CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2018, n. 24360
Risoluzione del rapporto di lavoro – Mancata segnalazione dei dati di chiusura gestionale della cassa – Omesso versamento degli importi contenuti nella cassa – Gravità della condotta – Accertamento
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Roma aveva respinto l’opposizione proposta da R. G. avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 1 co. 49 I. 92/2012, con la quale, in parziale accoglimento del ricorso del predetto, era stato dichiarato risolto il rapporto di lavoro esistente tra quest’ultimo e la s.p.a Autostrade per l’Italia alla data del 16.5.2014 e la società era stata condannata al pagamento, in favore del ricorrente, di una indennità risarcitoria commisurata a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. I fatti contestati erano relativi all’omessa segnalazione, da parte del R., nella sua posizione di “corriere” nell’ambito dell’Unità Organizzativa Esazione e Personale, dell’assenza in rete dei dati di chiusura gestionale della cassa n. 87 Aurelia ed all’omesso versamento del danaro contenuto nella cassa della detta stazione, relativo ai pedaggi del periodo compreso tra il 30 dicembre 2013 ed il 3 gennaio 2014 (ore 7,49), per un importo di euro 10.109,00, con danno per l’azienda di pari entità, dato dal mancato incasso.
2. Con sentenza del 18.5.2016, la Corte di appello di Roma respingeva il reclamo principale del R. e quello incidentale della società, quanto al primo sul rilievo che doveva essere confermata la valutazione effettuata dal Tribunale in ordine alla dimostrazione adeguata solo della prima delle condotte contestate (mancata segnalazione dei dati di chiusura gestionale della cassa) e non anche della seconda (mancato versamento degli importi contenuti nella cassa), con conseguente insussistenza di gravità della condotta tale da giustificare il recesso senza preavviso. In particolare, la Corte osservava che l’obbligo di tempestiva informazione dei superiori gerarchici, nella specie il coordinatore Pezzola, gravava non solo sui corrieri dedicati, ma anche sugli esattori, e che nella specie dalle risultanze istruttorie era emerso che altro corriere (tale Di G. M.) per mancanza di esperienza nella compilazione del foglio gestionale, si era rivolto al R. per le operazioni di inserimento dei dati, che questi aveva accettato di svolgere per conto del primo, sicché, anche in mancanza di idonea pubblicizzazione della procedura formalizzata in apposito manuale operativo, la responsabilità del predetto doveva ritenersi conclamata ed a ciò conseguiva che il fatto dovesse ritenersi sussistere nella sua componente materiale e nella sua qualificazione come inadempimento agli obblighi contrattuali dotato di sicura rilevanza disciplinare.
3. Osservava la Corte che non era stata addotta alcuna censura in ordine alla proporzionalità dell’addebito con la sanzione espulsiva e che l’eccezione di tardività dovesse ritenersi assorbita. Quanto al reclamo incidentale della società, inteso a sostenere la sussistenza anche del secondo addebito, il giudice del reclamo riteneva l’inconsistenza delle relative deduzioni, sul rilievo che il R., che si era assunto il solo impegno di espletare la fase di inserimento dei dati al computer in luogo del collega, non aveva mai avuto la disponibilità materiale del denaro, versato in cassaforte dallo stesso Di G. e reperito solo successivamente, anche per la confusione del caveau della stazione di Torrimpietra.
4. Di tale decisione ha domandato la cassazione il R., affidando l’impugnazione a tre motivi – illustrati con memoria -, cui ha resistito, con controricorso, la società, che ha sporto ricorso incidentale. A quest’ultimo ha resistito, con proprio controricorso, il R.
5. La causa è stata fissata in pubblica udienza a seguito di rimessione dall’adunanza camerale del 18.4.2018.
Ragioni della decisione ricorso principale
1. Con il primo motivo, sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, I. 300/70 e dell’art. 2104 c.c., nonché dell’art. 2697 c.c., sul rilievo dell’insussistenza del fatto, non riconducibile ad inadempimento contrattuale del ricorrente. Si sostiene che le considerazioni della Corte del merito sulla responsabilità del ricorrente quanto all’omessa segnalazione in rete dei dati di chiusura gestionale della cassa n. 87 non siano condivisibili, in quanto conducono ad un illegittimo ampliamento della prestazione e dell’obbligo di diligenza richiesto in capo al ricorrente, addossandogli responsabilità per mansioni che non erano da lui contrattualmente dovute.
