Corte di Cassazione, sentenza n. 23025 depositata il 28 luglio 2023
Ai fini dell’applicazione dei benefici derivanti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni è sufficiente che il contribuente sia potenzialmente assoggettabile (“liable to tax”) a imposizione nello stato di residenza
FATTI DI CAUSA
Con istanza in data 23.4.2002 la società olandese A. Holding B.V. chiedeva, ai sensi dell’art. 27-bis d.P.R. n. 600/1973 e della Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni, la restituzione della ritenuta del 15% applicata sui dividendi corrisposti nell’anno 2001 dalla propria controllata italiana A. S.p.A. L’Agenzia delle entrate, all’esito di controllo meramente formale, in data 6.8.2003 effettuava il rimborso richiesto.
A seguito di successivo controllo sostanziale tramite questionario, l’Agenzia delle entrate riteneva che la società A. Holding B.V. fosse stata fittiziamente costituita in Olanda allo scopo di beneficiare del regime di tassazione favorevole dei dividendi previsto dalla Convenzione tra Italia e Paesi Bassi sulle doppie imposizioni e dall’art. 27-bis, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, applicativo della direttiva 90/435/CEE (cd. Direttiva Madre-Figlia), nonché del regime di esenzione dei dividendi dalle imposte vigente in Olanda. Pertanto, in data 15.10.2007, l’ente impositore notificava ad A. Holding B.V. (“Società Madre”) e ad A. S.p.A. (“Società Figlia”) provvedimento di diniego con richiesta di restituzione del rimborso percepito, sul presupposto che A. Holding B.V., interamente proprietaria della controllata italiana, fosse da considerare residente in Italia, ove aveva la sede di effettiva direzione, e fittiziamente costituita all’estero per ottenere la favorevole tassazione dei dividendi.
I distinti ricorsi proposti dalle due società contro l’atto impositivo venivano accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in riforma della decisione di primo grado, confermava la legittimità della pretesa impositiva.
I ricorsi per cassazione proposti dalle due società venivano accolti dal giudice di legittimità per avere i giudici di appello – ritenendo assorbite le altre censure – escluso senza adeguata motivazione che il domicilio fiscale di A. Holding B.V. potesse essere individuato in Olanda.
Riuniti i ricorsi in riassunzione, la CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva gli appelli dell’Ufficio. Riteneva, in sintesi, che il beneficio della esenzione dalla ritenuta sui dividendi non potesse essere riconosciuto in capo alla Società Madre poiché questa non era assoggettata ad imposta nello Stato di residenza e che la stessa non rivestisse la qualità di beneficiario effettivo.
Avverso la suddetta sentenza A. Westland S.p.A. (già A. S.p.A.), incorporante A. Westland N.V. a sua volta incorporante A. Holding B.V., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce «Violazione e falsa applicazione degli Artt. 2, par. 1, lett. c), della Direttiva 90/435/CEE, 27-bis, c. 2, del DPR n. 600/1973 pro tempore vigente, 49 e 63 TFUE, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc». Censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui afferma: «l’esenzione di cui all’art. 5.1 è dipendente dalla regola generale dell’applicabilità esclusivamente alle società che risultino assoggettati all’imposta senza possibilità di opzione e senza esserne esentate, condizioni quest’ultime che non ricorrono nel caso di specie atteso che la Società Olandese non è gravata da alcuna imposta nello Stato di residenza». Sostiene che tale statuizione è illegittima per avere la CTR sancito che i dividendi corrisposti da A. S.p.A. ad A. Holding B.V. dovessero essere assoggettati in Italia a ritenuta alla fonte in quanto non assoggettati nei Paesi Bassi alla locale imposta sui redditi delle società beneficiando la Società Madre della Pex olandese.
2. Con il secondo motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione degli Artt. 5, della Direttiva 90/435/CEE, 27-bis, c. 1 e 3, del DPR n. 600/1973 pro tempore vigente, 49 e 63 TFUE, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc». Censura, in particolare, la ricorrente la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha ritenuto che i dividendi corrisposti da A. S.p.A. ad A. Holding B.V. avrebbero dovuto comunque essere assoggettati a ritenuta alla fonte in Italia in quanto altrimenti ne sarebbe conseguita una inammissibile situazione di non imposizione dei dividendi beneficiando la società madre della Pex olandese.
