Agenzia delle Entrate – Risposta n. 410 del 4 agosto 2022
IVA – Importazioni di “geni modificati” per sperimentazione clinica – art. 68 d.P.R. n. 633 del 1972
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
La società ALFA (di seguito, anche “ALFA”, la “Società” o l'”Istante”) fa parte del gruppo BETA, la cui attività principale consiste nello sviluppo di farmaci. A tal fine, ALFA, in veste di Promotore, effettua diversi test clinici, concludendo accordi con siti di sperimentazione italiani, utilizzando i farmaci nel kit di prova.
Il kit di prova comprende il farmaco clinico sperimentale da testare, placebo e materiali di consumo ausiliari (per esempio iniezioni, aghi, tubi, siringhe piene, inalatori) necessari per eseguire i test clinici.
Lo sperimentatore può essere un ospedale, un medico indipendente, una clinica, un’organizzazione governativa o altro istituto di ricerca che ha l’incarico di documentare l’esito della sperimentazione clinica alla società farmaceutica committente. Talvolta il Promotore (ALFA) può anche decidere di dare l’incarico ad un’Organizzazione di Ricerca Clinica (CRO), il cui compito è di aiutare a gestire la sperimentazione clinica.
I kit di prova utilizzati durante le sperimentazioni cliniche sono debitamente etichettati (come richiesto dalla normativa di settore) come farmaci di ricerca per l’uso esclusivo di sperimentazioni cliniche e tracciati per differenziarli da altri prodotti/scorte situati nei siti di sperimentazione clinica (utilizzando uno specifico sistema di codifica), così che sia possibile tracciarli/individuarli in qualsiasi momento. Il Promotore rimane il proprietario del kit di prova durante l’intero processo di sperimentazione clinica (i.e. i kit di prova non vengono venduti né allo sperimentatore né a terzi). Il Promotore metterà a disposizione dello Sperimentatore i kit di prova, che vengono consumati nel corso del processo stesso.
Nel caso oggetto della presente istanza, la società GAMMA (casa madre dell’Istante) intende effettuare test clinici in un certo numero di Paesi che utilizzano una particolare tecnologia di modifica del gene per curare i pazienti. A tal fine, GAMMA ha stipulato un accordo (partnership) con la società DELTA.
In particolare, il processo consiste nel prelevare il sangue dai pazienti, trasportarlo in uno dei siti di lavorazione nel quale avviene la modifica del genoma ed infine trasportarlo nuovamente ai pazienti per essere trasfuso. I suddetti siti di lavorazione in cui è applicata la specifica tecnologia di modifica del gene sono situati in Paesi extra UE.
Di seguito si riassumono i passaggi da intraprendere per il processo di editing del genoma nella specifica fattispecie oggetto del quesito:
- le cellule del sangue vengono prelevate dal medico dell’ospedale in cui il paziente è in Ai fini di questo specifico test, ciascun ospedale/medico deve essere iscritto/autorizzato quale centro clinico da GAMMA;
- le suddette cellule di sangue sono poi esportate dall’Italia ai centri di lavorazione situati in Paesi extra UE, a cura di DELTA o del centro clinico autorizzato, i quali agiscono come esportatori;
- il soggetto importatore delle cellule del sangue dei pazienti nei Paesi extraUE sarà DELTA;
- DELTA, utilizzando una specifica tecnologia di modifica del gene, in collaborazione con un altro produttore, sottopone le cellule di sangue alle necessarie lavorazioni nei Paesi extra UE, e ottiene il “prodotto finito”, ossia i “geni modificati”;
- una volta che le cellule del sangue sono state sottoposte al processo lavorazione con tale particolare tecnologia di modifica del gene nelle relative strutture situate in quei Paesi extra UE, i “geni modificati” vengono poi spediti ai pazienti negli ospedali in Italia;
- ALFA agisce come importatore dei “geni modificati” in Italia sebbene la proprietà di tali beni rimanga di GAMMA;
- i “geni modificati” sono infine trasfusi nuovamente nei pazienti come parte del loro trattamento.
Una volta che tale processo di modifica del gene sarà approvato dall’AIFA (assumendo un esito positivo dei test clinici), è previsto che ALFA sarà il rappresentante italiano del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio nel mercato italiano.
I beni importati sono classificabili alla voce della Nomenclatura combinata “3002 9090 90”, ovvero “sangue umano; sangue animale preparato per usi terapeutici, profilattici o diagnostici; antisieri, altre frazioni del sangue o prodotti immunologici, anche modificati o ottenuti mediante procedimenti biotecnologici; vaccini, tossine, colture di microorganismi (esclusi i lieviti) e prodotti simili – altri- – altri – -altri.“.
