CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 agosto 2020, n. 18015
Tributi – Iva applicata sulla TIA2 – Richiesta di rimborso all’ente gestore – Esclusione – Natura non tributaria della tariffa – Legittima applicazione dell’Iva
Ritenuto che
D.G. ottenne dal Giudice di pace di Venezia, nei confronti di (…) V.E.R.I.T.A.S. S.p.a. (di seguito indicata, per brevità, V. S.p.a.), un decreto ingiuntivo per la restituzione dell’IVA, che si assumeva indebitamente corrisposta sulla tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. TIA 1) e sulla tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cd. TIA 2);
il Giudice del primo grado, con sentenza n. 237/2016, rigettò l’opposizione proposta da V. S.p.a., confermò il d.i. opposto e condannò l’opponente alle spese di lite nonché al risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ;
pronunciando sull’appello proposto da V. avverso la decisione di primo grado, il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 281/2918, pubblicata in data 6 febbraio 2018, in parziale riforma della decisione impugnata, annullò la condanna dell’appellante al risarcimento del danno ex art. 96 cod. proc. civ. e condannò detta parte alle spese del secondo grado del giudizio di merito;
avverso la sentenza del Tribunale V. S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo e illustrato da memoria, con riferimento alla sola questione dell’applicabilità dell’IVA alla TIA 2;
D.G. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memoria;
considerato che:
la causa, già fissata per I 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo in quanto il Primo Presidente, sulla base delle ordinanze interlocutorie nn. 23949/2019 e 23950, depositate in data 25 settembre 2019, della Terza Sezione Civile, ha rimesso all’esame delle Sezioni Unite la soluzione della questione di massima di particolare importanza relativa alla natura giuridica della tariffa integrata ambientale, cd. T.I.A.2, e all’assoggettabilità ad IVA della stessa;
le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenze n. 18631 e 8632 del 7/05/2020, si sono pronunciate sulla questione evidenziata con le richiamate ordinanze interlocutorie;
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione della nuova adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.. il controricorrente ha depositato ulteriore memoria; considerato che:
con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, 3, 4, commi secondo e terzo, del d.P.R. 633/1972, 238 del d.lgs. n. 152/2006 e 14, c. 33, d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3), c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente accomunato la tariffa disciplinata dall’art. 238 del d.lgs. n. 152/2006 (c.d. TIA2) a quella disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22/1997 (c.d. TIAl) e/o per averne escluso la natura corrispettiva e/o comunque il suo assoggettamento all’IVA»;
in particolare, premesso che il riportato motivo riguarda unicamente l’applicazione – negata dal Tribunale – dell’IVA alla TIA2, la ricorrente, nel censurare la decisione presa dal Tribunale, mette in luce la differente natura di tale tariffa – che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani – e la diversità del suo statuto normativo rispetto a quello della TIA1;
dalla natura non tributaria e corrispettiva della TIA2 discenderebbe, dunque, ad avviso della ricorrente, la sua assoggettabilità ad IVA;
ritenuto il motivo fondato sulla base delle ragioni appresso indicate:
sulla questione proposta con il motivo all’esame si sono pronunciate le SS.UU. di questa Corte con le recentissime sentenze del 7 maggio 2020, nn. 8631 e 8632, con le quali, pronunciando su analoghi ricorsi della V. S.p.a., è stato affermato il seguente principio: «La tariffa integrata ambientale (cd. TIA2) di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972»;
va condiviso pienamente tale principio, che va ribadito in questa sede e alla cui affermazione le SS. UU. di questa Corte sono pervenute dopo aver dettagliatamente esaminato la medesima questione proposta con il ricorso all’esame – che si inserisce nell’ambito di un nutrito contenzioso seriale sulla medesima problematica – alla luce della normativa di riferimento, della giurisprudenza di questa Corte e di quella della Consulta;
nello specifico, è stato affermato, con i recenti arresti delle SS.UU. – alla cui ampia e dettagliata motivazione questo Collegio si riporta, facendola interamente propria -, che «il carattere di interpretazione autentica della norma dettata dall’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010 si desume, in modo inequivoco, quale intenzione oggettiva della legge, dal chiaro tenore letterale dell’enunciato che compone il frammento normativo (“Le disposizioni di cui all’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria”)», e che «L’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, dunque, a differenza dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della T.I.A. 2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti.
Ne consegue che la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad i.v.a. ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ciò non trovando ostacolo nella circostanza che «il pagamento della TIA2 (come quello della TIA1) sia obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del d.P.R. n. 633/1972 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all’IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”» (così la citata Cass. n. 16332/2018).
