La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 16687 del 03 luglio 2013 intervenendo in materia di accertamento ha stabilito che è legittimo l’accertamento induttivo fondato sul consumo degli involucri necessari per confezionare i prodotti. La sezione tributaria ha, quindi, respinto il ricorso di un produttore che aveva ricevuto l’accertamento di un maggior reddito sulla base degli imballaggi utilizzati per “impacchettare” pannolini.
La vicenda ha avuto origine con la notifica di un avviso di accertamento unificato Irpeg, Irap ed Iva, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava a una società, tra l’altro, l’omessa annotazione di un maggior reddito ricostruito induttivamente sulla base degli involucri necessari per confezionare i pannolini (in base ai conteggi effettuati in sede di verifica, infatti, a seconda delle materie prime utilizzate come parametro di riferimento – cellulosa, superassorbente, tape e frontal tape – si era pervenuti a un numero complessivo di pannolini venduti diverso da quelli contabilizzati).
Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l’atto impositivo. I giudici di prime cure accoglievano le doglianze della società ricorrente ed annullavano l’atto.
L’amministrazione Finanziaria avverso la decisione dei giudici di primo grado proponeva ricoso alla Commissione Tributaria Regionale che in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, riduceva i ricavi, motivando che l’accertamento dei maggiori introiti derivava dal controllo indiretto della produzione, effettuato dai verificatori sulla scorta dei dati forniti dalla stessa società, relativi alle quantità di materie prime utilizzate e ai prezzi di vendita (la verificata aveva, infatti, appurato che i pannolini, comunque venduti – confezionati, impacchettati o sfusi – necessitavano sempre dell’elemento adesivo, costituito dal tape che ne garantisse la chiusura. Sicché, proprio in base alla quantità di fettucce utilizzate, si doveva fondatamente ritenere che fosse stato prodotto un numero inferiore di pannolini rispetto a quello constatato durante l’accesso).
Perciò, considerate le accertate incongruenze nella determinazione delle quantità dei sacchetti e delle conseguenti registrazioni contabili, il giudice del riesame riteneva che il controllo eseguito non potesse essere completamente disatteso, ma che era giustificabile la ripresa a tassazione di un minore corrispettivo dato che l’ufficio non aveva versato negli atti ulteriori elementi probatori.
Avverso la sentenza dei giudici di appello veniva proposta ricorso per la sua cassazione dalla società contribuente basato su tre doglianze. L’Amministrazione presentava appello incidentale.
Le doglianze della ricorrente società , in via principale, riguardavano la violazione di legge (articoli 39, comma 1, Dpr 600/1973 e 54, comma 2, Dpr 633/1972), per errata ripartizione e valutazione dei requisiti della prova presuntiva, in quanto la Commissione Tributaria Regionale, pur avendo riconosciuto la sussistenza di gravi incongruenze nel procedimento induttivo seguito dall’ufficio, non aveva poi dichiarato la conseguente inattendibilità delle presunzioni. Anzi, aveva imputato al contribuente di non aver fornito specifica prova del mancato conseguimento dei maggiori ricavi contestati.
I giudici di legittimità accolgono il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale dell’Amministrazione finanziaria, stabilendo – con analogo principio espresso anche in altre sentenze (Cassazione nn. 17408/2010, 15580/2011, 30402/2011 e 3777/2013) – che è legittimo l’accertamento induttivo basato sul consumo degli involucri necessari per confezionare i prodotti.
Così, la nuova pronuncia della Cassazione legittima il metodo induttivo basato sull’acquisto di materie prime, dando torto alla società che aveva comprato un numero di nastrini, per il confezionamento dei prodotti in vendita, molto superiore rispetto ai beni risultanti registrati nelle proprie scritture contabili e denunciati. Un dato, questo, che ha permesso all’ente impositore, mediante un semplice calcolo aritmetico, di avere degli indizi gravi su un fatturato in nero, mai dichiarato.
Il Collegio supremo conferma, in tal modo, il proprio orientamento restrittivo, manifestato già dal 2007 (cfr sentenze nn. 8869 e 12438), in tema di utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria delle “presunzioni di secondo grado” nell’ipotesi del consumo di tovaglioli in un ristorante, dando l’ok, questa volta, all’accertamento fiscale basato sul numero di tape necessari per incartare i prodotti, valorizzando ancora una volta il metodo indiretto di controllo dei ricavi dell’impresa.
Sul punto, il giudice di legittimità ricorda che la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa (articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile.
È, pertanto, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cassazione, pronuncia n. 7871/2012).
A tale principio risponde anche il caso di confezionamento di involucri di vendita di pannolini, giacché, ai fini della prova per presunzioni semplici, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità (cfr Cassazione n. 9884/2002).
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