L’Istante fa presente che il suddetto processo di applicazione di tale specifica tecnologia di modifica del gene è ancora in fase di sperimentazione clinica, e pertanto, il genoma modificato non sarà oggetto di cessione; in altre parole, i beni importati in Italia non sono ancora stati autorizzati in Italia come farmaci e vengono, quindi, importati al fine di effettuare il test richiesto dal Promotore (EPSILON) sui pazienti.
Tanto premesso, l’Istante è interessato a conoscere il corretto trattamento IVA applicabile all’importazione dei geni modificati – così come sopra descritti – in Italia. In particolare, l’Istante è interessato ad ottenere il parere in merito alle seguenti questioni interpretative:
- se il termine “consumati” previsto dall’art. 73 della Direttiva 2009/132/CE del 19 ottobre 2009 – relativo all’esenzione dall’IVA all’importazione per i beni importati da Paesi terzi per esami, analisi o prove – comprenda anche il caso di beni (” geni modificati“, nel caso di specie) trasfusi direttamente nel paziente, al fine di qualificare la relativa importazione come non soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972 n. 633;
- indipendentemente dalla risposta al punto n. 1), se l’Istante ha diritto a detrarre l’IVA assolta sull’importazione dei beni, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, agendo in qualità di importatore dei beni senza detenerne la proprietà.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che i quesiti posti vadano risolti alla luce delle seguenti considerazioni.
L’art. 143, primo comma, lett. b) della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 Novembre 2006, prevede che le importazioni di beni disciplinate dalle direttive […] 83/181/CEE […] sono esenti da IVA, disposizione poi trasfusa nella Direttiva 2009/132/CEE, la quale prevede, agli articoli che vanno dal 72 al 78, che sono esenti da IVA all’atto dell’importazione “i beni destinati ad essere sottoposti ad esami, analisi o prove per determinarne la composizione, la qualità o le altre caratteristiche tecniche, o a scopo di informazione o per ricerche di carattere industriale o commerciale“.
La suddetta esenzione è concessa solo a condizione che i beni da sottoporre ad esami, analisi o prove siano interamente “consumati” o “distrutti” nel corso di tali operazioni.
Secondo la normativa interna, le importazioni di tali beni sono esenti ai sensi dell’art. 68 del d.P.R. n. 633 del 1972.
L’Istante ritiene che il termine “consumati” previsto dall’art. 73 della Direttiva 2009/132/CE per i beni importati da Paesi terzi al fine di essere sottoposti ad esami, analisi o prove, comprenda anche i beni (i.e. “geni modificati” nel caso di specie) trasfusi direttamente nel paziente. Infatti, tramite la trasfusione dei “geni modificati” nei pazienti, tali beni importati non possono essere utilizzati per nessun altro scopo successivo e, quindi, i geni vengono effettivamente “consumati“.
La suddetta conclusione è supportata anche dai seguenti elementi.
L’art. 76 della Direttiva 2009/132/CE prevede che l’esenzione si applichi anche ai beni che non sono interamente distrutti o consumati nel corso degli esami, delle analisi o delle prove a condizione che i prodotti residui – tra le diverse condizioni – siano interamente distrutti o resi privi di valore commerciale al termine degli esami, delle analisi, delle prove. I beni oggetto della presente istanza (geni modificati) possono essere utilizzati solo ed esclusivamente con riferimento ai pazienti da cui sono state estratte le relative cellule di sangue e, quindi, sono “resi privi di valore commerciale” a seguito degli esami in quanto non sussiste il rischio che tali beni possano essere venduti o utilizzati diversamente.
Viene, inoltre, precisato che tutti gli utilizzi del farmaco sperimentale in esame sono registrati in un inventario e tutte le relative movimentazioni sono tracciate e monitorate sulla base di specifiche pratiche/disposizioni normative (il rispetto di tali disposizioni è soggetto a farmacovigilanza da parte delle apposite entità regolamentari). Ne consegue che i beni in esame sono opportunamente monitorati ed il loro utilizzo è soggetto a rigide normative; non ci sono rischi di utilizzare i beni per motivi diversi dal processo di sperimentazione clinica.