3. I due motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono fondati.
L’assunto su cui si fonda, sul punto, la decisione gravata si compendia nella considerazione che la Società Madre non aveva titolo a beneficare della esenzione dalla ritenuta su dividendi distribuiti dalla Società Figlia prevista dalla Direttiva Madre-Figlia, trasposta nell’ordinamento nazionale dall’art. 27-bis d.P.R. n. 600 del 1973 (e quindi a richiedere il rimborso delle somme versate) in quanto la stessa, in ragione del regime di esenzione della partecipation exemption vigente nei Paesi Bassi, non era assoggettata in tale Stato ad alcuna imposta sul reddito societario. Secondo l’impostazione della CTR, il requisito dell’assoggettamento effettivo ad imposta della Società Madre costituisce, quindi, un limite all’applicazione dei vantaggi fiscali previsti dalla Direttiva Madre-Figlia, di modo che ove – come nel caso di specie – la Società Madre usufruisca di un regime di esenzione dall’imposta sussiste il diritto dello Stato della fonte di applicare la ritenuta sui dividendi distribuiti dalla Società Figlia.
Questa Corte ha affermato, seppure in fattispecie relativa ad una diversa convenzione, che «In tema di imposte sui dividendi azionari corrisposti da una società figlia residente in Italia ad una società madre residente in Francia, il credito d’imposta previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b), della Convenzione contro le doppie imposizioni, firmata tra Italia e Francia il 5.10.1989 e ratificata dalla Repubblica Italiana con l. n. 20 del 1992, non è escluso dal riconoscimento dell’esenzione dalla ritenuta prevista dalla Direttiva madre-figlia n. 453 del 1990 (attuata con il d.lgs. n. 136 del 1993), atteso che secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia (causa C-389/18, del 19 dicembre 2019, Brussels Securities), questo secondo beneficio non elimina necessariamente il rischio di doppia imposizione economica né di violazione del principio di neutralità fiscale. Peraltro, ai fini del corretto coordinamento dei due meccanismi di tutela dagli effetti distorsivi della doppia imposizione (esenzione e credito d’imposta), la necessaria verifica in concreto della eliminazione effettiva di detto rischio in danno della società madre francese – a tutela da trattamenti fiscali deteriori rispetto alla disciplina applicabile ad una società madre residente in Italia – deve essere compiuta mediante l’accertamento che il dividendo distribuito dalla società figlia italiana sia compreso, una volta assegnato alla società madre francese, nel coacervo dei redditi imponibili in quello Stato, senza che rilevi se nel concreto quel reddito sia ivi assoggettabile ad aliquota pari, inferiore o superiore a quella altrimenti applicabile in Italia, riconducendosi la disciplina nel principio di neutralità ed efficienza fiscale internazionale» (Cass. n. 13845 del 2021). Si è ulteriormente osservato, sempre in riferimento alla Convenzione Italia – Francia, che «In tema di imposte sui dividendi azionari corrisposti da una società figlia residente in Italia ad una società madre residente in Francia, il credito d’imposta previsto dall’art. 10, comma 4, lett. b), della Convenzione contro le doppie imposizioni, firmata tra Italia e Francia il 5 ottobre 1989 e ratificata con l. n. 20 del 1992, non è escluso dal riconoscimento dell’esenzione dalla ritenuta prevista dalla Direttiva madre-figlia n. 435 del 1990 (attuata con il d.lgs. n. 136 del 1993), atteso che secondo l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia (causa C-389/18), questo secondo beneficio non elimina necessariamente il rischio di doppia imposizione economica né di violazione del principio di neutralità fiscale; in ordine al dividendo distribuito dalla società figlia sedente in Italia alla società madre francese, va accertato unicamente che esso sia stato incluso nel coacervo dei redditi imponibili, a prescindere dal fatto che, in concreto, la Francia vi abbia poi applicato un’aliquota superiore, pari o inferiore a quella altrimenti applicabile in Italia, dovendo ricondursi la fattispecie non nell’obiettivo della “tax equalitation”, bensì ai principi di neutralità ed efficienza fiscale internazionale» (Cass. n. 25196 del 2022).
