Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n. 4014 depositata il 20 aprile 2023
principio del risultato e strumentalità delle forme (art. 1 d.lgs. n. 36/2023)
FATTO e DIRITTO
Il Comune di Tavagnacco, con ricorso presentato al Tar per il Friuli Venezia Giulia ha chiesto l’annullamento del decreto n. SGEO / 2098 / B/ 10/ AG / 242 GE1, del 14.9.2012, con cui la Regione Friuli Venezia ha disposto la revoca del contributo di € 111,650,00 “Por fesr 2007 – 2013 obiettivo competitivita’ e occupazione – asse 5 ‘ecosostenibilita’ ed efficienza energetica del sistema produttivo” precedentemente concessogli in relazione al progetto di “Lavori di realizzazione di un impianto geotermico presso la scuola materna di Adegliacco”.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, con la decisione n. 389/2016 ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento di revoca regionale.
Le argomentazioni della sentenza di primo grado hanno fatto perno:
– sull’esiguità del valore dell’appalto di lavori e dell’appalto di servizi, le cui procedure sono state ritenute irregolari;
– sulla proporzionalità ovvero sul punto di equilibrio che deve essere trovato tra tipo e valore dell’appalto, da un lato, e rispetto di adempimenti formali, dall’altro, e ciò anche nel rispetto del principio di economicità cui deve essere, comunque, informata l’attività delle pubbliche amministrazioni;
– sulla circostanza per cui la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto di autonomia, ha potestà legislativa primaria in materia di “lavori pubblici di interesse locale e regionale”, così come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con la pronuncia n. 45/2010;
– sull’esistenza di una disposizione di legge regionale (art. 1-bis della l.r. legge regionale 4 giugno 2009, n. 11, introdotto dall’art. 4, comma 28, della l.r. 16 luglio 2010, n. 12), che, quale misura straordinaria di accelerazione dei lavori pubblici che non presentano interesse transfrontaliero, ha legittimato, ancorché per un periodo di tempo limitato, il ricorso da parte delle stazioni appaltanti alla “snella” ed “essenziale” procedura di scelta del contraente colà disciplinata ovvero all’affidamento dei lavori di importo pari o inferiore a 1 milione di euro al netto di IVA, in quanto ritenuti di per sé non presentare interesse transfrontaliero, “mediante ricerca di mercato volta a individuare gli operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione”, con la prescrizione che “l’invito diretto è rivolto ad almeno quindici soggetti ove esistano in tale numero soggetti idonei secondo criteri di rotazione”, la cui applicazione è stata, peraltro, all’epoca fortemente caldeggiata dall’Assessorato regionale competente;
– sulla circostanza che, nel caso di specie, la libertà di forme che ha caratterizzato la fase della ricerca di mercato “volta a individuare gli operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione” non pare aver provocato effetti distorsivi o di chiusura al mercato, ma, anzi, aver consentito, secondo un approccio funzionale/sostanzialistico di stampo comunitario, di intercettare i competitori (effettivamente) interessati a partecipare alla procedura;
– sulla circostanza per cui, con specifico riferimento all’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, l’AVCP, con determinazione n. 4 del 29/03/2007, ha stabilito che “dal combinato disposto degli articoli 91, comma 2, e 125, comma 11, del Codice, non si può tuttavia escludere che una stazione appaltante, in relazione alle proprie specifiche esigenze ed attività, possa ricomprendere nel regolamento interno per la disciplina della propria attività contrattuale, anche l’affidamento in economia dei servizi tecnici e, pertanto, per le prestazioni di importo inferiore a 20.000 euro, in base all’articolo 125, comma 11, del Codice, procedere alla scelta del tecnico mediante affidamento diretto”.
Contro tale decisione la regione Friuli Venezia Giulia ha proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.
Si è costituito nel presente giudizio il Comune di Tavagnacco, chiedendo il rigetto dell’appello.
In vista dell’udienza del 23 febbraio 2023 le parti hanno depositato memorie e repliche con le quali hanno ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive posizioni.
All’udienza del 23 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Ciò premesso, con il primo motivo di appello, la Regione lamenta l’erroneità della sentenza del TAR per il Friuli Venezia Giulia n. 389/2016 per violazione: “ del Programma Operativo Regionale (POR) FERS 2007-2013 adottato dalla Commissione europea con decisione C(2007)5717 del 20.11.2007 come successivamente modificata con decisione C(2010) 5 del 4 gennaio 2010”; della LR 21 luglio 2008 n. 7 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della regione FVG derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2006/123/CE, 92/43/CEE, 79/409/CEE, 2006/54(CE e del Regolamento (CE) 1083/2006 e in particolare il capo V – Attuazione del POR FERS Competitività regionale e occupazione2007 – 2013 previsto dal regolamento (CE) 1083/2006”.
In particolare, nella prospettiva della regione appellante, la decisione impugnata avrebbe erroneamente individuato, nell’art. 1 bis della LR n. 11/2009, la fonte di regolazione delle snelle ed essenziali procedure di scelta del contraente poste in essere dal Comune di Tavagnacco. In senso contrario, la regione appellante evidenzia che il Programma POR FESR 2007-2013, attingendo a fondi eurounitari, dovrebbe essere disciplinato dalla legge regionale n. 7/2008 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione Friuli Venezia Giulia derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Attuazione delle direttive 2006/123/CE, 92/43/CE, 79/409/CEE, 2006/54/CE e del Regolamento (CE) 1083/2006”.
Da questa premessa la parte appellante trae la conseguenza per cui la sentenza impugnata avrebbe dovuto applicare al caso di specie i principi informatori delle Direttive eurounitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE in materia di appalti, così come trasposti nel nostro ordinamento per il tramite del Decreto legislativo 163/2006.
In ogni caso, assume l’appellante, i predetti principi comunitari sarebbero comunque suscettibili di applicazione diretta in conformità ad un consolidato orientamento interpretativo della Corte di giustizia.