In aggiunta a quanto sopra, considerato che i kit di prova sono consumati per scopi aziendali, ad avviso della società istante, il loro consumo potrebbe essere visto come consumo interno e quindi fuori campo IVA (Risoluzione Ministeriale n. 103 del 28 ottobre 2011, secondo cui l’utilizzo dei beni per la produzione aziendale si qualifica come “autoconsumo interno”).
Nel caso in esame, a parere dell’Istante, si ritiene applicabile il regime di esenzione IVA all’importazione in esame in quanto tutte le relative condizioni previste dalla norma risultano essere soddisfatte. In particolare:
- i beni (geni modificati) sono completamente consumati durante il processo di test clinico;
- in ogni caso, i beni possono essere utilizzati solo ed esclusivamente con riferimento ai pazienti dai quali sono state estratte le relative cellule di sangue e quindi non vi è rischio che tali beni possano essere venduti o utilizzati altrimenti;
- i beni sono importati nella quantità strettamente necessaria all’effettuazione dei test clinici (tali quantità saranno in ogni caso determinate dalle autorità competenti, tenendo conto di tale obiettivo);
Considerato quanto sopra, l’Istante ritiene che i beni in esame possano beneficiare del regime di esenzione dall’IVA all’importazione previsto dalla Direttiva 2009/132/CE per i beni importati da Paesi terzi a fini di esami, analisi, prove, in quanto tali beni sono interamente “consumati” per il tramite della loro trasfusione nei pazienti.
In conclusione, l’Istante ritiene che l’introduzione dei beni in esame in Italia costituisca un’importazione non soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 68 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Per quanto riguarda invece la questione interpretativa relativa al punto 2 (diritto alla detrazione IVA assolta sull’importazione dei beni), la Società ritiene, qualora l’esenzione di cui al punto 1 non dovesse trovare applicazione, di avere diritto a detrarre – ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 – l’IVA assolta all’importazione dei beni in Italia, in qualità di importatore, pur non detenendo la proprietà degli stessi. A tale fine la Società rappresenta quanto segue.
In linea di principio, il soggetto che agisce quale “importatore” dei beni (i.e. il soggetto responsabile dell’adempimento delle obbligazioni connesse alle merci importate) non deve necessariamente coincidere con il proprietario dei beni stessi. Ciò è in linea con l’art. 201 della Direttiva del 28/11/2006 n. 112 (Direttiva IVA), a mente del quale “All’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione“.
Con specifico riferimento alla detrazione dell’IVA assolta all’importazione, ai sensi dell’art. 168, primo comma, lettera e) della Direttiva IVA “Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore […] (e) l’IVA dovuta o assolta per i beni importati in tale stato membro”.
Come chiarito dalla Corte di Giustizia Europea (v. par. 49 della Decisione C- 187/14 del 25 giugno 2015, DSV Road) “secondo la formulazione dell’art. 168, lett. e), della Direttiva IVA, un diritto a detrazione sussiste soltanto qualora i beni importati siano utilizzati ai fini delle operazioni imponibili del soggetto passivo. Secondo giurisprudenza costante della Corte in materia di diritto a detrazione dell’IVA gravante sull’acquisizione di beni o servizi, tale condizione è soddisfatta soltanto qualora il costo delle prestazioni a monte sia incorporato nel prezzo delle operazioni specifiche a valle o nel prezzo dei beni e servizi forniti dal soggetto passivo nel contesto delle sue attività economiche (v sentenze SKF, C-29/08, EU:C:2009:665; punto 60, e Eon Aset Menidjmunt, EU:C:2012:97, punto 48).
Inoltre, nella decisione C-132/16 del 14 settembre 2017 (Iberdrola) la Corte di Giustizia europea ha ulteriormente chiarito che “la sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle, che conferiscono il diritto alla detrazione, è necessaria, in via di principio, affinché il diritto a detrazione dell’IVA assolta a monte sia riconosciuto al soggetto passivo ed al fine di determinare la portata di siffatto diritto. Il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese compiute per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costituivi del prezzo delle operazioni tassate a valle che conferiscono il diritto alla detrazione. […]. Il diritto a detrazione è tuttavia ammesso a beneficio del soggetto passivo anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Spese di tale genere presentano, infatti, un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo” (par. 28 e 29).
I medesimi principi sono stati più recentemente richiamati nell’ordinanza della Corte di Giustizia UE 8 ottobre 2020, Causa C-621/19.