In termini analoghi si è espressa questa Corte con riferimento ad altre convenzioni: ex plurimis, Cass. n. 20646 del 2021, Cass. n. 6248 e n. 16834 del 2022 (Regno Unito); Cass. n. 22278 del 2022 (Germania).
Va quindi ribadito che la condizione “subject to tax” deve essere intesa nel senso di potenziale assoggettamento ad imposizione in modo illimitato nello Stato di residenza (“full liability to tax”), indipendentemente dall’effettivo prelievo fiscale subito, essendo lo scopo delle fonti multilaterali e delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale, come affermato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 19 novembre 2009, n. 540 (cfr. Cass. n. 27600 del 2011, Cass. n. 10706 del 2019, Cass. n. 1967 del 2020; ed ancora, Cass. nn. 5145, 5152, 6248, 7108, 16834 e 25196 del 2022).
La sentenza impugnata, negando il rimborso della ritenuta sui dividendi in ragione della esclusione degli stessi da imposizione in forza del regime di esenzione Pex vigente in Olanda, non si è conformata ai richiamati principi.
4. Con il terzo motivo si deduce «Mancanza di motivazione circa l’asserita non configurabilità della Società Madre come beneficiario effettivo delle somme corrispondenti alla ritenuta richiesta a rimborso. Violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.».
5. Con il quarto motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione dell’Art. 1, par. 2, della Direttiva 90/435/CEE e dei principi forniti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia con riferimento all’accertamento dello status di beneficiario effettivo dei dividendi ed alla ripartizione dell’onere della prova sul punto nel contesto della Direttiva Madre Figlia (sentenza T-Denmark, cause riunite C-116/16 e C-117/16, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc». Censura la ricorrente la sentenza impugnata per avere la CTR ritenuto che la Società Madre non fosse identificabile come beneficiario effettivo dei dividendi pur non avendo l’Agenzia delle entrate dimostrato – come richiesto dalla giurisprudenza comunitaria – l’esistenza di un obbligo, derivante da un rapporto di natura sinallagmatica, di ri-trasferimento dei dividendi a soggetti terzi.
6. Con il quinto motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione dell’Art. 1, par. 2, della Direttiva 90/435/CEE e dei principi forniti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia con riferimento all’accertamento dell’abuso della Direttiva Madre Figlia (sentenza T-Denmark, cause riunite C-116/16 e C-117/16, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc».
Censura la ricorrente la sentenza impugnata per avere configurato la Società Madre come una costruzione artificiosa pur non avendo l’Agenzia delle entrate assolto l’onere della prova sulla stessa gravante, senza peraltro considerare che gli elementi acquisiti al giudizio deponevano nel senso che la stessa potesse qualificarsi come beneficiario effettivo.
7. Con il sesto motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione degli Artt. 1, 2, 3, 4 e 5, della Direttiva 90/435/CEE, in relazione all’art. 360, n. 3, cpc», per non avere la CTR correttamente individuato il beneficiario effettivo dei dividendi.
8. I quattro motivi, esaminabili congiuntamente in quanto concernono – sotto vari profili – la controversa questione della qualificazione di A. Holding B.V. come beneficiario effettivo, sono fondati nei termini di seguito specificati.
Questa Corte (Cass. n. 14756 del 2020) ha evidenziato come la prassi internazional-tributaria abbia elaborato il concetto di “beneficiario effettivo”, in relazione a dividendi, interessi e canoni, al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale. Tale clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale è volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole. Il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo (conduit) nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo. Pertanto, può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati il “beneficiario effettivo”, ossia solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro stato contraente, che abbia l’effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione (Cass. n. 24287 del 2019). La società conduit non ha il diritto di disporre degli interessi percepiti ma ha l’obbligo di trasferirli ad altro soggetto; è un soggetto che si frappone nei rapporti tra erogante e beneficiario finale, come soggetto percipiente solo formalmente, la cui costituzione non è supportata da motivazioni economiche apprezzabili diverse dal risparmio fiscale. Il “beneficiario effettivo”, invece, ha sia la titolarità che la disponibilità del reddito percepito e non è tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi. In particolare, si è ritenuto che la circostanza che la società percipiente detenga, tra le proprie attività, unicamente delle partecipazioni di controllo non comprova, di per sé, l’artificiosità ovvero la strumentalità della medesima.
