CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 febbraio 2022, n. 2021
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico del reddito – Redditometro – Elementi indice di capacità contributiva – Prova contraria – Liberalità – Adeguata prova documentale della disponibilità all’interno del nucleo familiare, ma anche della loro entità e della durata del possesso
Rilevato che
S. A. ha chiesto la cassazione della sentenza n. 9606/02/2014, depositata il 7.11.2014 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno.
Ha riferito che a seguito di verifica condotta ex art. 38 co. 4, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 sulla base degli indici di spesa del contribuente, insegnante di scuola media ed esercente la libera professione di dietologo, era stato rideterminato il reddito relativo all’anno d’imposta 2006, elevato da € 31.874,00 ad € 95.996,00. Alla rideterminazione l’Ufficio era pervenuto per la constatata disponibilità di autoveicoli, immobili, polizze vita, incongruenti con il reddito dichiarato.
Contestando i presupposti dell’atto impositivo, il contribuente adì la Commissione tributaria provinciale di Avellino, che con sentenza n. 518/05/2011 accolse in parte le ragioni dello S. (relativamente agli indici presuntivi di reddito ricondotti dall’Amministrazione finanziaria alla polizza vita ed al possesso di due autovetture, nonché all’acquisto di immobili, per i quali, secondo la motivazione del giudice di primo grado, non era stata considerata la cointestazione al coniuge, in regime di comunione dei beni). La pronuncia fu appellata da entrambe le parti, dal contribuente perché non si era tenuto conto dei disinvestimenti operati, e dai cui fondi era stata attinta la provvista per gli acquisti immobiliari; dall’Agenzia delle entrate, che aveva contestato l’irrilevanza del regime di comunione dei beni tra i coniugi ai fini della determinazione della capacità contributiva dello S.. Sulle altre ragioni di ricorso accolte dal giudice di primo grado l’Ufficio non propose impugnazione. Con la sentenza ora al vaglio della Corte la Commissione regionale, dopo aver avvertito la definitività della pronuncia appellata con riguardo ad alcuni indici presuntivi di reddito (seconda autovettura, polizza vita), ha riconosciuto che i disinvestimenti operati dal contribuente giustificavano gli acquisti immobiliari, trattandosi di valori quasi corrispondenti. Di contro, accogliendo anche l’appello incidentale dell’Amministrazione finanziaria, ha riformato la sentenza del giudice provinciale, che aveva dimezzato il reddito riconducibile agli acquisti immobiliari, ritenendo irrilevante il regime patrimoniale della comunione dei beni e la loro conseguente cointestazione.
Il ricorrente ha censurato la decisione con un unico motivo, chiedendo la cassazione della sentenza, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate, a sua volta spiegando ricorso incidentale con un motivo.
Nell’adunanza camerale del 9 luglio 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti depositati dalle parti.
Considerato che
Con l’unico motivo il contribuente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 38, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per non aver tenuto conto che l’incremento del reddito accertato rispetto al dichiarato era inferiore ad un quarto, con conseguente inapplicabilità del criterio sintetico di determinazione del reddito, secondo la formulazione della norma vigente ratione temporis.
Il motivo, per taluni aspetti oscuro nella sua esposizione, è inammissibile, poiché, pretendendo un ricalcolo del maggior reddito determinabile sulla base degli indici di spesa presuntivi di ricchezza -che secondo il quadro sinottico riportato quantificherebbe il maggior reddito in € 36.577,00, così che risulta anche matematicamente incomprensibile sostenere che lo scostamento rispetto al dichiarato (€ 31.874,00) sia inferiore ad un quarto-, pretende in sede di legittimità una valutazione di cifre e di rapporti tra dichiarato e accertato che afferiscono ad accertamenti in fatto, inammissibili nel giudizio di cassazione. Peraltro, per completezza, lo scostamento percentualmente rilevante ai fini del corretto ricorso all’accertamento sintetico afferisce all’accertato e non all’esito finale del giudizio, così che il motivo risulta incomprensibile ed inammissibile anche sotto tale diverso ed ulteriore profilo.
Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile.
Esaminando ora il ricorso incidentale proposto dalla Agenzia delle entrate, con l’unico motivo l’Ufficio si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 5 e 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 2728 cod. civ., nonché degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per l’erronea conclusione, cui il giudice regionale è pervenuto, relativamente alla riconosciuta disponibilità finanziaria pregressa, mancando la prova che quella maggiore disponibilità sia stata impiegata nell’acquisto dei nuovi immobili.
Il motivo è infondato. Il giudice regionale ha ritenuto di aderire all’orientamento secondo cui, in tema di prova del possesso di provvista che giustifichi le spese, altrimenti indice presuntivo di maggior reddito, «è sufficiente a vincere la presunzione legale relativa [….], la dimostrazione circa l’esistenza e l’entità dei redditi diversi esenti o già sottoposti a tassazione separata […] senza necessità di comprovare il loro specifico reimpiego». A tal fine ha evidenziato che i disinvestimenti, eseguiti per l’importo di € 238.000,00 tra il 2005 ed il 2009 e dunque cronologicamente di poco anteriori o contestuali agli acquisti utilizzati dall’Agenzia delle entrate ai fini della determinazione sintetica del reddito «appare comprovare adeguatamente il possesso di redditi atto a giustificare gli incrementi patrimoniali de quibus».
Questa Corte ha affermato che nell’accertamento sintetico del reddito, quando il contribuente deduca che la spesa sia frutto di liberalità o di altra provenienza, deve fornire adeguata prova documentale non solo della disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche della loro entità e della durata del possesso, ancorché non sia tenuto a dimostrare la specifica destinazione alle spese contestate (Cass., 28/03/2018, n. 7757; 13/11/2018, n. 29067; 4/08/2020, n. 16637). Si tratta di un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, cui questo Collegio intende dare continuità. Nel caso di specie il giudice d’appello ha deciso tenendo conto del principio di diritto dispensato da questa Corte.
Del tutto infondata si rivela pertanto la censura dell’Agenzia delle entrate, secondo cui il contribuente era tenuto a dimostrare il collegamento specifico tra disponibilità finanziaria pregressa e spesa per incrementi patrimoniali.
Il ricorso incidentale va dunque rigettato.
La reciproca soccombenza impone la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale; rigetta quello incidentale. Compensa le spese di causa. Con riguardo al rigetto del ricorso principale del contribuente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto. Con riferimento al rigetto del ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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