AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 119 del 20 gennaio 2023
Visto di ingresso per residenza elettiva e non equivalenza dello stesso all’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente prevista dall’articolo 2, comma 2, del TUIR
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante (di seguito anche ”il residente elettivo”), cittadino britannico, segnala di essere residente in Svizzera ove dimora abitualmente ed ove si trova la sede principale dei suoi affari ed interessi. Il residente elettivo possiede in Italia due proprietà immobiliari nelle quali si reca per trascorrere dei periodi di vacanza.
L’Istante specifica, inoltre, che a seguito della Brexit, per poter restare in Italia per periodi superiori ai 90 giorni, ha richiesto un visto di soggiorno per residenza elettiva che gli è stato rilasciato a maggio del XXXX con durata di 1 anno.
Tuttavia, l’Istante segnala come, in realtà, la sua permanenza nel nostro Paese nell’anno di riferimento non abbia superato i 183 giorni e, pertanto, pur titolare del visto di soggiorno, non ha richiesto il permesso di soggiorno in Italia per residenza elettiva né si è iscritto nei registri anagrafici della popolazione residente in Italia.
Ciò posto, il residente elettivo chiede alla scrivente se il mero possesso del permesso di soggiorno per residenza elettiva, per la maggior parte del periodo d’imposta, integri, di per sé, una presunzione di residenza fiscale, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR), anche se la permanenza dell’Istante in Italia risulta inferiore ai 183 giorni nell’anno di riferimento, rendendo il suddetto residente elettivo soggetto ai conseguenti obblighi tributari nel nostro Paese.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante segnala, in primo luogo, che l’articolo 2, comma 2, del TUIR nel definire il concetto di residenza fiscale enuclea tre diversi criteri tra loro alternativi che devono sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta:
– l’iscrizione anagrafica;
– il domicilio civilistico (inteso, ai sensi dell’articolo 43, comma 1, del codice civile come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi);
– la residenza civilistica (intesa, ai sensi dell’articolo 43, comma 2, del codice civile, come il luogo in cui la persona ha la dimora abituale).
Posto che le tre condizioni sono alternative, il residente elettivo rileva come, affinché un soggetto sia considerato residente in Italia, sia sufficiente che se ne verifichi una sola.
Per quel che concerne, invece, la nozione di residenza nella normativa internazionale, l’Istante richiama le disposizioni contenute nell’articolo 4, paragrafi 1 e 2 della Convenzione tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni, firmata a Roma il 9 marzo 1976 e ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943 (di seguito la Convenzione o il Trattato internazionale).
Ciò posto, l’Istante ritiene che, in relazione all’anno d’imposta _______, il mero possesso del visto per residenza elettiva dal maggio _____, senza che il residente elettivo risulti titolare del relativo permesso di soggiorno né risulti iscritto all’anagrafe della popolazione residente nel Comune dove possiede l’immobile in cui soggiorna per periodi di vacanza in Italia, e, nel presupposto fattuale che, comunque, lo stesso residente elettivo non utilizzi tale visto per periodi di soggiorno superiori complessivamente ai 183 giorni nell’anno di riferimento, non integri il presupposto della residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.
Il residente elettivo rileva, difatti, che non sono previste dalla vigente normativa italiana altre condizioni di natura formale (oltre a quella dell’iscrizione anagrafica) che, mantenute per la maggior parte del periodo d’imposta, possono determinare una presunzione di residenza fiscale dell’Istante nel nostro Paese.
L’Istante fa presente di rimanere residente in Svizzera, ove vive abitualmente ed ha il centro dei propri interessi sia economici che familiari, con la conseguenza che non ricorrono neppure gli altri due requisiti (domicilio e residenza ai sensi dell’articolo 43 del codice civile), previsti dal citato articolo 2, comma 2, del TUIR il cui accertamento non è, peraltro, oggetto dell’interpello in esame.
In conclusione, a giudizio del residente elettivo, nessuna presunzione di residenza potrà essere fatta valere nel caso di specie senza dimostrare, quanto meno, la permanenza in Italia dell’Istante per la maggior parte del periodo d’imposta in esame.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
In via preliminare si segnala che non rientra nella competenza della scrivente, limitata all’ambito tributario, valutare gli obblighi previsti dalla legge in capo ad un soggetto che sia in possesso del visto di soggiorno per residenza elettiva, di richiedere, entro un certo lasso temporale dal suo ingresso nello Stato italiano, il relativo permesso di soggiorno e di effettuare la conseguente iscrizione nelle Anagrafi della popolazione residente. Si invita, pertanto, l’Istante a rivolgersi alle Autorità competenti in materia, al fine di ottenere le relative indicazioni.
Ciò posto, si conferma che l’ottenimento del visto per residenza elettiva non può essere considerato equivalente all’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente prevista dall’articolo 2, comma 2, del TUIR.
Si osserva, tuttavia, come tale circostanza appaia ininfluente ad escludere, nella fattispecie in esame, una residenza fiscale italiana dell’Istante nell’anno di riferimento. Come evidenziato anche dall’Istante, infatti, ai sensi della citata normativa, la residenza fiscale viene radicata in Italia anche qualora siano riscontrati nel nostro Paese, per la maggior parte del periodo d’imposta, il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Si ricorda, al riguardo, che in base al Decreto del Ministero degli Affari Esteri del 12 luglio 2000, punto 14 dell’Allegato A, il visto di residenza elettiva consente l’ingresso in Italia, ai fini del soggiorno, allo straniero che intende stabilirsi nel nostro Paese e sia in grado di mantenersi autonomamente senza esercitare in Italia alcuna attività lavorativa. A tal fine, lo straniero deve fornire adeguate e documentate garanzie, non solo sulla disponibilità di cospicue risorse economiche di cui sia ragionevolmente possibile supporre la continuità nel futuro, ma anche di un’abitazione principale da eleggere a residenza.
Si rileva, inoltre, come in tema di autorizzazione all’ingresso dello straniero per residenza elettiva, la giurisprudenza amministrativa abbia precisato che, trattandosi per l’appunto di ”residenza”, lo straniero deve dimostrare di voler effettivamente stabilirsi in Italia, posto che per residenza si intende luogo di stabile dimora.
In particolare, è stata affermata la legittimità del diniego al rilascio del visto di ingresso per residenza elettiva motivato dalla mancata dimostrazione circa la reale intenzione dell’interessato a vivere e risiedere nel nostro Paese permanentemente.
Secondo il giudice amministrativo, infatti, ”il d.m. 11.5.2011 rimanda alla nozione di residenza effettiva, che è quella determinata dalla abituale e volontaria dimora di una persona in un determinato luogo, ossia dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente” (cfr. sentenza del TAR del Lazio, sez. III, n. 7797 del 7 luglio 2016).
È solo il caso di precisare che il riscontro degli elementi e delle circostanze che possono radicare la residenza fiscale in Italia dell’Istante non può, comunque, essere operato in questa sede, richiedendo la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario.
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