CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 gennaio 2019, n. 444
Appalto pubblico – Pagamento di somme retributive – Obbligazione solidale
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 14.10.2014 la Corte di appello di Firenze ha dichiarato, ai sensi dell’art. 348bis cod.proc.civ., inammissibile l’appello interposto da Autostrade per l’Italia s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva accolto il ricorso proposto da T. D., dipendente della società R. (subappaltatrice della società B., T., P. Costruzioni generali s.r.l.), per il pagamento, nei confronti della società appaltante di servizi di pulizia su una tratta di autostrada nazionale, di somme retributive (T.F.R., tredicesima e quattordicesima mensilità, retribuzioni degli ultimi quattro mesi, indennità sostitutiva delle ferie, permessi ROL non goduti) per il periodo 15.7.2004 – marzo 2011.
2. La Corte distrettuale ha ritenuto insussistenti ragionevoli probabilità di accoglimento dell’appello avverso la pronuncia del Tribunale che, interpretando l’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 5 del 2012 (convertito in legge n. 35 del 2012) e dalla legge n. 92 del 2012, ha ritenuto sussistente, nei confronti del committente, una obbligazione solidale in senso stretto (e non una garanzia sussidiaria) per i trattamenti retributivi e contributivi, nonché per l’intero T.F.R., maturati nei confronti dell’appaltatore-datore di lavoro, con conseguente irrilevanza di preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore.
3. Per la cassazione della sentenza Autostrade per l’Italia s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c. La lavoratrice ha resistito con controricorso e le società Fallimento R. s.r.l. e B., T., P. Costruzioni Generali s.r.l. sono rimaste intimate.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, 32, comma 1, lett.b), 33, comma 3 del d.lgs. n. 163 del 2006, 3, comma 1, lett. b), 4 e 5 del d.P.R. n. 207 del 2010 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.), avendo, il Tribunale, ritenuto applicabile alla società appaltante il criterio di solidarietà previsto dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 nonostante si tratti di appalto pubblico, dotato pertanto (per il combinato disposto delle norme innanzi indicate) di specifici strumenti a tutela dei lavoratori impiegati in tali appalti.
5. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, 12 disp.prel. cod.civ., 3, 24 e 111 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.), avendo, il Tribunale, condannato la società appaltante pur in assenza di deduzione (e correlativa prova) dello stato di insolvenza della società appaltatrice, datrice di lavoro della D., dovendosi ritenere – secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata – che l’art. 29 del d.lgs. n. 276 prevede, in capo al committente, una mera garanzia sussidiaria e non una obbligazione solidale in senso stretto (interpretazione confermata dalla novella apportata dall’art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, convertito in legge n. 35 del 2012 nonché dall’art. 4, comma 31, della legge n. 92 del 2012). In caso contrario, si profilerebbe una violazione del diritto di difesa dell’appaltante chiamato in giudizio seppur del tutto estraneo ai rapporti di lavoro facenti capo all’appaltatore.
6. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, 115 e 331 cod.proc.civ., 24 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.), avendo, il Tribunale, errato nel respingere l’istanza di manleva nei confronti della società B., T., P. Costruzioni Generali s.r.l., in considerazione sia della formulazione attuale dell’art. 29 del d.lgs. n. 276, sia della necessità di preventiva escussione dell’appaltatore. In tal modo, è stato violato non solo il diritto di difesa dell’appaltante chiamato in giudizio seppur del tutto estraneo ai rapporti di lavoro facenti capo all’appaltatore ma anche l’art. 7 del contratto di appalto (che prevedeva l’assunzione di ogni rischio ed onere in capo all’impresa appaltatrice) e del capitolato speciale (che prescriveva all’appaltatore di applicare ai dipendenti condizioni normative retributive non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro).
7. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, 2697, 2109 e 2120 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.), avendo, la Corte distrettuale, errato nel ritenere non contestate le modalità del rapporto di lavoro intercorso tra la lavoratrice e la società appaltatrice nonché i conteggi prodotti, nonostante istanza di estensione del contraddittorio proprio al fine di accertare tali elementi. Inoltre, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura risarcitoria e non può essere compresa nella dizione di “trattamenti retributivi” prevista dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 e il T.F.R. va considerato unicamente con riferimento alla quota maturata nel periodo di esecuzione dell’appalto (e non a tutto ¡1 rapporto di lavoro intercorso tra lavoratrice e società appaltatrice).
8. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Questa Corte ha già affermato la possibilità di un concorso, nei confronti di un imprenditore soggetto di diritto privato committente in un appalto pubblico, della disciplina dettata dal codice degli appalti pubblici e del regime di garanzia dei lavoratori dell’appaltatore dettato dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, in assenza di un espresso divieto di legge (cfr. Cass. 10731 del 2016, Cass. n. 20327 del 2016, Cass. 8955 del 2017, Cass. 10777 del 2017, Cass. n. 19339 del 2018, tutte anche con riguardo all’affermata insussistenza di una questione di legittimità in ordine alla disparità di trattamento tra enti pubblici e imprese private e alla limitazione di iniziativa economica).
Invero, il codice dei contratti pubblici non contiene una disciplina di legge autosufficiente, in sé esaustiva, ed è, pertanto, compatibile con disposizioni ad esso esterne, come chiaramente denunciato dal rinvio, per quanto in esso non espressamente previsto in riferimento all’attività contrattuale, alle disposizioni stabilite dal codice civile (art. 2, quarto comma 163/2006) e che, proprio in virtù di un tale rimando, nei confronti delle pubbliche amministrazioni – cui è preclusa per espresso divieto di legge l’integrazione con il d.lgs. 276/2003 – si è ritenuto applicabile il regime di garanzia dei lavoratori (più in generale degli ausiliari) dell’appaltatore previsto dall’art. 1676 c.c. (Cass. n. 15432 del 2014). Infatti, il d.lgs. n. 163 del 2006 opera sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, anche apprestando una tutela ai lavoratori in corso d’opera, ma con più intensa concentrazione sull’esecuzione dell’appalto in conformità a tutti gli obblighi previsti dalla legge mentre il d.lgs. n. 276 del 2003 regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, sul piano della tutela delle condizioni dei lavoratori, con riserva di una più forte protezione ad essi, titolari di un’azione diretta nei confronti (in via solidale con il proprio datore di lavoro) del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in dipendenza dell’appalto e non soltanto, come a norma dell’art. 5, comma 1 del d.p.r. 207 del 2010, le retribuzioni arretrate.
Infine, il richiamo, da parte del ricorrente, del precedente di questa Corte n. 15432 del 2014 risulta inconferente, trattandosi, come già evindenziato, di committente in un appalto pubblico costituito da una pubblica amministrazione (nella specie il Ministero della Giustizia), soggetto sottratto al regime di solidarietà per l’espresso divieto di applicazione del d.lgs. 276 del 2003 alle pubbliche amministrazioni, a norma del suo art. 1, comma 2.
9. Ai fini della disamina dei motivi dal secondo al quarto va effettuato un sintetico excursus storico-normativo della disposizione invocata.
L’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 disciplina il regime di tutela della complessiva posizione giuridica dei lavoratori impiegati in appalti di opere o di servizi ed è stato oggetto di numerosi interventi legislativi.
Il testo, vigente ratione temporis, della disposizione normativa a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006, recita: «In caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti».
Successivamente, negli anni dal 2012 al 2014 il regime della responsabilità solidale è stato modificato con sei successivi interventi legislativi, che, dapprima, hanno definito con maggior chiarezza l’area dei crediti e prevedendo la sussidiarietà dell’obbligazione solidale (art. 21, comma 1, d.l. n. 5 del 2012, convertito in legge n. 35 del 2012), poi hanno dettato una disciplina autonoma con riguardo alla responsabilità solidale per il versamento all’Erario delle ritenute sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto scaturente dalle fatture inerenti alle prestazioni effettuate nell’ambito del subappalto (art. 13-ter, comma 1, d.l. n. 83 del 2012 convertito in legge n. 134 del 2012), poi hanno conferito alla contrattazione collettiva la possibilità di derogare alla solidarietà, prevedendo il litisconsorzio necessario con l’appaltatore e il beneficium excussionis (art. 4, comma 31, della legge n. 92 del 2012), poi è stata abrogata la regola concernente la responsabilità solidale per le imposte sul valore aggiunto (art. 50 d.l. n. 69 del 2013 convertito in legge n. 98 del 2013), poi si è intervenuti su questioni concernenti la responsabilità solidale ai crediti di lavoro autonomo, alle pubbliche amministrazioni e all’ampiezza derogatoria conferita alla contrattazione collettiva (art. 9 d.l. n. 76 del 2013 convertito in legge n. 99 del 2013), poi è stata rimossa la responsabilità solidale per i debiti fiscali (art. 28, comma 2, d.lgs. n. 175 del 2014), poi infine, è stata soppressa la facoltà derogatoria della contrattazione collettiva (art.2 d.l. n. 25 del 2017 convertito in legge n. 49 del 2017).