La corretta applicazione di siffatti principi alla fattispecie in esame avrebbe dovuto condurre, a giudizio della regione appellante, alla conclusione di considerare illegittime le procedure di affidamento in disamina e, di contro, immune da rilievi il provvedimento di revoca dei fondi assegnati al comune di Tavagnacco. Con maggiore dettaglio, la illegittimità della procedura negoziata senza pubblicazione di bando per l’assegnazione dell’appalto per la realizzazione di lavori aventi ad oggetto un impianto geotermico deriverebbe, in tale ottica interpretativa, dalla mancata previa pubblicazione di un apposito avviso, dalla carenza di motivazione e di adeguata pubblicità. Mentre la illegittimità dell’affidamento diretto dell’incarico professionale di progettazione e direzione lavori sarebbe causalmente riconducibile alla mancanza di pubblicazione dell’avviso e all’assenza della lettera di invito. A sostegno della propria impostazione, la regione appellante richiama quanto indicato nella Comunicazione interpretativa del 23.6.2006 della Commissione Europea in ordine al rispetto dei principi eurounitari in materia di evidenza pubblica.
Di analogo tenore sarebbero, a giudizio della Regione, anche gli indirizzi contenuti nella Comunicazione prot. n. RAF2/13/75362 del 27.10.2009, a firma congiunta delle Autorità di Gestione del PSR, dei FESR Obiettivo Competitività regionale e Occupazione e del FEP 2007-2013 del Friuli Venezia Giulia inerente ai contratti pubblici di lavori e forniture di beni e servizi di importo inferiore alle soglie di applicazione delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE, inviata al Comune di Tavagnacco con mail del 4.12.2009.
Né, per giungere a diverse conclusioni, si potrebbe valorizzare, ad avviso della regione Friuli-Venezia Giulia, la procedura negoziata senza bando di cui all’art 57, d.lgs. 163/2006, in considerazione della eccezionalità dei casi, non ricorrente in quello di specie, in cui quest’ultima fattispecie risulta ammissibile, riconducibili nella sostanza ad eventi imprevedibili ed urgenti, tali da determinare l’impossibilità per la stazione appaltante di operare compatibilmente con i termini imposti alle diverse procedure negoziali codificate.
In subordine, deduce ulteriormente la parte appellante, quand’anche si dovesse ritenere applicabile alla fattispecie in esame l’art. 1 bis della L.R.11/2009, resterebbe il fatto che quest’ultima disposizione non autorizzerebbe, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’espletamento di una procedura ristretta senza pubblicazione di bando di gara nelle forme seguite dal Comune di Tavagnacco.
Se, argomenta sul punto la regione, è indiscutibile che il legislatore regionale abbia stabilito la possibilità di operare tramite ricerca di mercato, cionondimeno il predetto art. 1 bis nulla prevede in relazione alle forme di pubblicità correlate alla predetta ricerca, ma soprattutto in alcun modo consente che tale ricerca di mercato possa svolgersi al riparo dai principi comunitari di tutela del mercato, di imparzialità, di rotazione e di pubblicità.
Dalle argomentazioni che precedono, la regione appellante deduce, pertanto, la correttezza del procedimento di revoca del finanziamento adottato dalla Regione in quanto il Comune di Tavagnacco non avrebbe dato adeguata pubblicità agli affidamenti contestati.
Con un secondo motivo di appello viene censurata la sentenza impugnata sotto i profili dell’eccesso di potere per travisamento dei fatti, in riferimento alla preliminare indagine di mercato, richiesta dall’art. 125, comma 11, d. lgs. 163/2006, per l’individuazione del contraente e della violazione dei principi di trasparenza e di pubblicità, previsti da sempre da quest’ultima disposizione, con riferimento alla mancata pubblicazione di un avviso pubblico sufficientemente accessibile prima dell’aggiudicazione dell’appalto.
Più in dettaglio, reiterando in parte quanto già lamentato con il primo motivo di appello, la Regione rimarca che la gara informale utilizzata per l’affidamento dei lavori avrebbe violato i principi di trasparenza e pubblicità di derivazione eurounitaria, e sarebbe, inoltre, anche deficitaria dell’elemento dell’indagine di mercato, mentre l’affidamento diretto dell’incarico di progettazione, sicurezza e direzione lavori sarebbe stato effettuato in violazione del principio di trasparenza, in quanto espletato senza gara informale, né mediante l’attuazione di un regolamento interno dell’Ente locale, ai sensi del combinato disposto di cui ai commi 10 e 11 dell’art. 125 d.lgs. 163/2006.
Per quanto più propriamente riguarda la violazione del principio di trasparenza, esso apparirebbe pacificamente violato, nella prospettiva della parte appellante, non essendovi stata alcuna adeguata pubblicità da parte della stazione appaltante, né per quanto riguarda l’affidamento dell’incarico di progettazione e direzione lavori, né per quanto riguarda l’affidamento per la realizzazione dei lavori.
Di fatto, secondo la prospettiva in esame, la sentenza impugnata avrebbe avallato la possibilità, in relazione alle fattispecie come quella in disamina, di procedere senza la pubblicazione di un bando di gara, bensì attraverso un semplice passa parola.
Tale modello procedurale, ad avviso della regione appellante, oltre a contrastare con i principi del diritto eurounitario, non troverebbe fondamento in alcuna previsione normativa, ma rappresenterebbe un quid novum frutto di una “libera interpretazione”.
Quanto alla violazione del dovere di procedere ad una preliminare ed effettiva ricerca di mercato, sarebbe sufficiente a comprovare l’ assunto, a giudizio della Regione, il richiamo alla definizione di indagine di mercato contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1881/2001, alla cui stregua, l’indagine di mercato non può, infatti, mai realizzarsi in una ricerca empirica, dal momento che la stessa presenta gli stessi elementi di una gara informale, preceduta da avviso e richiesta di presentazione di offerte, senza che vi sia, però, alcun affidamento, in capo agli operatori economici che vi partecipano, ad essere selezionati dall’amministrazione procedente.
