CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2018, n. 31277
Tributi – Imposta di registro, ipotecaria e catastale – Immobili – Fallimento – Pagamento di somme o cessioni di crediti
Rilevato che
1. Con sentenza n. 72/1/12, depositata il 18/12/2012, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in accoglimento dell’appello proposto dal Fallimento del C.D. s.r.l. contro la sentenza di primo grado, ha annullato l’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia aveva chiesto all’appellante il pagamento in misura proporzionale (anziché nella misura fissa già versata) delle imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute in relazione ad una sentenza che, nell’accogliere la domanda di revocatoria di una compravendita immobiliare avanzata dalla procedura, oltre a dichiarare l’inefficacia dell’atto nei confronti della massa dei creditori aveva anche condannato l’acquirente alla restituzione del bene.
3. Il giudice d’appello ha ritenuto che tale statuizione aggiuntiva andasse intesa come meramente rafforzativa della natura e degli effetti della declaratoria di revoca della compravendita, atteso che, per pacifica giurisprudenza, il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare comporta unicamente l’inefficacia dell’atto nei confronti della massa, con conseguente assoggettabilità del bene all’azione esecutiva concorsuale, ma non è idoneo a determinare alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, né alcun effetto traslativo della proprietà in favore dei creditori.
4. Avverso la sentenza l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; il Fallimento ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. a, b, ed e), della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sostiene che la CTR ha erroneamente ritenuto che la sentenza di accoglimento della domanda di revocatoria fallimentare avanzata dal Fallimento dovesse essere assoggettata all’imposta di registro in misura fissa, ai sensi della lettera a) dell’art. 8 cit., e non proporzionale, ai sensi della lett. e), posto che la statuizione in essa contenuta, di condanna dell’acquirente alla restituzione del bene, aveva avuto l’effetto di determinare un trasferimento di ricchezza e doveva essere considerata alla stregua di ogni altra sentenza di condanna; richiama a sostegno della propria tesi il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la sentenza che accoglie l’azione revocatoria di pagamenti e dispone le conseguenti restituzioni è soggetta all’aliquota proporzionale di cui alla lett. b) dello stesso articolo.
1. Il motivo è infondato.
1.1 L’art. 8 della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.
Ai sensi della lett. a), sono soggetti alle stesse imposte stabilite per i corrispondenti atti, i provvedimenti “recanti trasferimento o costituzione di diritti reali su beni immobili o su unità da diporto ovvero su altri beni e diritti”; ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura” ed infine, per quel che rileva ai fini del giudizio, la lett. e), assoggetta ad imposta fissa quelli ” che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto”.
1.2. La sentenza di cui si controverte ha dichiarato, in accoglimento di una domanda di revocatoria fallimentare, l’inefficacia di un contratto di cessione di immobile disponendo altresì la restituzione del cespite ceduto al fallimento.
1.3. Costituisce principio ripetutamente enunciato da questa Corte che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria (ordinaria o) fallimentare del negozio stipulato dal debitore poi fallito non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente, né alcun effetto direttamente traslativo nei confronti dei creditori, bensì soltanto l’inefficacia dell’atto rispetto ai creditori procedenti, rendendo il bene alienato, o comunque oggetto di atti dispositivi, assoggettabile all’azione esecutiva, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta disposizione (ex multis Cass. n. 2154 del 1984; Cass. n. 8962 del 1997; Cass. n. 8419 del 2000; Cass. n. 17590 del 2005).
1.4 La conclusione non può mutare per il solo fatto che, nel caso di specie, la sentenza che ha accolto la domanda di revocatoria proposta dal Fallimento del C.D. s.r.l. ha anche condannato l’acquirente alla “restituzione” dell’immobile al Fallimento.
Come correttamente ritenuto dalla CTR, tale capo della decisione non può essere interpretato nel senso indicato dalla ricorrente, ovvero come condanna alla retrocessione del bene alla procedura, posto che, così inteso, risulterebbe in palese ed insanabile contrasto con la statuizione di revoca (e dunque di mera inefficacia nei confronti della massa dei creditori) dell’atto di vendita.
Come già chiarito da questa Corte (Cass. n. 17590 del 2005 cit.) la condanna restitutoria assume, piuttosto, carattere derivativo della pronuncia di accoglimento della domanda revocatoria, sanzionando l’obbligo da essa nascente di porre il bene nella piena disponibilità della massa.
Infatti, a differenza che nell’azione revocatoria ordinaria, il cui vittorioso esperimento consente al creditore istante di aggredire solo successivamente, con esecuzione individuale, il bene oggetto dell’atto revocato, l’accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori (vedi Cass. Sez. Io n. 3757 del 1985; Cass. Sez. Io n. 2936 del 1978).
L’acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c. a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore (cui compete, ai sensi dell’art. 31 l.fall., l’amministrazione del patrimonio del fallito, anche per quanto concerne i beni sopravvenuti) il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa.
2. Non pertinente al caso in esame è il consolidato principio giurisprudenziale – enunciato con riferimento alla diversa ipotesi in cui la revocatoria fallimentare intervenga rispetto al pagamento di somme o cessioni di crediti – secondo cui, in tema di imposta di registro, la sentenza di accoglimento della revocatoria fallimentare di un pagamento eseguito dal fallito è soggetta all’aliquota proporzionale di cui all’art. 8, comma 1, lett. b), parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 (prevista per i provvedimenti giudiziari recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura) – e non al pagamento della misura fissa prevista dalla successiva lett. e) del medesimo articolo (prevista per i provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto).
La sentenza che accoglie la domanda di revoca di atti solutori non ha infatti quale necessario presupposto la declaratoria di inefficacia del negozio “a monte” del pagamento revocato; essa, inoltre, non determina la mera inopponibilità di tale pagamento al fallimento, ma ha un effetto traslativo pieno, in quanto, condannando l’accipiens alla restituzione della somma di denaro in precedenza appresa e già confusa nel suo patrimonio, comporta il depauperamento di tale patrimonio, con contestuale, immediato trasferimento al fallimento della corrispondente ricchezza.
3. In conclusione, escluso che la sentenza di revocatoria fallimentare della cessione di un bene immobile determini il trasferimento del bene dal terzo acquirente al fallimento, ne deriva che tale provvedimento giudiziale non rientra nella previsione di cui alla lett. a) dell’art. 8, comma 1, della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, ma in quella di cui alla lett. e), essendo assimilabile alle sentenze che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni.
4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.
5. Segue la condanna dell’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano nell’importo complessivo di € 4.100,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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