2. Con il secondo motivo, si denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, I. 300/70 in connessione con l’art. 2106 c.c., per essere il fatto punibile con sanzione conservativa. Si sostiene che una violazione minima, anche se non codificata nelle elencazioni di sanzioni conservative, non possa comportare la sola tutela indennitaria, quando risulti evidente l’abbaglio del datore o la pretestuosità della contestazione, e che il difetto di proporzionalità non debba sempre portare all’applicazione della tutela indennitaria di cui al comma 5 dell’art. 18 St. lav. e non alla reintegrazione, in quanto è la legge stessa a prevedere tale ultima tutela se il fatto rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa.
3. Con il terzo motivo, sono ascritte alla decisione impugnata violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, I. 300/70, dell’art. 7 I. 300/70 e dell’art. 2119 c.c., ed è evidenziata, in particolare, la tardività della contestazione che avrebbe compromesso il diritto di difesa del Rognoni.
Ricorso incidentale:
4. Si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sul rilievo che l’istruttoria svolta avrebbe fatto emergere altro rispetto a quanto ritenuto in sentenza con riguardo alla condotta dell’omesso versamento dell’incasso, posto che dalla circostanza che non sia stata effettuata alcuna comunicazione relativa alla perdita dei dati gestionali e della conseguente esatta quantificaizone di quanto rinvenuto nella cassa n. 87 della stazione Aurelia doveva desumersi che l’incasso relativo alla detta stazione non poteva che essere rimasto nella disponibilità materiale del R., non potendo valere a sminuirne o scriminarne la responsabilità l’ipotesi del caos gestionale ed il rinvenimento successivo della somma all’interno dei locali aziendali.
5. Per evidenti ragioni di priorità logico giuridica, deve essere esaminato il ricorso incidentale che censura la mancata sussunzione nella fattispecie disciplinare anche della seconda condotta ascritta al R., relativa all’incasso di denaro di pertinenza della cassa della stazione autostradale ove erano confluiti i pedaggi degli automobilisti.
5.1. La doglianza, al di là del richiamo alla violazione dell’art. 2697 c.c., censura la ricostruzione in fatto operata dal giudice del gravame. Un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 2697 cod. civ. può porsi, tuttavia, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia invertito gli oneri probatori, laddove nella sostanza non è questa la situazione rappresentata nel motivo anzi detto, essendo la violazione della norma denunciata tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta del richiamo normativo in essa contenuto – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.
6. Quanto al primo motivo del ricorso principale, con il quale nella sostanza si mira a contestare la sussistenza del fatto ascritto al R. quale delimitato nelle pronunce di merito con riferimento solo alla prima condotta allo stesso ascritta, si osserva che quest’ultima è stata ritenuta confortata da adeguato riscontro quanto alla sua sussistenza proveniente dalle risultanze di causa. Queste hanno confermato come l’obbligo di provvedere anche agli ulteriori adempimenti e segnalazioni era stato di fatto assunto dal ricorrente col sostituirsi al collega Di G. nell’inserimento dei dati al computer e tanto è sufficiente a sostenere la responsabilità del primo, in forza di una ricostruzione e valutazione delle prove compiuta dal giudice del merito che, nella presente sede, si tenta inammissibilmente di contrastare, evocandosi la violazione dell’art. 2104 c.c. in relazione alla riferibilità dei doveri ivi previsti alla prestazione contrattualmente prevista e non a quella conseguente ad una ritenuta “supposta” delega, proveniente non da superiore gerarchico e peraltro non estesa anche ai doveri di segnalazione dell’assenza dei dati di chiusura gestionale della cassa in rete.
6.1. I profili di responsabilità connessi all’inesatto adempimento degli obblighi discendenti dall’assunzione, da parte del R., di compiti assegnati ad altro lavoratore anche in virtù del potere di coordinamento allo stesso riconosciuto sono stati adeguatamente considerati nell’ambito di una ricostruzione della vicenda fattuale che non risulta sindacabile nella presente sede, non competendo al giudice di legittimità la revisione del “ragionamento decisorio” – ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione delle questioni di fatto esaminate – e, tantomeno, di verificare quale sia, fra quella, proposta dalla sentenza impugnata, e quella prospettata dal ricorrente, la motivazione di fatto più convincente, salvo il controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte in sentenza.
