CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7335
Tributi – Soggetti colpiti dal sisma de L’Aquila – Adempimenti tributari sospesi – Società – Rimborso degli oneri tributari versati – Legittimità
Rilevato
Nel 2009 la società contribuente aveva sede in Comune Popoli, territorio ricompreso nell’ordinanza PCdM 3780/09 per cui erano sospesi gli adempimenti tributari in ragione del sisma de L’Aquila fino al 30 giugno 2010.
Poiché essa contribuente aveva corrisposto gli oneri tributari pur in presenza di disciplina agevolativa in ragione della calamità naturale, ne ha chiesto il rimborso, impugnando il silenzio rifiuto serbato dall’Ufficio ed argomentando in analogia all’orientamento di questa Corte sul sisma della Sicilia orientale del 1990, ove viene equiparato chi si è avvalso a chi non si è avvalso del regime agevolativo.
Il giudizio avanti alla CTP risultava favorevole alla contribuente, ma la sentenza venne impugnata dall’Ufficio chiedendone la sospensione per possibile contrarietà alla disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, come da procedura conoscitiva avviata dai competenti uffici dell’Unione.
La CTR ha dichiarato l’appello inammissibile, perché non consistente in una critica a capo di sentenza, né concretantesi in una richiesta di riforma della sentenza di primo grado, ma solo in una richiesta di sospensione in attesa di definizione amministrativa, affermando che nel frattempo la procedura comunitaria avrebbe dato esito favorevole per la parte contribuente.
Impugna quindi l’Ufficio con due motivi, cui controdeduce il contribuente.
In prossimità dell’udienza la parte contribuente ha depositato memoria.
Considerato
Con il primo motivo si prospetta violazione di legge per violazione disciplina regime appello tributario (art. 53 d.lgs. n. 546/92) in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cpc.
La doglianza di violazione di legge processuale si traduce in error in procedendo: nella sostanza la difesa erariale afferma che la domanda di riforma della sentenza sarebbe implicita nell’appello e che i motivi d’appello vi sarebbero, consistendo nella possibile contrarietà alla disciplina comunitaria.
Il motivo non soddisfa i requisiti dell’autosufficienza, poiché i passi dell’appello riportati a pag. 11 non consentono di ricavare quali doglianze fossero state proposte nei confronti della sentenza di primo grado, oltre una generica opportunità di sospensione per un’ipotetica contrarietà alla disciplina comunitaria.
Il motivo di ricorso è affetto da una evidente ragione di inammissibilità, rilevabile primariamente sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso, atteso che in forza di detto principio (cfr. art. 366 c.p.c.) l’atto di impugnazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. n. 17198/2016; n. 14182/2016; n. 14784/2015).
È infatti opinione reiteratamente espressa da questa Corte nel senso che «L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità» (Cass. n. 20405/2006);
La CTR, nel caso di specie, ha fatto applicazione del principio secondo cui «In tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’atto di appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che, mediante censura espressa e motivata, miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata>> (Cass. n. 1461/2017; n. 22880/2017).
Di tali principi ha fatto buon governo la sentenza gravata, mentre il motivo di impugnazione per cassazione deve dichiararsi inammissibile.
Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge per violazione del regolamento UE e alla ordinanza PCdM, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cpc, in quanto la CTR avrebbe – in tesi – erroneamente affermato che nel frattempo la questione dell’infrazione comunitaria per aiuti di Stato si sarebbe risolta in senso favorevole al contribuente.
Il motivo non coglie la ratio decidendi della pronuncia gravata, poiché un’attenta lettura della sentenza conduce a ritenere tale affermazione come mero obiter dictum privo di efficacia decisoria.
Il motivo è quindi inammissibile.
Il ricorso è in definitiva inammissibile e tale va dichiarato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile, condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € cinquemiladuecentocinquanta/00, oltre ad € duecento/00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.
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