CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 luglio 2021, n. 19866
Tributi – Imposta di registro – Atto di conferimento d’azienda – Nozione d’azienda – Complesso di beni potenzialmente utilizzabili per l’attività produttiva – Necessità di esercizio d’impresa attuale – Esclusione
Fatto
In data 24/5/2012 veniva recapitata alla società A. S.a.s. l’avviso di rettifica e liquidazione n. 20101T002407000 prot. 20593/12 dall’Agenzia delle Entrate di Chieti e in data 25/5/2012 veniva recapitato l’avviso di rettifica e liquidazione n. 20101T002407000 prot. 20591/12 anche a I.C., in proprio. In tali atti si spiegava che con atto per notaio D. del 27/5/2010, debitamente registrato, era stata costituita la società A. s.a.s. di C.I. & C., con capitale sociale di euro 9.900, di cui il 99% conferito in denaro dal socio I.C. ed euro 100, pari all’1% del capitale sociale, conferito dalla socia L.B. mediante conferimento della propria azienda corrente in Francavilla al Mare. Nel patrimonio immobiliare della B. conferita nella società era compreso un fabbricato adibito a struttura alberghiera denominata “H.S.M.”, oltre ad un appartamento.
Secondo l’amministrazione, in seguito ad un accesso in data 19/7/2010 era stata riscontrata l’estraneità dell’appartamento all’attività di impresa della conferente in quanto adibito di fatto ad abitazione principale della B. e l’inesistenza di una attività d’impresa riconducibile alla stessa L.B.
Quest’ultima, dunque, avrebbe costituito una ditta individuale al solo scopo di ottenere un risparmio di imposta.
In sostanza, secondo l’Ufficio, la società contribuente aveva fatto passare per conferimento di azienda ciò che azienda non era, in quanto la B. non svolgeva, al tempo del conferimento del suo compendio immobiliare nella società, alcuna attività d’impresa individuale. La socia B., dunque, avrebbe conferito un semplice compendio immobiliare, e avrebbe dovuto pagare non l’imposta di registro in misura fissa, prevista per i conferimenti di aziende, bensì l’imposta di registro in misura proporzionale.
L’Ufficio, dunque, rettificava il valore dei cespiti conferiti e procedeva al recupero dell’imposta proporzionale sul valore del patrimonio oggetto del conferimento.
La società A. s.a.s. e la C. in proprio proposero ricorso avverso gli avvisi di liquidazione e rettifica, che veniva accolto dalla CTP di Chieti, sulla base della motivazione che per aversi conferimento di azienda è sufficiente che il complesso di beni ceduti presenti una obiettiva attitudine all’esercizio dell’impresa.
Su appello dell’amministrazione, la CTR riformava la sentenza di prime cure, rigettando il ricorso delle contribuenti.
Avverso la sentenza di appello la società A. s.a.s. e I.C. in proprio hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi (l’ultimo erroneamente rubricato come quarto).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.)”, le contribuenti hanno dedotto l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che i motivi di appello spiegati dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado erano specifici: secondo le odierne ricorrenti la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in punto di ripartizione dell’onere probatorio tra le parti del giudizio (art. 360 n. 3 c.p.c.) nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove (art. 360 n. 3 c.p.c.); omesso esame di un fatto decisivo per la controversia oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)”, le contribuenti si dolgono che il giudice di appello abbia indebitamente invertito l’onere probatorio, a carico dell’Ufficio, ponendolo a carico di esse, ritenendo peraltro infondatamente che le odierne ricorrenti non avessero contestato in fatto le asserzioni dell’Ufficio circa il mancato svolgimento di un’attività d’impresa da parte della B. e circa la destinazione ad abitazione principale della stessa dell’appartamento da lei conferito, insieme con l’immobile ad uso alberghiero, nella società A. s.a.s.
Le contribuenti hanno rilevato che L.B. aveva acquistato (con atto per notaio D. in data 19/2/2010) dalla società “Gestioni Alberghiere di B.L. & C.” il ramo d’azienda avente ad oggetto l’attività di albergo ristorante, denominato H.S.M., sito in Francavilla al Mare al viale A. n. (..), compresi gli arredi, le attrezzature, gli impianti e le macchine d’ufficio elettroniche. Successivamente, con atto per notaio D. del 27/5/2010, la socia L.B. aveva conferito nella società A. s.a.s. la propria azienda comprensiva di mobili, immobili, beni immateriali, crediti e debiti. In particolare, in tale azienda erano ricompresi un appartamento ad uso foresteria ed un intero fabbricato ad uso albergo sito in Francavilla al Mare, ed all’atto di conferimento era allegata la situazione patrimoniale dell’azienda e l’inventario dei beni e delle attrezzature aziendali. Orbene, le contribuenti odierne ricorrenti hanno dedotto che ai fini della qualificazione come azienda di un complesso di beni è sufficiente che quest’ultimo sia caratterizzato dalla loro obiettiva attitudine all’esercizio dell’impresa: non è necessario, cioè, che vi sia un esercizio in atto di un’impresa, bensì che il complesso di beni sia organizzato e presenti una attitudine all’esercizio dell’impresa, ossia una mera potenzialità produttiva.
La CTR, dunque, con la sentenza impugnata, avrebbe commesso l’errore di disarticolare arbitrariamente il complesso aziendale conferito.