7. Quanto alle questioni poste nel secondo motivo dell’impugnazione principale, la prospettazione sconta una parziale difetto di specificità laddove, avendo la sentenza impugnata, a pag. 6, testualmente affermato che non è stata censurata “la valutazione di mancata proporzionalità di tale addebito alla sanzione espulsiva”, il ricorrente si limita, a pag. 16 del ricorso, ad affermare di avere sempre riproposto nelle sue impugnazioni il motivo riguardante il macroscopico difetto di proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione espulsiva applicata, ma non riproduce in parte qua il testo del reclamo.
7.1. Tuttavia, il motivo è infondato, in quanto risultano correttamente applicati i principi di diritto che riguardano l’apparato sanzionatorio in tema di licenziamento disciplinare e le regole di riparto dell’onere probatorio.
7.2. Sotto il primo profilo, deve rilevarsi che il giudizio operato dalla Corte di merito di sussunzione della fattispecie nella previsione del V comma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 novellato sulla base della valutazione della gravità delle condotte è criticato sia dal ricorrente principale che ne chiede un’attenuazione, con il risultato di rendere applicabile la tutela reintegratoria, sia dalla ricorrente incidentale in vista del risultato di farla rientrare nell’alveo dell’art. 2119 c.c. sul presupposto che il licenziamento sia legittimo.
7.2. In tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, pur dovendosi escludere che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti, non occorre che l’esistenza della “causa” Idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto sia ravvisabile esclusivamente nel complesso dei fatti ascritti, ben potendo il giudice – nell’ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro – individuare anche solo in alcuni o in uno di essi il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dall’art. 2119 cod. civ.(cfr. Cass. 2.2.2009 n. 2579, Cass. 31.10.2013 n. 24574).
7.3. Una volta che si aderisca a tale orientamento, quale corollario si pone il problema della valutazione della gravità della condotta residuale e quindi, non potendo il fatto, giuridicamente rilevante, originariamente contestato, ritenersi insussistente (con automatica tutela reintegratoria), viene in considerazione la tutela di cui al 5° comma, salvo che non sia previsto dal c.c.n.I. o dai codici disciplinari una sanzione di tipo conservativo. Il problema è su chi grava l’onere di provare l’esistenza o l’inesistenza di una tale previsione contrattuale, ma ciò attiene al secondo profilo della censura, esaminato successivamente al primo.
7.4. Precisato che un problema di applicazione delle conseguenze (reintegratone o risarcitone) previste dell’art. 18 novellato può porsi solo in caso di accertata insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di recesso, deve ribadirsi che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L’ accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. in tali termini, Cass. 25.5.2017 n. 13178, Cass. 23/09/2016 n. 18715, Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011).
7.2. Potrebbe in concreto e pur a fronte di un fatto astrattamente grave, emergere l’inidoneità dell’inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo, e quindi a determinare una sproporzione tra la condotta così come effettivamente realizzata ed il licenziamento (Cass. 16/10/2015 n. 21017).
7.3. Non è questo il caso oggetto della presente controversia in cui la perimetrazione del fatto costituente inadempimento non risulta contestata sul piano da ultimo indicato, attingendo la censura del ricorrente principale soltanto il piano della sanzione concretamente applicata con riferimento alle tutele predisposte dal novellato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
7.4. Il giudizio di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel IV comma dell’art. 18 solo nell’ipotesi in cui la non corrispondenza tra gravità della condotta realizzata e sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che per la stessa prevedano una sanzione conservativa.
7.5. Al di fuori di tale caso, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il V comma dell’art. 18 prevede la tutela indennitaria c.d. forte.
7.6. E’ stata, invero, introdotta dalla I. 92/2012 una graduazione delle ipotesi di illegittimità della sanzione espulsiva applicata per motivi disciplinari, nell’ambito della quale la sanzione della reintegrazione è prevista per le ipotesi in cui emerga l’insussistenza di un fatto giuridicamente rilevante ed imputabile al lavoratore, prescrivendosi la tutela risarcitoria per le ipotesi di difetto di proporzionalità che non risulti dalle previsioni del contratto collettivo. A ciò consegue la necessità di accertare non solo se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, ma, nel caso di esito negativo di tale accertamento, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante (cfr. Cass. 13178/2017,cit.).
