità dell’assicurato all’ambito di applicazione dei rapporti obbligatori nascenti dalla clausola di delega evidenzia anche il difetto dell’ulteriore requisito previsto dalla giurisprudenza unionale per la ricorrenza della causa di esenzione in esame, rappresentato dal fatto che le prestazioni di cui si discute l’assoggettamento all’imposta implichino, per loro natura, l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il prestatario del servizio e l’assicurato che ne costituisca il titolo;
– ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per quanto riguarda la riconducibilità delle prestazioni eseguite in adempimento della clausola di delega alla diversa ipotesi delle prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di assicurazione di cui all’art. 10, primo comma, n. 9, del d.P.R. n. 633 del 1972, ovvero, come richiede l’art. 135, par. 1, della Direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, delle prestazioni di servizi relative a operazioni di assicurazione, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione;
– in proposito, va premesso che mentre la richiamata disposizione nazionale alle «prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1) a 7)» e, dunque, anche alle operazioni di assicurazione, previste dal n. 2 del medesimo articolo 10, primo comma, l’art. 135, par. 1, lett. a), della direttiva esonera dall’i.v.a. «le operazioni di assicurazione e di riassicurazione, comprese le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione»;
– l’esame delle due disposizioni non evidenzia un differente ambito di operatività dell’esenzione in oggetto, in quanto la norma interna va interpretata nel senso di limitare l’esenzione dell’imposta alle sole operazioni che sono poste in essere nell’ambito dell’attività di intermediazione assicurativa, intesa quale attività diretta al fine di mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore, in vista della conclusione di contratti di assicurazione;
– una siffatta interpretazione si impone in considerazione sia del ricorso, da parte del legislatore nazionale, ad una serie di termini – mandato, mediazione e intermediazione – che, pur avendo un proprio autonomo significato, hanno in comune il fatto di rivolgersi ad attività funzionali al compimento di operazioni tra soggetti diversi, in quanto pongono le basi per l’instaurazione di un contatto tra tali soggetti e facilitando il raggiungimento dell’accordo tra questi; sia del dettato della normativa unionale, finalizzata in modo inequivoco, a circoscrivere l’estensione della non imponibilità delle operazioni di assicurazione alle sole operazioni che – oltre ad essere poste in essere da un prestatore in rapporto con l’assicuratore – presentino gli aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione, consistente nella ricerca di potenziali clienti e nel mettere questi ultimi in relazione con l’assicuratore; sia, infine, del rammentato principio per cui le esenzioni di cui all’articolo 135, par. 1, della direttiva IVA devono essere interpretati restrittivamente;
– ciò posto, l’attività svolta dall’impresa assicuratrice delegataria non e tale da ricomprendere gli aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione, sostanziandosi in prestazioni di servizi non già finalizzate alla ricerca di potenziali clienti da mettere in relazione (anche) con le altre imprese coassicuratrici mandanti in vista della conclusione di contratti di assicurazione, ma costituenti frazioni delle attività cui (anche) le altre imprese coassicuratrici sono tenute;
– da ultimo, il controricorrente invoca la sussistenza della diversa fattispecie di esenzione dall’imposta rappresentata dall’art. 12 del d.P.R. n. 633 del 1972, in base al quale «… le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale»;
– la norma invocata, nel sancire il principio per cui alle prestazioni accessorie si applica la stessa disciplina tributaria in materia di i.v.a. della prestazione principale, presuppone, così come desumibile dalla giurisprudenza unionale richiamata, che entrambe le prestazioni siano indirizzate in favore del medesimo destinatario, al fine di consentirgli di fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore (cfr. Corte Giust., 25 febbraio 1999, CPP; Corte Giust., 22 ottobre 1998, Madgett e Baldwin);
– non trova, dunque, applicazione al caso in esame in cui la prestazione principale ha quale diretto beneficiario un soggetto (l’assicurato), mentre quella ritenuta accessoria uno diverso (i coassicuratori), in relazione al (diverso e ulteriore) fine perseguito, esclusivo dei coassicuratori, di ridurre gli oneri amministrativi derivanti dalla garanzia prestata;
– il ricorso incidentale condizionato proposto dalla società contribuente è inammissibile per carenza di interesse, non contenendo censure dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma risolvendosi nella riproposizione di questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite (cfr. Cass. 22settembre 2017, n. 22095; Cass. 15 gennaio 2016, n. 574);
– il ricorso principale va, in conseguenza, accolto e quello incidentale condizionato dichiarato inammissibile;
– in considerazione della necessità di ulteriori accertamenti di fatto in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del jus superveniens invocato dalla contribuente con la memoria depositata- – individuato nell’art. 15, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 – la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà, oltre che al regolamento delle spese, all’esame anche delle questioni ritenute assorbite dal giudice di appello e a quelle derivanti dal sopravvenuto mutamento legislativo
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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