La ratio che sorregge la disposizione è quella di incentivare un utilizzo più virtuoso del contratto di appalto, inducendo il committente a selezionare imprenditori affidabili e a controllarne successivamente l’operato per tutta la durata del rapporto contrattuale. I diversi interventi di modifica sull’area dei debiti garantiti e sulla fisionomia della solidarietà sono stati principalmente dettati dalla constatazione della difficoltà del committente di controllare e sanzionare alcuni inadempimenti dell’appaltatore agli obblighi tipici del datore di lavoro.
10. Il principio di responsabilità solidale ha trovato, peraltro, riconoscimento a livello europeo, posto che il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione di elogio nei confronti degli Stato membri che hanno dato “una risposta ai problemi legati agli obblighi dei subappaltatori in qualità di datori di lavoro attraverso la definizione di meccanismi nazionali di responsabilità” (Risoluzione del 26.3.2009) e, in precedenza, la Corte di Giustizia aveva confermato la compatibilità del principio di solidarietà negli appalti con il diritto europeo, evidenziando che esso è funzionale a consentire una protezione volta a prevenire la riduzione del costo del lavoro al di sotto del livello minimo che deve essere garantito (sentenza 12.10.2004, C-60/2003).
Inoltre, il giudice delle leggi (intervenuto con riguardo al regime di solidarietà del committente nei confronti dei dipendenti del subfornitore) ha sottolineato che la ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente è quella di evitare il rischio che i meccanismi di decentramento, e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione, vadano a danno dei lavoratori utilizzati nell’esecuzione del contratto commerciale (Corte Cost. n. 254 del 2017).
Questa Corte, con riguardo all’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, ha, inoltre, già affermato che il committente “presta una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del lavoratore, adempiendo alla quale assolve ad un’obbligazione propria, istituita ex lege” (Cass. n. 10543 del 2016) e che non può ritenersi compresa, nell’area dei debiti garantiti, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute che, pur avendo natura mista (di carattere risarcitorio, compensando un danno derivante dalla mancata fruizione del riposo, e di carattere retributivo, attenendo al sinallagma contrattuale), va esclusa dal concetto di “trattamenti retributivi” da interpretarsi in senso restrittivo posto che il committente rimane estraneo alle vicende relative al rapporto tra lavoratore e appaltatore (Cass. n. 10354 del 2016).
11. Alla luce delle considerazioni esposte, il secondo ed il terzo motivo vanno rigettati, sussistendo, a carico del committente (e sino alla novella del 2012 che ha espressamente previsto il beneficium excussionis nonché il litisconsorzio necessario tra appaltante e appaltatore), una obbligazione solidale in senso stretto.
Invero, prima della riforma del mercato del lavoro (la legge n. 92 del 2012 che ha previsto il litisconsorzio necessario tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori nonché modificato il complesso meccanismo per eccepire il beneficio di escussione già introdotto dalla legge n. 35 del 2012), l’obbligazione del committente prevista dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur avendo carattere accessorio, è solidale con quella del debitore principale e pertanto – in mancanza di previsione legale o negoziale del “beneficium excussionis” – non può essere considerata né sussidiaria né eventuale. Secondo unanime dottrina, in caso di solidarietà passiva, il creditore può rivolgersi indifferentemente a uno o all’altro debitore con la conseguenza che non costituisce ipotesi di solidarietà in senso stretto l’obbligazione sussidiaria là dove il debitore sussidiario è tenuto al pagamento solo in quanto il debitore principale non abbia adempiuto o, a seguito di esperimento dell’azione esecutiva, il suo patrimonio sia risultato incapiente. Il diritto di escussione, opposto dal debitore solidale, può dunque essere pattuito tra le parti (come nel caso della fideiussione, ex art. 1944, comma 2, cod.civ.) o essere previsto dalla legge (come per la responsabilità dei soci nella società semplice, ex art. 2268 cod.civ., o in nome collettivo, ex art. 2304 cod.civ.), vigendo – in assenza di specifica previsione di una sussidiarietà – il regime della solidarietà.