7.7. La non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel IV comma quando quest’ultimo rientri tra le condotte punibili con sanzione conservativa in forza delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, laddove per le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa deve aversi riguardo alla disciplina del V comma dell’art. 18, che prevede la tutela indennitaria c.d. forte.
7.8. Nel caso esaminato non è consentita, per quanto detto, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la tutela reintegratoria, in quanto non risulta in ricorso richiamata alcuna previsione di sanzione conservativa da parte di CCNL o di codici disciplinari applicati, dei quali non è in alcun modo specificata la sede di deposito nei gradi di merito, né si procede alla relativa trascrizione, in dispregio degli oneri di specificazione e deposito, o di quello, alternativamente previsto, di indicazione della relativa sede di rinvenimento. Peraltro è lo stesso ricorrente ad affermare espressamente in ricorso che il CCNL applicato non contiene alcun catalogo di infrazioni e delle rispettive sanzioni, sicché anche sotto un profilo comparativo sarebbe preclusa la possibilità di compiere la valutazione sollecitata in ordine al dedotto difetto di proporzionalità.
8. Sotto il profilo probatorio, è sufficiente osservare che, in tema di licenziamento, l’art. 5 della I. n. 604 del 1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un’eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto c l’onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l’altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte (così, Cass. n. 7830 del 29/03/2018, Cass. n. 17108 del 2016, Cass. 14375 del 2016).
8.1. Tuttavia, una cosa è l’onere probatorio relativo al legittimo esercizio del potere disciplinare, altro è, in caso di ritenuta sussistenza del fatto ma di mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, la contestazione della tutela applicata, rispetto alla quale è onere della parte che si sia visto applicare un tipo di sanzione ritenuta non appropriata e non conforme alle previsioni legali e contrattuali, allegare e provare la esistenza dei presupposti per l’applicazione del diverso regime di tutela reintegratoria, attraverso il richiamo alla previsione di sanzione conservativa da parte del c.c.n.I. di riferimento.
8.2. Non sarebbe, invero, sostenibile una diversa opzione che, in tema di riparto degli oneri probatori, ponesse a carico del datore di lavoro l’allegazione e prova in vista della valutazione di congruità della tutela apprestabile in sede giudiziale rispetto ad un esito anche solo parzialmente favorevole al lavoratore del giudizio sulla reale consistenza dei fatti e gravità della condotta inizialmente ascritta allo stesso, con onere di deposito del ccnl ai fini considerati. Né può anche logicamente avallarsi una tale impostazione, sulla base della considerazione che la questione in ordine al tipo di tutela applicabile è strettamente consequenziale alla contestazione, da parte del lavoratore, della responsabilità in ordine a tutti i fatti ascrittigli, sicché ogni onere allegatorio e probatorio non può che ricadere sullo stesso. Una cosa è, invero, l’onere della prova del corretto esercizio del potere disciplinare, che si estende anche al tipo di sanzione irrogata, altro è l’onere connesso alla richiesta di tutela applicabile in sede giudiziaria correlata ad un accertato minore disvalore dei fatti configuranti l’inadempimento.
9. Infine, quanto al motivo con il quale si contesta la erronea valutazione della eccepita tardività della contestazione, a prescindere dal rilievo che il motivo non si confronta con la decisione, che sul punto si è limitata ad affermare che la mancata censura in ordine alla valutazione di proporzionalità tra addebito e sanzione determina l’assorbimento dell’eccezione di tardività, deve aversi riguardo a quanto da ultimo sancito da questa Corte a s. u., con sentenza del 27.12.2017 n. 30985, secondo cui “la dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare, conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base del provvedimento di il recesso, ricadente “ratione temporis” nella disciplina dell’art. 18 St. lav., così come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della l.n. 92 del 2012, comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità prevista dal comma 5 dello stesso art. 18 st. lav”. Al principio su riportato consegue che, in ogni caso, sul piano sanzionatorio non potrebbe legittimamente reclamarsi una tutela diversa da quella indennitaria forte di cui al comma 5° dell’art. 18 St. Lav.
10. Per tutte le considerazioni svolte, deve pervenirsi al rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
11. La reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
12. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002 per entrambe le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma dell’art.13, comma 1 bis, del citato D.P.R.
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