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986; dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’art. 23 della Costituzione con riferimento all’indebito riconoscimento della natura antielusiva del medesimo art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”, le contribuenti contestano che la CTR abbia attribuito alla disposizione dell’art. 20 Tur una portata antielusiva, radicalmente esclusa, invece, dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), nonché violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; violazione del giudicato”, le contribuenti ricorrenti ribadiscono la censura alla sentenza della CTR nella parte in cui ha ritenuto, senza un adeguato corredo probatorio, che la causa reale dei negozi posti in essere dalla B. fosse quella di farle conseguire un indebito risparmio di imposta, anziché quella di conferire in società un complesso aziendale costituito anche di immobili da adibire ad uso alberghiero e di foresteria.
5. Con l’ultimo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., per omesso esame in relazione alla possibilità dell’ufficio di procedere alla rettifica del valore del bene oggetto di conferimento”, le contribuenti si dolgono che la CTR abbia omesso di pronunciarsi sulla questione, da loro dedotta in appello, circa la sussistenza o meno del potere in capo all’Ufficio di rideterminare il valore degli immobili facenti parte del compendio aziendale conferito dalla B. nella società A. s.a.s.
6. Per economia processuale, e per la loro stretta connessione, debbono esaminarsi congiuntamente per primi il secondo, il terzo e il quarto motivo.
6.1 Essi sono fondati per quanto di ragione.
6.2 Risulta dal ricorso delle contribuenti, in ossequio al principio di autosufficienza, che L.B. aveva acquistato dalla società “Gestioni Alberghiere di B. Liliana & C.” il ramo d’azienda avente ad oggetto l’attività di albergo ristorante, denominato H.S.M., corrente in Francavilla al Mare al viale A. (…), compresi arredi, attrezzature, impianti, macchine d’ufficio elettroniche come riportate nel relativo elenco allegato agli atti. Successivamente, con atto del 27/5/2010, la B. aveva conferito nella società A. s.a.s. la propria azienda, comprensiva di tutti i suoi elementi materiali e immateriali.
Tra gli immobili conferiti in società vi erano l’H.S.M. ed un appartamento adibito ad uso foresteria.
Orbene, la giurisprudenza di questa Suprema Corte esclude, innanzitutto, che l’art. 20 Tur abbia una portata antielusiva, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, che invece ha dato rilievo al presunto intento, da parte delle contribuenti, di conseguire un ingiustificato risparmio fiscale. L’emersione di un tale intento, in vero, è irrilevante per il richiamato art. 20 Tur, che è solo una disposizione sulla interpretazione dell’atto sottoposto a registrazione (Cass., sez. 6-5, n. 313/2018; Cass., sez. 5, n. 7637/2018).
La natura dell’oggetto del conferimento, dunque, deve essere indagata con l’ausilio dei soli strumenti ermeneutici: la sanzione, in chiave antielusiva, dell’uso distorto degli strumenti negoziali al solo fine di conseguire un indebito risparmio fiscale non può essere irrogata dall’Ufficio tramite la semplice riqualificazione dell’atto sottoposto a registrazione, ai sensi dell’art. 20 Tur.
Rileva, allora, ai fini della decisione dei motivi sotto scrutinio, l’esatta nozione di azienda.
Orbene, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che “in tema di imposta di registro, è integrata una cessione d’azienda e non di singoli beni ove gli stessi, nel loro complesso, siano potenzialmente utilizzabili per l’attività produttiva, non assumendo rilevanza l’attuale esercizio dell’impresa” (Cass., sez. 5, n. 33486/2018; Cass., sez. 5, n. 27290/2017).
Nel caso di specie, L.B. aveva acquistato un immobile destinato ad albergo (H.S.M.) da una società e qualche mese dopo lo aveva conferito, unitamente ad un appartamento da adibire a foresteria, nella società A. s.a.s., svolgente attività recettiva di tipo alberghiero.
Certamente tali due immobili possono costituire un compendio aziendale: l’attitudine all’esercizio dell’attività economica dei due immobili conferiti nella società odierna ricorrente è anzi insita nella circostanza che l’immobile a destinazione alberghiera era stato acquistato da una società che svolgeva proprio attività ricettiva.
Quanto all’appartamento, che l’Ufficio ha ritenuto essere sede dell’abitazione principale della B., ciò che rileva per il suo inserimento in un’azienda non è la sua attuale destinazione, ma il fatto che esso, unitamente all’immobile destinato ad albergo, fosse suscettibile di essere utilizzato quale foresteria.
Ciò che conta, in definitiva, affinché un complesso di beni possa costituire una azienda, non è l’uso che dei beni se ne fa al tempo dell’atto negoziale sottoposto a registrazione, ma l’attitudine oggettiva di tali beni ad essere utilizzati per una determinata attività economica da parte del soggetto cessionario (A. s.a.s.), unitamente agli altri beni del complessivo compendio oggetto di trasferimento e a quelli già nella titolarità del cessionario.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso con l’assorbimento dei motivi non scrutinati.
6.3 La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata, con l’annullamento dell’avviso di liquidazione e rettifica impugnato dalle odierne contribuenti in primo grado.
7. Le incertezze giurisprudenziali in merito agli esatti confini dell’art. 20 Tur consigliano la integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo per quanto di ragione, assorbiti il primo e il quinto.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’avviso di liquidazione e rettifica impugnato dalle contribuenti in primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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