La società fa presente che anche l’Agenzia delle Entrate (v. Risoluzioni n. 346 del 5 agosto del 2008 e n. 96 dell’11 maggio 2007 e Risposte n. 6 dell’11 gennaio 2019 e n. 509 del 26 luglio 2021) e la Corte di Cassazione (v. Sentenza n. 7016 del 22 febbraio 2001) hanno confermato che l’importatore dei beni ha il diritto di recuperare l’IVA assolta all’importazione, anche qualora non sia il proprietario dei beni stessi.
In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7016 del 22 febbraio 2001, ha riconosciuto spettante il diritto alla detrazione dell’IVA assolta all’importazione ad un soggetto importatore il quale non era proprietario dei beni importati, ma utilizzava gli stessi per lavori di installazione e manutenzione. In tal senso, anche la Corte di Cassazione ha sottolineato che il diritto a detrarre l’IVA assolta all’importazione non presuppone necessariamente che l’importatore debba essere anche il proprietario dei beni importati, purché tali beni siano successivamente utilizzati con riferimento ad operazioni imponibili o siano inerenti all’attività di impresa svolta.
Ad avviso dell’Istante, i suddetti principi elaborati dalla Corte di Giustizia, nonché dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa, conducono a riconoscere ad ALFA il diritto di detrarre l’IVA assolta all’importazione dei beni, pur non essendone proprietaria, poiché tali beni sono inerenti alla sua attività d’impresa (i.e. alla futura commercializzazione in Italia del farmaco approvato dalle competenti autorità, all’esito positivo del test clinico.)
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Con l’istanza di interpello in esame la Società ha posto due quesiti di carattere interpretativo in relazione alla descritta operazione di importazione in Italia dei cosiddetti “geni modificati“, risultanti dalla lavorazione eseguita all’estero delle cellule del sangue prelevato dai pazienti in Italia secondo quanto puntualmente descritto sia nella originaria istanza sia in sede di risposta alla richiesta di documentazione integrativa.
In relazione al primo quesito, vertente sul regime IVA applicabile all’importazione in Italia dei “geni modificati”, in via preliminare è il caso di chiarire che, in mancanza di una puntuale norma interna di recepimento degli articoli 72-78 della Direttiva 2009/132/CEE, ai fini che qui interessano assume rilevanza la previsione di cui all’art. 68, primo comma, lett. c), del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in base alla quale non è soggetta ad IVA “ogni altra importazione definitiva di beni la cui cessione è esente dall’imposta o non vi è soggetta a norma dell’art. 72. […]”.
Tenuto conto che rientrano nell’ambito applicativo di detta disposizione le importazioni di beni la cui cessione in Italia costituisce un’operazione esente, si ricorda che, per quanto di specifico rilievo nel caso di specie, l’art. 10, primo comma, del citato d.P.R. n. 633 del 1972, ricomprende tra le operazioni esenti “le cessioni di organi, sangue e latte umani e di plasma sanguigno” (cfr. art. 10, primo comma, n. 24) del d.P.R. n. 633 del 1972).
Al fine di stabilire, quindi, la possibilità di invocare l’esclusione da IVA ai sensi del citato art. 68 del d.P.R. n. 633 del 1972 è dirimente appurare, sulla base di un accertamento di carattere tecnico, che i “geni modificati”, così come descritti nell’istanza di interpello, siano classificabili nell’ambito della suddetta categoria di “organi, sangue e plasma sanguigno”.
Al riguardo, posto che detto accertamento tecnico esula dalle competenze della scrivente esercitabili in sede di istruttoria delle istanze di interpello (cfr. Circolare 9/E del 1 aprile 2016), attesa la rilevanza generale della fattispecie in esame, è stata inoltrata una specifica richiesta di chiarimenti al Ministero della Salute e all’Autorità italiana del farmaco.
In mancanza del richiesto riscontro, considerata l’imprescindibilità del parere tecnico, sulla questione prospettata con l’interpello in esame non è possibile fornire un parere nel merito.
Resta fermo che, rispetto al quesito in esame, non si producono gli effetti del silenzio assenso previsti dall’articolo 11 della legge 212 del 2000.
Il secondo quesito (formulato dallo stesso interpellante indipendentemente dagli esiti del precedente quesito) verte sul riconoscimento in capo alla società istante, che non detiene la proprietà dei beni importati, del diritto di detrazione dell’IVA assolta all’atto dell’importazione dei geni modificati.
Al riguardo, è opportuno evidenziare alcune incongruenze relative alla individuazione del soggetto che riveste il ruolo di promotore, suscettibili di assumere rilevanza ai fini della soluzione del quesito de quo.
