CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2022, n. 10745
Rapporto di lavoro – Fruizione del trattamento di disoccupazione ordinaria – Indennità di mobilità in deroga – Termine di presentazione dell’istanza – Decorrenza – Applicabilità dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 9.12.2015, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato inammissibile la domanda di A.M. volta a conseguire l’indennità di mobilità in deroga con decorrenza dal 15.8.2012.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che, secondo quando previsto dagli accordi governativi attuativi dell’art. 2, l. n. 191/2009, la domanda avente ad oggetto la prestazione doveva essere presentata entro il termine di 90 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro e che alle domande intempestive dovesse applicarsi il regime decadenziale di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, di talché, avendo l’istante presentato la domanda solo in data 28.9.2012, a fronte di dimissioni rassegnate con effetto dal 6.12.2011, il diritto alla prestazione si era irrimediabilmente estinto.
Avverso tali statuizioni A.M. ha ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura. L’INPS ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria. La Regione Calabria non ha svolto in questa sede attività difensiva.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del verbale di Accordo Istituzionale del 12.5.2011 per l’erogazione dell’indennità di mobilità in deroga negli anni 2011-2012, per avere la Corte di merito ritenuto che la domanda relativa alla prestazione andasse proposta entro il termine di 90 giorni dalla data dell’evento risolutivo del rapporto di lavoro senza considerare che, avendo egli percepito il trattamento ordinario di disoccupazione dal 14.12.2011 al 13.8.2012, le condizioni per fruire della prestazione richiesta dovevano ritenersi maturate solo successivamente alla cessazione del sostegno al reddito.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte territoriale considerato che, avendo egli beneficiato del trattamento di disoccupazione, il termine per la presentazione della domanda non poteva decorrere dalla data delle dimissioni.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di falsa applicazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, per avere la Corte di merito ritenuto che, sebbene le domande per fruire della prestazione in questione dovessero essere presentate alla Regione Calabria, la loro mancata tempestiva presentazione implicasse la decadenza prevista dalla norma cit., che invece è applicabile soltanto alle prestazioni dell’assicurazione generale obbligatoria.
Con il quarto motivo, infine, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto che, ai fini della decadenza prevista da tale norma, il dies a quo non andasse computato a far data dalla cessazione del beneficio dell’indennità di disoccupazione.
Deve anzitutto convenirsi con il Pubblico ministero nel rilievo secondo cui, sebbene la giurisdizione del giudice ordinario sulle domande di indennità di mobilità in deroga possa affermarsi soltanto in esito al decreto dirigenziale della Regione di autorizzazione della concessione del beneficio, solo allora potendo stricto sensu configurarsi una posizione di diritto soggettivo in capo all’istante (così Cass. S.U. n. 21435 del 2018), della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria nella presente controversia non è più lecito discutere, essendo intervenuto il giudicato implicito sulla statuizione del primo giudice che, dichiarando improponibile la domanda per difetto di presentazione della domanda amministrativa all’INPS, ha implicitamente affermato la propria cognizione sul merito (giurisprudenza costante fin da Cass. S.U. n. 24883 del 2008: cfr., fra le più recenti, Cass. S.U. 28179 del 2020).
Si deve piuttosto aggiungere che, nonostante la giurisprudenza di questa Corte abbia reiteratamente affermato che l’improponibilità derivante dalla mancata presentazione della domanda amministrativa all’ente previdenziale determina una temporanea carenza di giurisdizione (così ad es. Cass. n. 5149 del 2004, richiamata da ult. da Cass. n. 27355 del 2020), deve escludersi che si tratti di una carenza assimilabile al difetto assoluto di giurisdizione di cui all’art. 37 e 382, comma 3°, c.p.c., ciò che renderebbe la questione di giurisdizione ancora rilevabile da questa Corte: un’improponibilità della domanda che dipenda da un difetto assoluto di giurisdizione si ha infatti solo quando la situazione dedotta in giudizio resti al di fuori del campo giuridico per difetto di una norma o di un principio dell’ordinamento che la tuteli e non sia quindi neppure in astratto configurabile come diritto soggettivo o come interesse legittimo, mentre quando la controversia concerne la sussistenza delle condizioni concrete di applicazione di una norma, ancorché venga risolta in favore di chi neghi l’esistenza delle condizioni che rendono operativa la tutela che quella norma assicura, si è al di fuori della possibilità di configurare in astratto il difetto di giurisdizione e l’oggetto della pronuncia verte dunque non sulla giurisdizione, ma sul merito (così in termini Cass. S.U. n. 2056 del 1975, sulla scorta di Cass. S.U. n. 1523 del 1973).
