CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2019, n. 34200
Inps – Licenziamento disciplinare – Dipendente “ramo sanitario” – Specialista “medico legale” – Ccnl comparto Enti Pubblici non economici
Rilevato
1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da I.M. volta alla declaratoria dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dall’Inps il 29.7.2011, alla condanna dell’Istituto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione nel posto di lavoro;
2. la Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha:
3. ritenuto che il rapporto dedotto in giudizio era disciplinato dal CCNL del 16.2.1999 comparto Enti Pubblici non economici e non dal CCNL dell’11.10.1996 del medesimo comparto, in quanto dalle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo e dalla documentazione acquisita agli atti, risultava che l’I. sin dall’assunzione e ancora all’epoca del licenziamento apparteneva alla categoria dei dipendenti dell’Inps “ramo sanitario” quale specialista “medico legale” e non alla categoria dei dirigenti;
4. ha osservato che la negoziazione collettiva del Comparto Enti Pubblici non Economici (preambolo dell’accordo del 1997, attuativo dell’art. 94 del CCNL 11.10.1996) aveva differenziato e separato le qualifiche e le posizioni dirigenziali rispetto a quelle del personale medico;
5. ha ritenuto che la disposta sospensione del procedimento disciplinare successivamente alla contestazione disciplinare e sino alla data di definizione del processo penale (avvenuta con la sentenza della Corte di Cassazione n. 18088 del 27 aprile- 10 maggio 2011), era conforme all’art. 30 del CCNL del 6.7.1995, che prevedeva che “il procedimento disciplinare rimane comunque sospeso sino all’esito del procedimento penale”, clausola applicabile ai professionisti ai sensi dell’art. 40 del CCNL del 16.2.1999;
6. ha affermato che soltanto in data 7.6.2004 (data di acquisizione del decreto di rinvio a giudizio) l’Inps aveva avuto contezza dei fatti oggetto del processo penale in termini idonei a formulare una contestazione disciplinare sufficientemente precisa;
7. avverso questa sentenza I. M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale l’Inps ha resistito con controricorso;
Considerato
8. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 437 c. 2 cod.proc.civ. per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile il CCNL del 1999 e non quello del 1996 nonostante la difesa dell’Inps non avesse contestato nel giudizio di primo grado la qualifica dirigenziale di esso ricorrente, qualifica dedotta nel ricorso introduttivo; asserisce che la natura delle mansioni svolte non costituisce una questione di mera qualificazione giuridica e che, pertanto, in assenza di tempestiva contestazione in ordine alla natura dirigenziale delle mansioni svolte da esso ricorrente non poteva farsi applicazione di un CCNL diverso da quello del 1996;
9. con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 115 cod.proc.civ., per avere la Corte territoriale sottovalutato la volontà delle parti espressa nel contratto di assunzione del 13.12.2001 dal quale emergeva che esso ricorrente dal 9.7.2001 rivestiva la qualifica di Dirigente medico di II livello responsabile di U.O.C.;
10. con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n.5 cod.proc.civ., violazione falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 300 del 1970 e dell’art. 115 cod.proc.civ. e omesso esame di fatto rilevante; addebita alla Corte territoriale di avere omesso di valutare il fatto, emergente dalle risultanze documentali, che l’Inps era a conoscenza del decreto di rinvio a giudizio almeno dal febbraio 2003; sostiene che, pur ritenendo che lo statuto normativo del rapporto di lavoro di esso ricorrente consentiva la sospensione cautelare e il differimento dell’esercizio del potere disciplinare, la contestazione disciplinare avvenuta nel 2004 doveva ritenersi non tempestiva perchè effettuata a distanza di almeno 18 mesi dalla piena conoscenza dei fatti oggetto dell’indagine penale e di conoscenza del rinvio a giudizio di esso ricorrente; deduce che l’Inps aveva sospeso dal servizio esso ricorrente solo per un limitato periodo di tempo al solo fine di dare esecuzione al provvedimento del giudice penale e non nell’esercizio del potere disciplinare; asserisce che rileva il momento in cui i fatti penalmente rilevanti furono appresi dal datore di lavoro e non quello in cui gli stessi fatti furono portati a conoscenza dell’Area della Responsabilità Disciplinare;
11. il primo e il secondo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente perché correlati entrambi alla individuazione della disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro dedotto in giudizio, sono inammissibili;
12. entrambi sono formulati senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., nella lettura datane da questa Corte (Cass. SSUU 8077/2012; .Cass. 5696/2018, 24883/2017, 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010);
13. il ricorrente non riproduce, quantomeno nelle parti essenziali, il contenuto del ricorso primo grado, di cui sono riportate nel ricorso le sole conclusioni (primo motivo) e del contratto di assunzione (secondo motivo); il ricorso di primo grado non è allegato al ricorso e nemmeno risulta indicata la sua allocazione nei fascicoli d’ufficio dei diversi gradi del giudizio di merito o nei fascicoli di parte, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010);
14. il terzo motivo è inammissibile in quanto il ricorrente omette di chiarire in che termini e perchè la Corte territoriale ha violato la regola posta dall’art. 115 cod.proc.civ., non indica il fatto controverso e decisivo, nella nozione datane dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014, che la Corte territoriale ha omesso di esaminare;
15. il ricorrente, sotto l’apparente denunzia dei vizi di cui all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., in realtà censura l’esito cui è pervenuta la Corte territoriale nell’accertamento del momento dell’acquisizione della notizia qualificata della condotta disciplinarmente rilevante e propone una diversa ricostruzione dei fatti per pervenire ad un arretramento cronologico del momento dell’acquisizione della notizia dell’infrazione, per tal via prospettando una lettura alternativa delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede (Cass. 13026/2019, 21193/2018, 16706/2018, 29230/2017, 19183/2016, 16900/2016);
16. in conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile;
17. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;
18. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 5.500,00, per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.
Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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