Infine, con ulteriore motivo di impugnazione la regione appellante deduce la violazione dell’art. 1 bis della L.R. 11/2009, nella misura in cui è stato interpretato dalla sentenza impugnata come norma che esonererebbe dal valutare l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo. A sostegno del motivo la regione appellante evidenzia che “l’interesse transfrontaliero certo” di un appalto pubblico deve essere determinato analizzando ogni singolo caso sulla base di diversi fattori così come chiarito dalla comunicazione interpretativa C 179 dell’1.8.2006 della Commissione Europea e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. In particolare, la Commissione, con la menzionata comunicazione, avrebbe chiarito che tale accertamento deve essere basato su una valutazione concreta delle circostanze specifiche del caso, quali l’oggetto dell’appalto, il suo importo stimato, le particolari caratteristiche del settore in questione (dimensioni e struttura del mercato, prassi commerciali, ecc.), nonché il luogo geografico di esecuzione dell’appalto. La giurisprudenza della Corte di Giustizia, a partire dal caso Telaustria e Telefonades (C-324/98 del 7 dicembre 2000), avrebbe sviluppato il concetto di interesse transfrontaliero certo quale punto di raccordo tra gli appalti sopra e sottosoglia. Alla tregua di siffatto formante giurisprudenziale, in particolare, mentre a partire dalla soglia comunitaria, l’interesse transfrontaliero è presunto, per gli appalti sottosoglia e per quelli c.d. non prioritari (di cui all’allegato II B della D. 18) deve essere verificato dalla stazione appaltante preliminarmente all’avvio della procedura.
Il comune appellato ha replicato agli argomenti addotti dalla controparte, in particolare, ribadendo che la disposizione normativa di riferimento, al metro della quale occorrerebbe verificare la legittimità del provvedimento di revoca dei contributi della Regione Fiuli-Venezia Giulia, è quella di cui all’ art. 1 bis della legge regionale 4 giugno 2009 n. 11, la quale, in riferimento alle procedure di affidamento degli appalti per importi inferiori al milione di euro sancisce, con presunzione iuris et de jure, il carattere non transfrontaliero dell’affidamento.
La sentenza di primo grado, ad avviso del comune di Tavagnacco, andrebbe in ogni caso confermata sulla base delle seguenti considerazioni:
a) le fattispecie in esame attengono all’affidamento di lavori e progetti di ridottissimo importo (111.650 euro per l’affidamento di lavori e 4.924,78 euro con riferimento all’affidamento del progetto);
b) in riferimento all’affidamento di lavori, il confronto concorrenziale non è stato di fatto conculcato, essendo stati invitati a partecipare 16 operatori economici;
c) in relazione all’incarico di progettazione, l’affidamento diretto sarebbe ammissibile nei casi come quello qui in esame in cui il progetto ha un valore inferiore all’importo di 20.000 euro
L’appello è infondato per le ragioni che seguono.
La questione all’esame del Collegio attiene alla legittimità del provvedimento con cui la Regione appellante – per la ritenuta “…mancata ottemperanza alle norme concernenti gli appalti pubblici: ricorso a inadeguata procedura concorsuale e mancato rispetto obblighi in materia di informazione e pubblicità stabiliti dalle disposizioni normative tra cui le Direttive comunitarie 2004/17/CEE e 2004/18/CE (…) e il Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (…), tali da non garantire il rispetto dei principi generali comunitari di non discriminazione, parità di trattamento, libera concorrenza e di trasparenza… ” – ha disposto la revoca del contributo concesso al Comune di Tavagnacco per la realizzazione di un impianto geotermico presso una scuola materna.
In via preliminare, prima di passare all’esame del merito delle questioni sollevate con l’atto di appello, la Sezione osserva che, non essendoci stata specifica contestazione circa il difetto di giurisdizione del giudice adito, sussiste, ai sensi dell’art. 9 cod. proc. amm., la giurisdizione di questo Consiglio di Stato.
Sempre in via preliminare la Sezione, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale, ritiene di dover esaminare esclusivamente i motivi di impugnazione, sopra riportati, inseriti nella specifica parte dell’atto di appello ad essi dedicata.
Quanto all’obbligo di specificità e chiarezza (che compendia anche quello di sinteticità) dei motivi di appello, antecedentemente all’entrata in vigore del d.P.C.S. 22 dicembre 2016 (attuativo dell’art. 13 ter disp.att. c.p.a., pubblicato sulla G.U. n. 2 del 3 gennaio 2017 e applicabile ai ricorsi instaurati successivamente al 2 febbraio 2017) si rinvia ai principi elaborati da un costante indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2551 del 2022 e n. 7677 del 2021; sez. IV, n. 2271 del 2018; sez. IV, n. 4636 del 2016; sez. IV, n. 2866 del 2016); tale obbligo, del resto, è stato ritenuto pienamente vigente anche dopo l’entrata in vigore del menzionato d.P.C.S. del 2016 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 941 del 2020; n. 1355 del 2020) e ritenuto violato anche in presenza dei c.d. “motivi intrusi”, vale a dire di motivi inseriti nella parte del ricorso dedicata al fatto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 2319 del 2020; – sez. IV, n. 4659 del 2017; sez. IV, n. 2866 del 2016; sez. III, n. 1120 del 2016).
Questi principi sono stati ribaditi, di recente, anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sez. I, 28 ottobre 2021, Succi c. Italia), la quale ha avuto modo di chiarire la legittimità della sanzione dell’inammissibilità (del ricorso per Cassazione), a fronte della violazione dei doveri di specificità e sinteticità (nel caso esaminato, si trattava della violazione del c.d. principio di autosufficienza nella predisposizione del ricorso per cassazione).
Ciò posto, i motivi di appello possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, considerato che con essi, nella sostanza, vengono sollevati due ordini di questioni.
Come anticipato, la regione appellante lamenta, per un verso, il fatto che il comune di Tavagnacco, nell’espletamento delle procedure di affidamento dei lavori e dei progetti menzionati, partendo dall’erronea applicazione dell’art. 1-bis della l.r. legge regionale 4 giugno 2009, n. 11, avrebbe vulnerato i principi contenuti nei trattati eurounitari e nel d.lgs. 163/2006, di trasparenza, pubblicità e par condicio in materia di gare di appalto (artt. 57 comma e 125). In secondo luogo, viene censurata la violazione dell’obbligo, espressamente previsto, di procedere nel caso di specie ad una adeguata preliminare consultazione di mercato, così come espressamente prevista dall’art. 125 del d.lgs. 163/2006.
Solo in via ipotetica e subordinata, la parte appellante deduce, infine, che, quand’anche si volesse ritenere corretta l’individuazione del menzionato art. 1 bis, quale fonte di regolazione delle predette procedure di affidamento, comunque si dovrebbe giungere alla conclusione della sua non corretta applicazione da parte della stazione appaltante, in ragione della violazione dei medesimi principi di trasparenza, dell’obbligo di procedere con una preliminare consultazione di mercato, oltre che dell’obbligo di una preliminare valutazione in ordine alla eventuale valenza transfrontaliera degli affidamenti.