Ciò posto, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure, e sono fondati nei termini di cui appresso.
Va premesso che l’istituto della c.d. mobilità in deroga era disciplinato, all’epoca dei fatti per cui è causa, dall’art. 1, comma 138, l. n. 191/2009, il quale – per quanto qui rileva – stabiliva che, “in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali per l’anno 2010 e nel limite delle risorse di cui al comma 140, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può disporre, sulla base di specifici accordi governativi e per periodi non superiori a dodici mesi, in deroga alla normativa vigente, la concessione, anche senza soluzione di continuità, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche con riferimento a settori produttivi e ad aree regionali”.
In attuazione di tale disposizione, l’Accordo Istituzionale del 12.5.2011 tra la Regione Calabria e le parti sociali, in esecuzione dell’intesa Stato-Regioni per gli anni 2011-2012 sugli ammortizzatori sociali in deroga e sulle politiche attive del 20.4.2011, ha previsto, al punto 2, terzo cpv., che le domande di mobilità in deroga andassero presentate alla Regione Calabria “entro 120 giorni dalla data del licenziamento o di cessazione di sostegno al reddito ordinario per l’anno 2011 ed entro 90 per l’anno 2012” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata; il testo dell’accordo è stato specificamente prodotto sub n. 2 degli allegati al ricorso per cassazione).
Ora, se può senz’altro convenirsi con l’Istituto controricorrente nell’assunto secondo cui le previsioni di tale accordo non costituiscono norme di diritto la cui violazione è direttamente censurabile per cassazione, non trattandosi di contratto collettivo nazionale ma di accordo stipulato tra la Regione Calabria e le parti sociali, non è meno vero che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l’interpretazione del contratto (che, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito) può essere censurabile per cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, giusta la previsione dell’art. 360 comma 1° n. 5 (così, tra le più recenti, Cass. n. 14355 del 2016).
Ed è precisamente tale ultima censura che qui viene in rilievo, atteso che – come giustamente stigmatizzato nel secondo motivo del ricorso – la Corte territoriale, nel ricostruire la volontà collettiva consacrata nell’accordo in ordine al termine di presentazione delle domande per la mobilità in deroga, ha anzitutto omesso di considerare la previsione secondo cui il termine può decorrere “dalla data di licenziamento o di cessazione di sostegno al reddito ordinario” e, in stretta correlazione ad essa, la circostanza (di cui la stessa sentenza dà atto a pag. 2) che fin dall’inizio del presente procedimento l’odierno ricorrente aveva dedotto di aver fruito del trattamento di disoccupazione ordinaria fino al 13.8.2012, con conseguente “cessazione del sostegno al reddito ordinario” solo in epoca successiva a tale data.
Tale duplice circostanza, a parere del Collegio, costituisce certamente un “fatto decisivo per il giudizio”, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e innumerevoli successive conformi); ed è appena il caso di soggiungere che a contrarie conclusioni non è dato giungere in considerazione del fatto che la posizione giuridica soggettiva fatta valere dall’odierno ricorrente possa avere la consistenza di interesse legittimo, come argomentato dall’INPS in sede di discussione orale, rilevando in questa sede solo l’erroneità della pronuncia circa la decadenza, che ne ha precluso in assoluto l’esame.
Pertanto, assorbiti gli ulteriori motivi, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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