Peraltro, a conforto della natura privatistica della tariffa si è anche precisato (tra le altre, Cass. n. 4275/2019 e Cass. n. 19544/2019, citate) che “nella prospettiva dell’opzione legislativa è … chiaro che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto anche di indici reddituali”»;
le SS.UU. hanno pure evidenziato che: «L’approdo del “diritto vivente”, nei termini così delineati – che rendono armonica la configurazione privatistica della tariffa con l’inerenza di essa ad un rapporto giuridico che registra la coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio (quale elemento che concorre a configurare quei reciproci obblighi come sostanzianti un rapporto sinallagmatico: cfr. sentenza n. 269 del 2017 del Giudice delle leggi) -, ha trovato rispondenza nella più recente giurisprudenza costituzionale»;
il riferimento è alla sentenza della Corte Cost. n. 188 del 2018 la cui portata – hanno rimarcato le SS.UU. – «nei termini in cui è ribadita, in linea con il “diritto vivente”, la natura non tributaria, bensì di corrispettivo privatistico, della T.I.A. 2, è stata colta dalla recentissima sentenza n. 1839 del 27 gennaio 2020 di queste Sezioni Unite, che, nel riconoscere, in base all’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010), la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha inteso evidenziare – proprio alla luce della richiamata pronuncia del Giudice delle leggi – come le “scarne essenziali indicazioni” dell’art. 14, comma 33, “sottolineano la risolutezza delle formule utilizzate dal legislatore per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, disegnato dall’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152”, in tale prospettiva venendo in rilievo, quali elementi di riconoscimento della natura propria della tariffa, la produzione dei rifiuti, la qualificazione del prelievo in termini di “corrispettivo” di un servizio (quello della “raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) e, quindi, la soppressione del tributo disciplinato dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997»;
ritenuto che «la qualificazione della T.I.A. 2 recata dall’art. 14, comma 3, del d.l. n. 78 non si esaurisca in una “operazione meramente nominalistica”, saldandosi, invece, con la disciplina originaria della medesima tariffa (art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006)
– diversa da quella dettata dal legislatore per la T.I.A. 1 -, nella quale trova rispondenza in base agli evidenziati indici di riconoscimento, in coerenza con il principio, di matrice europea, del “chi inquina paga” e con la definizione in termini di corrispettivo del prelievo stesso» «ed escluso, altresì, che vi siano «margini per poter apprezzare l’intervento legislativo di interpretazione autentica come arbitrario e manifestamente lesivo del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), tale da dare consistenza ad un dubbio di legittimità costituzionale sulla disposizione anzidetta», le SS.UU. di questa Corte hanno affermato che: «La natura privatistica della T.I.A. 2, quale corrispettivo del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, nel contesto di un rapporto sinallagmatico, consente, pertanto, l’assoggettabilità ad i.v.a. della relativa prestazione patrimoniale.
Né sono fondati i dubbi che il controricorrente ha prospettato sulla conformità di un tale approdo alla disciplina eurounitaria (direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto).
Come evidenziato in più di un’occasione dalla giurisprudenza di questa Corte, per un verso, non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, anche in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08); per altro verso, la Corte di giustizia ha ribadito (sentenza del 22 febbraio 2018, in causa C-182/17) che costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’imposta sul valore aggiunto, un’attività economica consistente nello svolgimento da parte di una società di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto concluso tra tale società e un comune, rimarcando, in siffatta prospettiva, “come la determinazione forfettaria (in quel caso, su base annua) di un simile compenso non spezza di per sé ¡1 nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), e l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40)” (così tra le molte: Cass. n. 32250/2018 e Cass. n. 19299/2019, citate).
Ciò, peraltro, rende irrilevante la difesa della parte controricorrente per cui la V.E.R.I.T.A.S. sarebbe “solo formalmente una società privata perché il suo socio sovrano è il Comune di Venezia”, giacché – pur volendo prescindere dal fatto che non viene precisato se la circostanza, la cui verifica richiede un approfondito accertamento in fatto, sia stata già fatta oggetto di discussione nel giudizio di merito – l’attività commerciale di una società in house “nei confronti di terzi ben può restare privatistica, nonostante la rilevanza pubblicistica del regime dell’ente ad altri fini correlati al controllo della società stessa da parte dell’amministrazione che ne sia socia” (tra le molte, Cass. n. 19545/2019)») considerato che:
alla luce di quanto sopra evidenziato non rileva la pregiudiziale comunitaria pure prospettata in questa sede da parte controricorrente con riferimento, cioè, alla direttiva n. 112 del 2006 in tema di regime IVA;
del resto, va rimarcato che solo conferme, in chiave di “acte claire”, giungono, in particolare, dalla pronuncia – pure richiamata dalle SS.UU. – della Corte di giustizia 22 febbraio 2018, in causa C-182/17, che – come sopra riportato – ha ribadito che la determinazione forfettaria (in quel caso, su base annua) di un simile compenso non spezza di per sé il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), e l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40);
può, quindi, concludersi nel senso che è legittima l’imposizione e riscossione dell’IVA sulle fatture relative alle cd. TIA2 di cui si discute in causa a partire dall’anno di riferimento 2011;
ritenuto che:
il ricorso debba essere, pertanto, accolto; la sentenza impugnata debba essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Venezia, in diversa composizione;
stante l’accoglimento del ricorso, vada dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Venezia, in diversa composizione.
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