Pare utile, ai fini dell’esame dei motivi di appello, ricostruire le fonti di regolazione delle procedure di affidamento adottate dal Comune di Tavagnacco.
Il Collegio preliminarmente ritiene non applicabile al caso di specie l’art. 1-bis, legge regionale 4 giugno 2009, n. 11, sia pure sulla base di un percorso argomentativo diverso rispetto a quello elaborato dalla regione appellante.
In particolare, l’art. 1 della legge regionale 4 giugno 2009, n. 11, intitolato “Semplificazione delle procedure contributive in materia di opere pubbliche” così dispone: … Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli interventi finanziati nell’ambito di programmi e iniziative comunitarie, nell’ambito dei programmi attuativi regionali finanziati con le risorse del Fondo aree sottoutilizzate (FAS), nonché agli interventi finanziati a valere sugli articoli 15e 15-bis della legge regionale 18 gennaio 1999, n. 3 (Disciplina dei Consorzi di sviluppo industriale), sull’art. 8 della legge regionale25 giugno 1993, n. 50 (Attuazione di progetti mirati di promozione economica nei territori montani), e sull’art. 161 della legge regionale 16 gennaio 2002, n. 2 (Disciplina organica del turismo), e nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, della viabilità’, dell’edilizia, scolastica, sociale e sanitaria.”
L’articolo 1 bis, così come introdotto dall’art. 4, comma 28, della legge regionale 12/2010, intitolato “Interventi straordinari e urgenti a tutela dell’occupazione nel comparto edile e per l’accelerazione delle procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori”, così recita:
“1. Al fine di fronteggiare la straordinaria situazione di grave crisi congiunturale, fino al 31 dicembre 2011, i lavori di importo pari o inferiore a 1 milione di euro al netto di IVA non presentano interesse transfrontaliero.
2. I lavori di valore pari o inferiore all’importo di cui al comma 1 sono affidati, a cura del responsabile unico del procedimento, mediante ricerca di mercato volta a individuare gli operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione. L’invito diretto è rivolto ad almeno quindici soggetti ove esistano in tale numero soggetti idonei secondo criteri di rotazione. Il termine di ricezione delle offerte non può essere inferiore a dieci giorni dalla data di invio della lettera di invito.
Ad avviso della Sezione, dal confronto ermeneutico tra le due riportate disposizioni, per quanto più rileva nella presente sede, si ricava la non applicabilità dell’art. 1 bis:
– ai lavori finanziati nell’ambito di programmi comunitari;
-al settore dell’edilizia scolastica.
L’art. 1 bis si limiterebbe, pertanto, a disciplinare unicamente le fattispecie non rientranti tra le eccezioni enucleate dal precedente art. 1 e segnatamente le procedure di affidamento finanziate esclusivamente con fondi regionali.
Esulerebbero, di contro, dal proprio perimetro applicativo, ai fini di quanto qui rileva, le fattispecie relative ai finanziamenti di origine comunitaria e ai lavori nel settore dell’edilizia.
A sostegno dell’assunto depone la considerazione per cui le disposizioni menzionate sono poste in rapporto di specialità reciproca, fattispecie che, come noto, ricorre quando due previsioni normative hanno alcuni elementi in comune, ma poi ciascuna di esse presenta elementi aggiuntivi o specializzanti.
Militano a sostegno di questa conclusione i principali argomenti appartenenti al genus dell’interpretazione sistematica (argomento della coerenza inteso ad evitare antinomie; argomento topografico trattandosi di disposizioni appartenenti al medesimo titolo; argomento del combinato disposto; argomento dell’interpretazione adeguatrice ( o conforme) al diritto Ue e costituzionale).
Avvalora ulteriormente tale risultato interpretativo la circostanza per cui nel bando di finanziamento per la concessione e l’erogazione dei finanziamenti previsti dal por fesr 2007 — 2013 della Regione Fiuli- Venezia Giulia e nei relativi allegati, non viene mai menzionata la legge regionale, 4 giugno 2009, n. 11 tra le relative fonti di disciplina della procedura.
Le conclusioni così raggiunte sono ulteriormente confermate dall’irragionevole risultato ermeneutico cui darebbe luogo la tesi contraria, avallata dal giudice di prime cure, che assume l’applicazione dell’art. 1 bis alla fattispecie in esame, la quale, in ultima analisi, condurrebbe, ad una inammissibile intepretatio abrogans dell’art. 1 comma 1 e delle deroghe da esso formulate.
Da quanto precede discende l’assorbimento dei motivi di censura formulati dalla parte appellante in via subordinata e ipotetica in relazione alla non corretta applicazione dell’art. 1 comma 1 bis della legge regionale 4 giugno 2009, n. 11.
Dalla premessa della non applicazione al caso di specie del predetto art. 1 bis non consegue tuttavia, contrariamente a quanto auspicato dalla parte appellante, l’accoglimento dei motivi di appello finalizzati a lamentare l’illegittimità delle procedure di affidamento poste in essere dal Comune di Tavagnacco per contrasto con principi eurounitari e con le regole di cui al d.lgs 163/2006 in materia di evidenza pubblica.
A tal proposito, reputa la Sezione che la normativa di riferimento delle procedure di affidamento contestate deve essere rintracciata nell’art. 125 del d.lgs. 163/2006, ratione temporis vigente, il quale al comma 11, con riferimento agli affidamenti di servizi di importo inferiore alla soglia dei 20.000 euro, consentiva l’affidamento diretto e, in relazione alle procedure di affidamento di lavori sino alla soglia di 200.000 euro, ammetteva la procedura del c.d. cottimo fiduciario ( comma 4 ).
È pertanto sulla base di quanto prevedeva quest’ultima disposizione normativa che deve essere vagliata legittimità delle procedure di appalto poste in essere dal Comune di Tavagnacco.
Come chiarito in più occasioni dal Consiglio di Stato, il cottimo fiduciario non è una vera e propria gara, ma una trattativa privata, ossia una scelta altamente discrezionale che è temperata soltanto dal rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità da attuare attraverso la rotazione tra le ditte da consultare e con le quali negoziare le condizioni dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sezione III, n. 4661 del 2014; sezione V, n. 5742 del 2011).
