CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 10772 depositata il 19 marzo 2021
Reati tributari – Omessa dichiarazione – Sequestro preventivo – Somme impignorabili
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Cagliari, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di N.N.R.D. avverso il decreto del G.i.p. del Tribunale di Pavia, con il quale veniva disposto il dissequestro e la restituzione all’istante, indagata per il delitto ex art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, delle eventuali somme eccedenti il quinto delle mensilità nette percepite a titolo di stipendio nel periodo successivo al 25 giugno 2020, data di esecuzione del sequestro preventivo del 17 giugno 2020, con il quale, tra l’altro, venivano sequestrati i saldi attivi dei conti correnti bancari intestati all’indagata.
2. Avverso l’indicata ordinanza, l’indagata, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, con cui deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 545 cod. proc. civ. Assume la ricorrente che il Tribunale avrebbe fornito un’interpretazione errata dell’art. 545, comma 8, cod. proc. pen., laddove hanno calcolato la somma impignorabile, pari al triplo dell’assegno sociale, sull’intero ammontare delle somme già in sequestro; per contro, ad avviso della ricorrente, l’impignorabilità di tale cifra va riferito ad ogni singolo accredito precedente al vincolo cautelare, come si desumerebbe dal tenore letterale della norma, che, nel prevedere l’impignorabilità di quote specifiche degli stipendi futuri, fa riferimento ad uno ogni accredito successivo, sicché i termini “accredito” e “somme” sono impiegati dal legislatore come sinonimi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, unicamente incentrato sull’asserita l’errata applicazione dell’art. 545, comma 8, cod. proc. civ., che prevede dei limiti al pignoramento di somme accreditate sul conto corrente del debitore laddove provengano da attività lavorativa, non è fondato.
2. Va premesso che la disposizione di cui all’art. 545 cod. proc. pen. trova applicazione anche nel procedimento penale; è difatti prevalente l’orientamento secondo cui, con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non possono essere sottoposte a vincolo somme corrispondenti al triplo della pensione sociale giacenti sul conto corrente del destinatario della misura, allorquando sia certo che costituiscano emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o d’impiego, e ciò in quanto che le previsioni degli artt. 1 e 2 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, essendo finalizzate alla tutela di un diritto fondamentale garantito dall’art. 2 Cost., trovano applicazione anche in materia penale e, segnatamente, con riguardo al sequestro preventivo (Sez. 3, n. 14606 del 14/03/2019, dep. 03/04/2019, Di franco, Rv. 275386).
3. Ciò posto, l’interpretazione congiunta della disciplina contenuta nei commi 7 e 8 dell’art. 545 cod. proc. civ. (aggiunti dal D.L. n. 83 del 2015, art. 13, comma 1, lett. I, convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2015) esclude che alle somme già percepite alla data di apposizione del vincolo si applichi il limite stabilito dal comma 7, da calcolare per ciascuna mensilità, bensì quello di cui al successivo comma 8 della medesima disposizione, da considerare una sola volta, come, correttamente, ha fatto il Tribunale.
4. Ciò si ricava con chiarezza dalla disposizione di cui al comma 8, secondo cui “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dai commi 3, 4, 5 e 7, nonché dalle speciali disposizioni di legge”.
Si tratta di una disposizione introdotta proprio allo scopo di eliminare le difficoltà interpretative e operative nell’esecuzione dei pignoramenti (e, quindi, anche dei sequestri) presso terzi, mediante la quale è stato chiarito che, a seguito della confusione di tali somme nel patrimonio del debitore, qualora ne sia certo, nonostante tale confusione, il carattere retributivo o pensionistico o assimilato indicato dalla norma, le stesse possono essere pignorate solamente per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale.
5. Proprio perché si tratta di somme già percepite e confuse nel patrimonio del debitore, deve escludersi che tale limite debba essere rapportato a ogni mensilità già percepita alla data di esecuzione del pignoramento (o sequestro), in quanto esse hanno perduto la loro funzione e il legislatore, per tutelare le esigenze di vita minime del lavoratore o del pensionato, ha inteso salvaguardarne, sottraendole al pignoramento (o sequestro), solo una quota, determinata nella misura del triplo della pensione sociale.
6. L’operatività del limite solamente entro tale ammontare, oltre che rispondente a regole razionali, trattandosi di somme già percepite e ormai confuse nel patrimonio del debitore, si ricava, oltre che dall’inequivoco tenore della prima parte della disposizione – che, appunto, fa riferimento all’accredito anteriormente al pignoramento – anche dalla seconda parte della stessa e dall’art. 545, comma 7, cod. proc. civ., che, per le somme accreditate alla data del pignoramento o successivamente, fa riferimento ai limiti di cui ai commi terzo, quarto, quinto e settimo della disposizione.
Tale ultimo comma fa chiaramente riferimento alle somme che devono ancora essere corrisposte, essendo univoco il riferimento alle “somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza”, in relazione alle quali viene stabilito il limite di pignorabilità nella misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà, oltre che l’operatività dei limiti di cui ai commi 3, 4 e 5 della medesima disposizione.
7. La netta e chiara distinzione tra le somme ancora da corrispondere al debitore, in relazione alle quali può, evidentemente, operare un limite da considerare per ogni mensilità, proprio perché si tratta di somme (retribuzioni o pensioni) che vengono corrisposte mensilmente, di cui al comma 7, e quelle già percepite, di cui al comma 8, determina il diverso ambito di operatività del limite alla loro pignorabilità, posto che le prime possono essere pignorate, nelle forme della espropriazione prezzo terzi, al momento della loro corresponsione, con l’anzidetto limite di cui al comma 7, previsto allo scopo di salvaguardare le esigenze vitali minime del lavoratore o del pensionato; le seconde, ossia quelle già percepite, di cui al comma 8, possono, invece, essere pignorate (e, dunque, anche sequestrate), con il diverso limite previsto da tale disposizione, a condizione che ne sia certa la natura, limite che non può però che operare una sola volta, proprio perché si tratta di somme già percepite, tanto che è stato stabilito dal legislatore in misura diversa.
8. Sulla scorta di tale ricostruzione, va perciò ribadito il principio, recentemente affermato da questa Sezione, secondo cui, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, le somme già percepite a titolo di credito pensionistico – o ad esso assimilato – e confuse nel patrimonio del debitore, possono essere pignorate, e quindi sequestrate, ai sensi dell’art. 545, comma 8, cod. proc. civ., con il limite del triplo dell’importo dell’assegno sociale che può operare una sola volta e a condizione che sia certa la natura della somma (Sez. 3, Sentenza n. 13130 del 19/11/2019, dep. 28/04/2020, Cattaneo, Rv. 279377).
9. Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza dei rilievi sollevati con il ricorso, essendo correttamente stato applicato dal Tribunale il limite di pignorabilità di cui all’art. 545, comma 8, cod. proc. civ.; al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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