In questo caso, è necessario esaminare alcuni parametri-spia per valutare in concreto la sussistenza dell’unico elemento normativamente rilevante ai fini della nozione di “beneficiario effettivo”, costituito dalla padronanza ed autonomia della società-madre percipiente, sia nell’adozione delle decisioni di governo ed indirizzo delle partecipazioni detenute, sia nel trattenimento ed impiego dei dividendi percepiti, in alternativa alla loro tassazione alla capogruppo sita in un Paese terzo.
Tale specifica indagine non è stata compiuta dalla CTR. La sentenza impugnata ha escluso che A. Holding B.V. potesse essere qualificata come beneficiario effettivo per il sol fatto, emerso a seguito della riposta fornita dalla società al questionario inviato dall’Agenzia delle entrate, che A. S.p.A., che in origine aveva assunto l’impegno a trasferire il rimborso delle ritenute ad A. Holding B.V., avesse poi deciso di trasferire le somme alla società controllante Finmeccanica S.p.A. «a titolo di compensazione di un non meglio precisato credito vantato nei confronti della società olandese», pur non essendo stata fornita «convincente prova di detto supposto credito senza contare che non comportava certo alla società italiana operare di propria iniziativa qualsivoglia compensazione relativamente a crediti spettanti peraltro alla sua controllante».
Tale conclusione, tuttavia, non tiene in considerazione che – come si legge nella sentenza impugnata (pagg. 10 e 11) – «il 17.12.2001 la società figlia spa A. distribuì alla società madre A. HOLDING BV il dividendo di 16.733.560,00 euro, somma risultante dalla decurtazione della ritenuta alla fonte, provvisoriamente applicata in attesa della maturazione del periodo minimo di detenzione di 12 mesi, dalla somma di 19.951.569,16 euro, dividendo che fu accreditato sul conto corrente bancario intestato a quest’ultima. Alla maturazione del detto periodo minimo, il 23.4.2002 l’A. HOLDING BV chiese all’Agenzia delle Entrate che le fosse restituita la suddetta ritenuta ammontante a 2.992.735,37 euro assumendone l’illegittimità in forza dell’art. 27-bis del DPR n. 600/1973 e della Direttiva Madre Figlia. Il 6.8.2003 l’istanza fu accolta con accredito della predetta somma sul conto corrente intestato alla spa A., come richiesto nell’istanza. Il 14.2.2007 l’Agenzia delle Entrate inviò alla A. HOLDING BV un questionario ex art. 32, c. 1, n. 3, del DPR n. 600/1973 con il quale le furono chiesti chiarimenti in ordine al possesso dei requisiti legittimanti, questionario che fu compilato e restituito con la precisazione che l’accreditamento a favore della società figlia era derivato dalla opportunità della parziale estinzione di un debito con essa contratto in occasione della costituzione della Joint Venture».
Dalla ricostruzione dei fatti di causa operata dalla CTR emerge dunque che i dividendi erano stati percepiti dalla Società Madre e accreditati sul conto corrente bancario alla stessa intestato, mentre le somme corrispondenti alla ritenuta erano state accreditate sul conto corrente bancario intestato alla Società Figlia su richiesta della Società Madre, la quale le aveva impiegate a parziale compensazione di un debito contratto con la Società Figlia (e non quindi con Finmeccanica S.p.A.) in occasione della costituzione della Joint Venture.
Tali elementi dovranno essere compiutamente valutati dal giudice del rinvio, il quale dovrà altresì conformarsi ai principi innanzi richiamati.
9. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio per un nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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