Per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture in economia, in particolare, l’art. 125 del Codice dei contratti del 2006 prevedeva al comma 8 quanto segue:
“Per lavori di importo pari superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro, l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”.
Nel pensiero del legislatore, dunque, il cottimo fiduciario non è una vera e propria gara, ma una trattativa privata che si traduce in una scelta ampiamente discrezionale. Tale discrezionalità si esercita in due momenti: primo, l’individuazione delle cinque ditte da “consultare”; secondo, la scelta del contraente fra le ditte consultate. La discrezionalità è temperata, ma non eliminata, da alcuni princìpi, quali la trasparenza e la parità di trattamento (che implicano il dovere di una previa formulazione e comunicazione dei criteri della scelta, etc.) e, appunto, la “rotazione” (per evitare che il carattere discrezionale della scelta si traduca in uno strumento di favoritismo).
Analoga disposizione si rinveniva, al tempo dei fatti per i quali si controverte, per servizi e forniture nel comma 11.
Se si risale ancora indietro nel tempo, l’art. 78 del d.P.R. 554/99 (Regolamento di attuazione della L. 11 febbraio 1994, c.d. Legge “Merloni”) così disponeva: “Per lavori di importo pari superiore a 40.000 euro e fino a 200.000 euro, l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per lavori di importo inferiore a quarantamila euro è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento”.
Come è stato autorevolmente rilevato in dottrina, il contratto di cottimo fiduciario costituisce una particolare forma di trattativa privata posta sotto la diretta responsabilità del funzionario amministrativo.
In tale prospettiva, è stato ulteriormente osservato che, proprio perché basato su un rapporto diretto e fiduciario, non sussisterebbe un obbligo in capo all’amministrazione di invitare tutte le imprese che ne facciano richiesta, né di illustrare diffusamente le ragioni di ogni mancato invito.
Cionondimeno, le regole procedurali anche minime che l’amministrazione si deve dare per concludere il cottimo fiduciario implicano il rispetto dei principi generali di imparzialità, correttezza, buona fede, proporzionalità.
Nel solco di tali considerazioni, è stato anche evidenziato che il procedimento amministrativo del cottimo fiduciario risulta molto più snello rispetto alle altre procedure di affidamento, presentando una fase di negoziazione diretta tra amministrazione e privato.
Da tale premessa ricostruttiva discende il corollario applicativo per cui la procedura del cottimo fiduciario prescinde da molte delle regole, soprattutto formali, che governano la materia dei contratti allorquando uno dei contraenti è un’amministrazione pubblica.
L’analisi dei principali precedenti in materia conferma la correttezza di siffatte conclusioni.
Così ad esempio, nella decisione del Consiglio di Stato n. 4997/2019 si è affermato che “in ipotesi di lavori in economia affidati mediante procedura di cottimo fiduciario, ai sensi dell’art. 125 del d.lgs. n. 163 del 2006, è corretta la sentenza che ha escluso l’applicabilità delle norme sul procedimento di valutazione dell’anomalia delle offerte. Il mero richiamo fatto dall’art. 125, comma 14, ai principi in tema di procedure di affidamento e di esecuzione del contratto desumibili dal codice e dal regolamento non consente affatto l’applicazione di una disciplina specifica, quale quella dettata dagli artt. 86-88 dello stesso codice. Deve invero osservarsi che ai sensi dell’art. 125, comma 11, d.lgs. n. 163/2006, applicabile ratione temporis, per servizi o forniture di importo pari o superiore a quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9, l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante”.
Analogamente nella decisione n. 4661/2014, il Consiglio di Stato ha chiarito che “nel contesto dell’art. 125 del codice dei contratti pubblici il principio della rotazione, imposto con riferimento alla procedura di cottimo fiduciario, appare concepito dal legislatore come una contropartita, o un bilanciamento, del carattere sommario e “fiduciario” della scelta del contraente. Ed invero, il “cottimo fiduciario” è definito dallo stesso art. 125 come «una procedura negoziata, previa consultazione di almeno cinque operatori economici». Nel pensiero del legislatore, dunque, il cottimo fiduciario non è una vera e propria gara, ma una trattativa privata (si veda anche l’art. 3, comma 40, dello stesso codice, che contiene la definizione del termine “procedura negoziata”), quindi una scelta ampiamente discrezionale. Tale discrezionalità si esercita in (almeno) due momenti: primo, l’individuazione delle cinque ditte da “consultare”; secondo, la scelta del contraente fra le ditte consultate. La discrezionalità è temperata, ma non eliminata, da alcuni princìpi, quali la “trasparenza” (che implica il dovere di una previa formulazione e comunicazione dei criteri della scelta, etc.) e, appunto, la “rotazione” (per evitare che il carattere discrezionale della scelta si traduca in uno strumento di favoritismo)”.
Dalle affermazioni contenute nelle sentenze menzionate emerge la ratio dell’istituto in disamina, consistente nell’evitare il possibile consolidarsi di posizioni “di rendita” non concorrenziale a favore di singole imprese, scelte dalle stazioni appaltanti al di fuori delle ordinarie regole dell’evidenza pubblica: ciò vale, in primis, per quegli operatori economici che siano già stati destinatari di un affidamento diretto, che dunque, ben possono essere esclusi a priori dalle successive aggiudicazioni dello stesso genere, proprio per evitare il possibile formarsi di posizioni di privilegio.
Merita di essere ricordata, in tale prospettiva interpretativa, anche la decisione del Consiglio di Stato n. 3054/2017, nella quale si è ribadito a chiare lettere che alla procedura di cottimo fiduciario non si applicano le regole proprie dell’evidenza pubblica comunitaria, ma soltanto alcuni principi.