L’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 non prevedeva, sino alle novelle legislative del 2012, un regime di sussidiarietà, delineando dunque una obbligazione solidale in senso stretto, con conseguente irrilevanza di un litisconsorzio necessario tra debitore principale (datore di lavoro-appaltatore) e condebitore (committente).
La previsione, soprattutto se sorretta da un’interpretazione rigorosa dell’area dei debiti garantiti, può ritenersi compatibile con i principi costituzionali del diritto di difesa e di parità delle parti considerato che il committente (come dimostrano gli stralci del contratto di appalto contenuti nel ricorso) – in sede di selezione della società appaltatrice – può imporre l’applicazione di condizioni normative e retributive da applicare ai lavoratori dell’appaltatore, generalmente con riferimento ai parametri dettati dalla contrattazione collettiva nazionale e territoriale.
12. Il quarto motivo è parzialmente fondato.
Il tenore letterale dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 (nella versione precedente le novelle del 2012) nonché la ratio perseguita dal legislatore (consistente nell’affidare al committente il controllo sulla corretta esecuzione del contratto di appalto da parte dell’appaltatore) consentono di ritenere la responsabilità solidale (in senso stretto) del committente alla prestazione resa dal lavoratore seppur nell’ambito dello specifico appalto stipulato da appaltante e appaltatore.
La responsabilità riguarda, pertanto, solo i crediti maturati nel periodo di durata del contratto di appalto e in ragione della prestazione resa per la realizzazione dell’opera o del servizio commissionati. Seppure la norma (sino alle modifiche del 2012, con particolare riferimento al T.F.R.) non lo specifichi, la responsabilità solidale deve ritenersi limitata solo ai crediti retributivi maturati nel corso dell’esecuzione dell’appalto. Invero, la logica della solidarietà imposta dall’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003 si basa sul rafforzamento della garanzia patrimoniale a favore del lavoratore con riguardo al pagamento dei trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente dedicato le sue energie lavorative avendo, limitatamente ad esso, come debitore non solo il datore di lavoro ma anche l’impresa appaltante, la quale risulta, peraltro, completamente estranea al rapporto di lavoro svolto al di fuori dell’esecuzione dell’appalto (cfr. Cass. n. 17725 del 2017 seppur con riguardo alla disposizione normativa frutto delle modifiche del 2012). Di conseguenza, il committente risponde solamente per i crediti maturati in relazione al periodo del rapporto di lavoro coinvolto dall’appalto e, nella specie, della sola quota parte di T.F.R. maturato dal lavoratore nell’ambito dello specifico appalto.
Non si rinvengono, inoltre, motivi per discostarsi, con riguardo all’ambito oggettivo della garanzia solidale, da quanto già affermato da questa Corte che – adottando un concetto rigoroso di “trattamenti retributivi” – ha escluso che il committente debba rispondere delle somme dovute dall’appaltatore per indennità sostitutiva delle ferie non godute in ragione della natura “mista” di tale emolumento (cfr. Cass. n. 10354 del 2016).
Infine, pur accennando, il quarto motivo, all’insussistenza del credito vantato dalla D. per lo svolgimento di lavoro straordinario, va notato che la sentenza del Tribunale non annovera questo istituto retributivo tra quelli richiesti dalla ricorrente (cfr. pag. 1 della sentenza del Tribunale) né parte ricorrente trascrive il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio al fine di fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali.
Infine, va rilevato che il motivo non censura il capo di condanna relativo agli ulteriori emolumenti richiesti al committente ossia le mensilità aggiuntive, i permessi ROL non goduti, terzo elemento, elemento integrativo provinciale.
13. In conclusione, il Tribunale non si è attenuto a tutti i principi innanzi enunciati, avendo provveduto a condannare la società committente all’intero T.F.R. maturato dalla lavoratrice nei confronti della società appaltatrice (senza scorporare le quote maturate con riferimento a prestazioni di lavoro non attinenti all’appalto de quo) nonché all’indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Va, quindi, accolto in parte il quarto motivo di ricorso e la sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte di appello di Firenze che provvederà altresì alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie in parte il quarto motivo di ricorso, respinti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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