La Corte di Cassazione con la sentenza n.11918 del 16 maggio 2013 ha riaffermato che si configura trasferimento d’azienda in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, qualora vi sia un passaggio di beni di non trascurabile entità tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa.
Più in dettaglio, gli Ermellini, conformemente ad un principio già espresso in precedenti sentenze ha ribadito che, ai fini del trasferimento di azienda, la disciplina dettata dall’art. 2112 cod. civ. postula che il complesso organizzato dei beni dell’impresa sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l’imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione. Il trasferimento di azienda è, pertanto, configurabile anche in ipotesi di successione nell’appalto di un servizio, sempre che si abbia un passaggio di beni di non trascurabile entità, e tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa.
I giudici di legittimità in ossequi al principio sopraindicato hanno rigettato il ricorso proposto da un lavoratore che, nel quadro di un appalto avente ad oggetto l’espletamento del servizio di nettezza urbana, lamentando una sua dequalificazione, aveva chiesto, nei confronti dell’impresa subentrante, la reintegra nelle mansioni in precedenza svolte, nonché la condanna al pagamento di emolumenti e trattamenti retributivi.
Nella vicenda, oggetto della sentenza, la Corte Suprema confermando il rigetto delle domande formulate nei due gradi dai giudici di merito, ha ritenuto insussistente il trasferimento di azienda, attesa la mancata prova del ricorrente in punto di apprezzabile cessione di beni o strutture nella vicenda successoria, trattandosi al contrario di assunzione “ex novo” con garanzia contrattuale collettiva legata al mantenimento del trattamento economico relativo al livello contrattuale posseduto e con la sola aggiunta degli scatti di anzianità.
Infine conformemente ad un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza ed in dottrina (cfr., Cass. civ. n. 4055/2008), la pronuncia ribadisce che il principio dell’irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art. 2103 cod. civ., non trova applicazione per le indennità od emolumenti comunque denominati, non connessi intrinsecamente alla prestazione resa, ma solo estrinsecamente legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione, che pertanto ben possono venir meno in caso di mutamento o cessazione di quest’ultime.
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