La decisione da ultimo menzionata ha, invero, affermato che “il divieto di commistione tra requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e criteri di valutazione dell’offerta tecnica non sarebbe principio indefettibile dell’ordinamento, ma incontrerebbe varie attenuazioni, specie quando la prestazione dedotta sia un facere. Ciò perché i servizi richiesti –come nel caso – richiederebbero elevata esperienza e approfondita conoscenza del settore e i requisiti soggettivi richiesti riguarderebbero un fattore (l’esperienza) suscettibile di riflettersi sulla qualità dell’offerta tecnica. Altresì, non sarebbe violato l’art. 83, comma 1, recante l’elenco dei criteri di valutazione dell’offerta da adottare laddove si applichi il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, poiché si tratterebbe di elenco meramente esemplificativo. La scelta di assegnare 20 punti su 30 agli specifici servizi prestati nel settore “energy”, poi, apparterrebbe alla sfera della discrezionalità non sindacabile. Nel cottimo fiduciario – soggiunge la Sogin – la stazione appaltante sarebbe tenuta solo ai principi generali di trasparenza, rotazione e parità di trattamento, ma non alle regole proprie dell’evidenza pubblica comunitaria”.
Dalla riconduzione a sistema dei principi di diritto passati in rassegna sembrerebbe emergere, in consonanza con le riflessioni della più attenta dottrina, il seguente assunto di fondo: in base alla peculiare relazione tra normativa europea e disciplina nazionale, se il legislatore UE ha inteso sottrarre determinati affidamenti all’ambito oggettivo di riferimento della disciplina sui contratti pubblici, la legge nazionale non può contraddire questa scelta, imponendo regole che, in qualche modo, riproducano le prescrizioni “escluse”.
Conseguenza applicativa di tale premessa è che, né il legislatore interno, né l’interprete potranno imporre prescrizioni e condizioni più onerose e complicate rispetto a quanto stabilito dalla normativa europea; né potranno prevedere misure e condizioni per l’accesso al mercato, ulteriori e diverse da quelle previste dal diritto UE.
Tra i principi eurounitari immediatamente applicabili al caso di specie, assume particolare rilievo il principio di proporzionalità, inteso nella specifica materia dei contratti pubblici come garanzia di un ragionevole equilibrio tra i mezzi utilizzati e fini perseguiti.
Già nella sistematica delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE, secondo l’impostazione più accreditata, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, le procedure di affidamento erano contrassegnate da tre compiti concatenati: presidiare l’imparzialità e la correttezza amministrativa, salvaguardare la concorrenza, promuovere la convenienza e l’efficienza dei contratti pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2004 n. 7898).
Inoltre, come messo in luce dalla migliore dottrina, nell’ ottica del diritto comunitario vigente ratione temporis, il principio della trasparenza non era tutelato come fine in sé, ma, più correttamente, come mezzo in vista del raggiungimento del risultato di una effettiva concorrenza.
La trasparenza doveva, già al tempo dei fatti per i quali si controverte, e non diversamente di quanto si ritiene oggi, essere intesa come metodo in vista del raggiungimento di un più ampio assetto concorrenziale.
Del resto, come non si è mancato di sottolineare condivisibilmente in dottrina, una diversa impostazione, secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico perché il suo obiettivo diventa la gara, sarebbe irragionevole, sol che si rifletta sulla elementare considerazione per cui nessuna organizzazione può avere successo badando soprattutto a rispettare i vincoli senza preoccuparsi del raggiungimento degli obiettivi.
Come anticipato, siffatta impostazione è in linea con il diritto U.E. e con i principi costituzionali.
La CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non ha mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza.
Nel recente caso Tim (cfr. Corte di Giustizia UE 30 gennaio 2020 in causa C-395/18), la Corte di Giustizia ha messo in evidenza che dal principio di proporzionalità consegue che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni delle direttive eurounitarie non devono andare oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da queste ultime.
Trattasi di un orientamento oramai consolidato a partire dal noto leading case Commissione contro Repubblica di Malta, C-76/08 del 10 settembre 2009, in tema sindacato di proporzionalità sulle misure adottate dagli stati membri in deroga agli obblighi previsti dalle direttive eurounitarie.
Questo risultato ermeneutico, contrariamente a quanto assume l’odierna parte appellante, non appare smentito neanche dalla comunicazione interpretativa della Commissione del 2006 (2006/C 179/02) la quale ha ribadito che “ in singoli casi «a causa di circostanze particolari, come un valore economico molto limitato», un’impresa con sede in un altro Stato membro non avrebbe interesse all’aggiudicazione dell’appalto. In questo caso, «gli effetti sulle libertà fondamentali … dovrebbero essere considerati troppo aleatori e troppo indiretti» per giustificare l’applicazione di norme derivate dal diritto primario della Comunità . Spetta alle singole amministrazioni aggiudicatrici decidere se l’aggiudicazione di un determinato appalto possa essere interessante per operatori economici situati in altri Stati membri. La Commissione ritiene che questa decisione deve essere basata su una valutazione delle circostanze specifiche del caso, quali l’oggetto dell’appalto, il suo importo stimato, le particolari caratteristiche del settore in questione (dimensioni e struttura del mercato, prassi commerciali, ecc.), nonché il luogo geografico di esecuzione dell’appalto. Se l’amministrazione aggiudicatrice giunge alla conclusione che l’appalto in questione presenta interesse per gli operatori economici di altri Stati membri, deve aggiudicarlo in conformità con le norme fondamentali derivanti dal diritto comunitario).
Pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, le procedure di cottimo fiduciario devono essere idonee a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza. L’osservanza di tali principi costituisce, tra l’altro, attuazione delle stesse regole costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento, che devono guidare l’azione della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 97 della Costituzione. Il principio di proporzionalità, inteso nei termini suindicati, comprende in sé il divieto di aggravio del procedimento, impedendo che nella fissazione o nell’interpretazione delle prescrizioni della legge di gara possano essere previsti adempimenti superflui o ridondanti.
Dal principio di proporzionalità deriva, pertanto, il corollario della c.d. «strumentalità delle forme» ad un interesse sostanziale dell’Amministrazione, di cui la giurisprudenza amministrativa ha fatto costane applicazione nel contenzioso in materia di appalti pubblici, e che di recente è stato codificato, mediante l’icastica formula del principio del risultato, dall’art. 1 del nuovo codice degli appalti di cui al decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023.
Era, invero, affermazione largamente condivisa, già sotto il regime del d.lgs. n. 163/2006, quella secondo la quale i principi applicabili ai contratti esclusi dalla diretta applicazione delle direttive comunitarie implicavano un obbligo di gara meno formale di quella imposta per i contratti inclusi. Tale obbligo, nel caso della procedura di cottimo fiduciario, si traduceva sostanzialmente nella necessità di invitare almeno cinque concorrenti.