In particolare, nell’istanza l’interpellante ha espressamente segnalato che ALFA ( i.e. società istante) “effettua (nella veste di Promotore) diversi test clinici” e che “il Promotore rimane il proprietario di tali kit di prova durante l’intero processo di sperimentazione clinica (i.e. i kit di prova non vengono venduti né allo Sperimentatore né a terzi)” (enfasi aggiunta).
Peraltro, nel prosieguo della rappresentazione della fattispecie l’interpellante ha altresì precisato che “i beni importati in Italia non sono ancora stati autorizzati come farmaci e vengono quindi importati al fine di effettuare il test richiesto dal Promotore (EPSILON) sui pazienti” (enfasi aggiunta).
Rilevate tali incongruenze, in un’ottica di reciproco affidamento, i seguenti chiarimenti sono resi in termini di principio nel presupposto che, come affermato dalla società istante, l’importatore (i.e. ALFA) dei geni modificati (i.e. kit di prova) non detenga la proprietà degli stessi.
Ciò posto, si fa presente, in linea generale, che in base all’articolo 168 (Importi detraibili) della Direttiva IVA “nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore…“, ivi compresa “l’IVA dovuta o assolta per i beni importati in tale Stato membro“.
A tale ultimo proposito, il successivo articolo 201 (Persone designate o riconosciute come debitrici) della Direttiva IVA dispone che “all’importazione l’IVA è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione“.
Secondo la giurisprudenza dell’Unione Europea richiamata dallo stesso interpellante (CGUE Sentenza C-132/16 del 14 Settembre 2017 – “Iberdrola”), il diritto di detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e/o servizi spetta “anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione“, sempreché “i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce “.
Pertanto, ai fini della spettanza del diritto alla detrazione, la Risoluzione n. 96/E dell’11 maggio 2007 ha chiarito che “la proprietà dei beni importati non è condizione necessaria (…) bensì occorre che i beni o servizi acquisiti presentino un nesso immediato e diretto con l’oggetto dell’attività d’impresa, ossia siano ad esso inerenti“.
Occorre, dunque, che l’IVA assolta sugli acquisti rappresenti una spesa connessa in via diretta e immediata con “il complesso delle attività economiche del soggetto passivo” (così la richiamata sentenza della Corte di Giustizia, 14 settembre 2017, C- 132/16).
Ciò considerato, occorre tenere conto del fatto che nel caso in esame:
- in attesa dell’autorizzazione da parte dell’Autorità competente, la Società importa, per conto terzi, sopportandone i relativi oneri doganali, beni (e. geni modificati) già oggetto di lavorazione presso i siti di sperimentazione all’estero, destinati ad essere trasfusi nei pazienti negli ospedali italiani prima di essere immessi in commercio in Italia (immissione di cui l’istante si farà carico in qualità di rappresentante italiana della proprietaria dei beni);
- nella documentazione integrativa la Società ha riferito di non avere un ruolo diretto nell’ambito della sperimentazione clinica in Italia dei geni modificati. Tuttavia, nel caso in cui la sperimentazione clinica dia un esito positivo, sarà l’Istante ad occuparsi direttamente della commercializzazione in Italia dei relativi prodotti (una volta approvati dalle competenti autorità).
In definitiva, l’importazione dei beni di cui trattasi, alla luce delle informazioni fornite dall’interpellante, assunte nel presupposto della loro veridicità e completezza, è direttamente connessa a future operazioni imponibili destinate ad essere effettuate dalla società istante nell’esercizio della propria attività d’impresa, in qualità di rappresentante italiano del titolare dell’autorizzazione all’ammissione in commercio.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte e dei chiarimenti forniti dalla giurisprudenza e dai documenti di prassi sopra citati, si ritiene che l’IVA assolta in dogana dalla società istante all’atto dell’importazione dei beni in questione possa essere considerata un costo correlato alle operazioni imponibili (rectius che conferiscono il diritto alla detrazione) che saranno realizzate dalla Società (i.e. all’attività di commercializzazione del farmaco).
Pertanto, l’ammontare dell’IVA assolta in dogana dalla società istante all’atto dell’importazione dei “geni modificati” potrà essere portato in detrazione, sempre che, coerentemente con i principi desumibili dalla giurisprudenza unionale, le spese relative all’importazione siano in grado di influenzare il prezzo delle operazioni attive (i.e. commercializzazione del farmaco) che la società istante realizzerà in seguito all’esito positivo del test sperimentale e previa autorizzazione delle autorità competenti (cfr. Risposta ad interpello n. 6 del 2019).
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