Ciò non significa, peraltro, come sostiene la regione appellante, disapplicare i principi (o alcuni dei principi) dei trattati eurounitari che regolano i contratti pubblici, ma semplicemente bilanciarli diversamente in fattispecie che, come quella qui in esame, sono annoverabili tra quelle di minore impatto concorrenziale.
Siffatti principi vanno ragionevolmente bilanciati e attuati secondo diverse graduazioni, dato che l’attuazione massima di tutti i principi coinvolti è solitamente impedita dal fatto che essi sono spesso incompatibili fra loro. Tuttavia, a tutti i principi deve essere garantita almeno un’attuazione minima (dal momento che ciascuno dei principi coinvolti è garantito dall’ordinamento, al pari degli altri).
Per questa ragione, i principi vanno bilanciati, non massimizzati: la massimizzazione di un principio comporta l’«annichilimento» del principio o dei principi incompatibili e, dunque, la violazione dell’ordinamento che impone un’attuazione – ancorché minima – a tutti i principi dello stesso «rango».
Rappresenta un’acquisizione largamente condivisa quella secondo cui, all’esito della predetta operazione di bilanciamento, il principio soccombente recede, come è stato acutamente rilevato in dottrina, nei limiti del criterio di proporzionalità. Il bilanciamento impedisce che vi sia un sacrificio integrale di un principio a favore dell’altro e risponde a una logica chiaroscurale di applicazione fino a un certo limite.
Tali affermazioni trovano riscontro anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha avuto modo di affermare che l’applicazione di diversi principi generali può portare a differenti risultati secondo il diverso bilanciamento effettuato in concreto (Corte di Giustizia UE 10 luglio 2014 (in causa C-358/12), Consorzio Stabile Libor Lavori).
Da quanto precede deriva, dunque, il dovere di applicare i principi di trasparenza e parità di trattamento secondo la regola della proporzionalità.
Si pone così un rapporto costi-benefici che occorre rispettare nelle scelte relative all’affidamento dei contratti esclusi in relazione al valore, alle caratteristiche e all’oggetto del contratto.
Sulla base delle osservazioni che precedono, il Collegio ritiene che la procedura di cottimo fiduciario adottata dal Comune di Tavagnacco appare sostanzialmente in linea con il disposto del predetto art. 125 così come interpretato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel più ampio quadro dei principi delineati dalla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea.
Sotto il profilo in esame, la Sezione reputa meritevoli di condivisione alcuni argomenti valorizzati dal giudice di prime cure a sostegno della sentenza di annullamento e, in particolare, quelli che fanno leva:
-sull’esiguità del valore dell’appalto di lavori e dell’appalto di servizi;
– sulla proporzionalità o, per meglio rendere l’idea, sul punto di equilibrio che deve essere trovato tra tipo e valore dell’appalto, da un lato, e rispetto di adempimenti formali, dall’altro, nel quadro del principio di economicità cui deve essere, comunque, informata l’attività delle pubbliche amministrazioni;
-sulla circostanza che, nel caso di specie, la libertà di forme che ha caratterizzato la fase della ricerca di mercato “volta a individuare gli operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione” non pare aver provocato effetti distorsivi o di chiusura al mercato, ma, anzi, aver consentito, secondo un approccio funzionale/sostanzialistico di stampo comunitario, di intercettare i competitori (effettivamente) interessati a partecipare alla procedura.
Sotto quest’ultimo profilo, merita di essere evidenziata la circostanza, a più riprese sottolineata dalla difesa del Comune di Tavagnacco, da ultimo nelle conclusioni formulate nel corso dell’odierna udienza pubblica, che gli inviti a partecipare alla procedura sono stati estesi dal Responsabile del Procedimento a 16 società, di cui 14 con sede al di fuori della regione.
Con specifico riferimento alle 15 imprese individuate direttamente dal RUP occorre evidenziare, conformemente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, che l’irritualità che ha caratterizzato, in concreto, la ricerca esperita non ha pregiudicato, sotto il profilo sostanziale, il perseguimento dello scopo della massima concorrenza.
Depone a sostegno di questa conclusione il carattere altamente specialistico delle categorie richieste dalla lettera di invito, tale da far ritenere, di per sé, congruo il numero di 16 operatori concretamente invitati alla procedura di affidamento.
La considerazione appare ulteriormente rafforzata dalla modesta capacità attrattiva che, secondo l’id quod plerumque accidit, presenta, per imprese altamente specialistiche, un appalto dal modesto valore economico di 111.650 euro.
Del resto, quanto alle concrete modalità di individuazione degli operatori economici, richiedendo la lettera di invito le categorie OG4 (opere del sottosuolo) e OG11 (impianti tecnologici), pare, in effetti, plausibile quanto affermato dal Comune, ovvero che “non poteva non essere svolta una ricerca sul portale SOA dell’allora AVCP per reperire le imprese regionali e nazionali presenti sul mercato di questi lavori ed è intuibile che non fossero certo tante ad occuparsi di geotermia e similari, come pure ad avere la cat. OG11 che prevede la presenza di una specializzazione impiantistica a 360 gradi”.
Quanto all’incarico di progettazione, giova considerare che, con l’obiettivo della semplificazione il D.P.R. n. 384/2001, si è occupato delle forniture e dei servizi in economia delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, degli istituti e delle scuole di cui all’art. 4 della L. 24 dicembre 1993, n. 537, delle istituzioni di cui all’art. 2 della L. 21 dicembre 1999, n. 508.
Le fattispecie tipiche da esso stabilite sono testualmente riprodotte nel comma 10 dell’art. 125, D.Lgs. n. 163/2006.
Le assegnazioni in via diretta sono consentite per gli affidamenti caratterizzati dall’assenza di attribuzione di responsabilità, in attuazione dell’art. 125, comma 11, del D.Lgs. n. 163/2006, per importi inferiori a € 20.000,00.
E ciò contrariamente a quanto si prevedeva nell’art. 91 del D.Lgs. n. 163/2006, che esigeva il confronto concorrenziale, tra almeno 5 concorrenti, per gli incarichi di progettazione di importo pari o superiore a € 100.000,00 nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza.
Nella ricerca di un equilibrio tra questi ultimi principi e la necessità di snellezza operativa, il Comune di Tavagnacco ha preso atto che in relazione ad un incarico di progettazione di modesto valore economico, in quanto al di sotto della soglia dei 20.000 euro, l’affidamento diretto appariva maggiormente in linea con le esigenze di buon andamento e di speditezza dell’azione amministrativa, la quale sarebbe stata aggravata da più complesse procedure di scelta comportanti un eccessivo ed ingiustificato dispendio di risorse e di tempo.
Sulla base delle predette coordinate, paiono sul punto condivisibili e meritevoli di conferma le affermazioni contenute nella sentenza impugnata secondo cui, con specifico riferimento all’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria, l’AVCP, con determinazione n. 4 del 29/03/2007, ha stabilito che “dal combinato disposto degli articoli 91, comma 2, e 125; comma 11, del Codice, non si può tuttavia escludere che una stazione appaltante, in relazione alle proprie specifiche esigenze ed attività, possa ricomprendere nel regolamento interno per la disciplina della propria attività contrattuale, anche l’affidamento in economia dei servizi tecnici e, pertanto, per le prestazioni di importo inferiore a 20.000 giuro, in base all’articolo 125, comma 11, del Codice, procedere alla scelta del tecnico mediante affidamento diretto”. Sicché, il fatto che gli incarichi professionali affidati dal Comune, dapprima per la redazione della documentazione necessaria alla domanda di contributo, tra cui il progetto esecutivo dell’opera, e, poi, per la direzione lavori e per gli adempimenti per la sicurezza in fase esecutiva, anche se sommati, non superano la soglia degli € 20.000,00, induce a ritenere che gli stessi sono stati affidati in coerenza con il quadro normativo allora vigente.
Quanto al motivo con il quale la regione appellate lamenta la non corretta applicazione al caso in esame della previa consultazione di mercato, si osserva quanto segue.
E’ opinione largamente condivisa dagli interpreti quella secondo cui la consultazione prevista dall’art. 125 del D.Lgs. n. 163/2006 è generalmente ritenuta più flessibile di quella contemplata dalla procedura negoziata ex art. 56 del D.Lgs. n. 163/2006.
Negli affidamenti in economia il confronto concorrenziale non è strutturato ex lege e, quindi, gli enti possono impostare la valutazione comparativa su schemi non rigidi, con le sole formalità necessarie per individuare l’offerente e termini ridotti.
L’alternativa posta dall’art. 125 del D.Lgs. n. 163/2006 è tra gli albi e l’indagine di mercato che, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, serve solo a conoscere l’assetto del mercato, l’esistenza di potenziali contraenti e la tipologia di condizioni contrattuali che essi sono disposti a praticare.
Va sottolineato che cinque è il numero minimo dei soggetti da interpellare nella consultazione che precede l’affidamento prescritto dall’art. 125, commi 8 e 11, sempre se in tale numero esistano imprese idonee. Le regole procedurali indicate dal legislatore sono incentrate sui principi di trasparenza di rotazione e di parità di trattamento, che assommano anche il divieto di discriminazione e il principio di proporzionalità.
Significativa riscontro alle predette affermazioni si ricava dall’analisi della più attenta giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Sez. IV n. 1789/2006; sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1881) a mente della quale “deve essere rimarcata la differenza fra sondaggio esplorativo e gara ufficiosa istituti entrambi utilizzabili nella trattativa privata: il primo tende solo ad acquisire una conoscenza dell’assetto del mercato e dunque dell’esistenza di imprese potenziali contraenti e del tipo di condizioni contrattuali che sono disposte a praticare; il secondo, oltre ad essere strumento di conoscenza implica una valutazione comparativa delle offerte, valutazione che è insita nel concetto stesso di gara e che pone l’obbligo per l’amministrazione di rispettare le prescrizioni assunte in sede di autovincolo, in ossequio ai canoni di trasparenza, buon andamento ed imparzialità; orbene nel caso di specie è escluso che l’Agenzia delle Entrate abbia dato corso ad una gara ufficiosa”.
Con ancora maggiore aderenza rispetto al caso di che trattasi, il Consiglio di Stato, con la decisione n. 4836/2017 ha chiarito che “ l’art. 125, comma 11, d.lgs. n. 163/2006 non prescrive alcuna specifica modalità mediante la quale deve avvenire la “consultazione”, purché sia rispettato il numero minimo di soggetti consultati, né prescrive un particolare contenuto della comunicazione, purché la stessa si riveli idonei a portare a conoscenza dei destinatari l’avvio del procedimento di acquisizione e le modalità per concorrere”.
Nella fattispecie oggetto della presente controversia, il R.U.P ha individuato i soggetti qualificati mediante una esplorativa indagine di mercato, ricercando su Internet (sito Autorità di vigilanza che indica i soggetti in possesso di qualificazione SOA) o in fiere del settore le società che risultavano specializzate nella categoria di lavorazioni oggetto di appalto. Alcune società hanno fatto richiesta di invito essendo venute a conoscenza dei lavori attraverso la pubblicazione, promossa dalla stazione appaltante, dell’avvenuto finanziamento dell’opera sulla stampa locale.
Anche sotto tale profilo, la pubblicazione sulla stampa ha di fatto realizzato un’ampia pubblicità dell’appalto, specie in considerazione dell’assenza di forme di pubblicità precostituite nella fonte di regolazione normativa della fattispecie di gara espletata.
Pertanto, la libertà di forme che ha caratterizzato la fase della ricerca di mercato “volta a individuare gli operatori economici in possesso dei necessari requisiti di qualificazione” non pare aver provocato effetti distorsivi o di chiusura al mercato, ma, anzi, aver consentito, secondo un approccio funzionale/sostanzialistico di stampo comunitario, di intercettare i competitori (effettivamente) interessati a partecipare alla procedura.
Dalle considerazioni che precedono discende, anche sotto il profilo da ultimo analizzato, che le concrete modalità di realizzazione dell’indagine di mercato realizzata dal Comune di Tavagnacco non hanno violato i principi di trasparenza e parità di trattamento richiamati dalla citata disposizione di legge di cui all’art. 125.
Sulla base di quanto complessivamente argomentato, l’appello deve essere respinto.
La parziale novità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.