Corte di Cassazione, sezioni unite, ordinanza n. 8950 depositata il 18 marzo 2022
principio di autosufficienza (corollario del requisito di specificità)
Fatti di causa
La S. s.p.a., proprietaria di un impianto idroelettrico sito a monte nel territorio comunale di Venasca (CN), località Pilone delle Rocche – con opere di presa da una traversa artificiale del torrente Varaita e di scarico in un apposito canale artificiale- nonché titolare di una concessione di derivazione di acqua pubblica (conc. CN212) rilasciata dalla Provincia di Cuneo, impugnava innanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche i provvedimenti adottati dall’amministrazione provinciale anzidetta in favore della Centrale Idroelettrica P.S. di Piasco s.r.l. (d’ora in avanti, breviter, P.S. s.r.l.) aventi ad oggetto il rilascio dell’autorizzazione unica ai sensi dell’art.
12 d.lgs. n.387/2003 per la costruzione e gestione di un impianto idroelettrico a valle dell’area interessata dall’impianto S., con opere di presa dal canale di scarico di quest’ultimo, l’assenso alla concessione di sub-derivazione dal canale medesimo, la correlata disciplina delle cautele di couso tra detto titolo e quello della S. e il relativo disciplinare di concessione.
La ricorrente deduceva l’illegittimità degli atti suddetti, assumendo l’omessa tempestiva presentazione da parte della controinteressata – in violazione dell’art. 9 e dell’AII. A al DPGR n.10/R/2003 sub All della proposta di convenzione per il couso nei confronti della S. s.p.a. e la conseguente improcedibilità dell’istanza di autorizzazione unica. Prospettava altresì: a) l’omesso coinvolgimento della ricorrente stessa nel procedimento autorizzativo ed in quello di sub concessione, con conseguente lesione delle garanzie partecipative; b) il mancato accordo tra la P.S. s.r.l. e la S. s.p.a. sul couso delle opere idrauliche, nonostante quest’ultima avesse redatto una bozza di convenzione sulla scorta dei criteri dettati dal parere tecnico reso dalla Provincia -Ufficio Acque- in violazione dell’art. 47, c.1, del R.D. n.1775/1933 e dell’art. 29 del DPGR n.10/R/2003, recanti la previsione di un compenso di natura indennitaria per il couso al quale è tenuto il nuovo utente in favore del preesistente impianto.
Il Tribunale superiore delle acque pubbliche rigettava il ricorso con sentenza n.38/2020, pubblicata il 25 giugno 2020, indicata in epigrafe.
Il Tribunale superiore delle acque riteneva l’inapplicabilità della condizione di procedibilità dell’istanza di AU della P.S. s.r.l. per l’asserito difetto della convenzione di couso, non figurando tale requisito tra i documenti elencati nell’AII. A -p.te II- al DPGR
n.10/R/2003 richiamati dal precedente testo degli artt. 8 e 9 del regol. reg. cit. vigenti al tempo in cui fu proposta l’istanza di concessione di sub-derivazione prodromica a quella di autorizzazione unica de qua. Peraltro, secondo il Tsap era irrilevante la predisposizione di un’eventuale proposta di convenzione per il couso alternativa alla produzione della relativa convenzione, non essendosi concluso alcun accordo fra i coutenti, al punto da rendere necessario l’intervento della Provincia di Cuneo per la determinazione delle cautele e del compenso spettante al concessionario principale.
Il Tsap non riteneva poi fondata la doglianza attorea sulla violazione delle garanzie procedimentali, stante la partecipazione procedimentale da parte della ricorrente, favorita dalla pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento di AU nell’Albo pretorio provinciale e dall’avvenuta conoscenza dell’inizio del procedimento espropriativo -contestualmente avviato- nonché dello svolgimento delle sedute delle Conferenze di Servizi, alle quali la S. aveva presenziato per il tramite del suo difensore e del legale rappresentante, proponendo osservazioni.
Infine, il Tsap riteneva immune da vizi la determinazione del compenso per il causo operata d’ufficio dalla Provincia di Cuneo sulla base dei criteri fissati nel disciplinare di sub-concessione.
La S. s.p.a. ha proposto ricorso innanzi alle Sezioni Unite di questa Corte affidato a tre motivi, al quale hanno resistito con controricorso la Provincia di Cuneo e la P.S. s.r.l.
La S. s.p.a. e le controricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 25 gennaio 2022.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la S. s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3, c.p.c., da parte del Tribunale superiore delle acque, delle disposizioni di legge relative alla procedibilità dell’istanza di concessione di sub-derivazione di acqua pubblica e nella specie del combinato disposto dell’art. 9 e dell’AII. A, Parte II, Sezione I, del DPGR Piemonte n.10/R/2003 sub All, come modificato dall’art. 7, c.l, delDPGR Piemonte n.2/R/2015, entrato in vigore in data 13 marzo 2015. In forza di tale quadro normativo, applicabile -secondo la ricorrente- in virtù del principio del c.d. tempus regit actum, il Tsap avrebbe dovuto considerare che in caso di utilizzo di opere di derivazione preesistenti di competenza di altro soggetto rientrerebbe tra gli allegati tecnici previsti a pena di improcedibilità della domanda di concessione anche la proposta di convenzione per il causo. La relativa necessità di acquisizione, in ossequio al richiamato canone del tempus regit actum si sarebbe imposta pertanto a titolo di “ius superveniens”, essendo la modifica normativa intervenuta nelle more del procedimento amministrativo per il rilascio della concessione di sub-derivazione, istruito dalla Provincia di Cuneo a seguito di istanza della P.S. s.r.l. datata 9.05.2014 e destinato a confluire nella procedura di autorizzazione unica avviata dalla medesima con istanza del 2.12.2015.
Con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3, c.p.c., da parte del Tribunale superiore delle acque, delle disposizioni di legge vertenti sulla necessaria osservanza delle garanzie procedimentali per la tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei terzi aventi titolo (artt. 1,7,8 e 14-ter della L. n.241/1990), stante l’assoluta pretermissione della stessa dai procedimenti amministrativi avviati e istruiti dalla Provincia di Cuneo e la conseguente grave violazione delle relative garanzie procedimentali spettanti alla stessa. La ricorrente si duole del fatto che l’amministrazione provinciale di Cuneo, in ossequio ai criteri legali di “efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”, avrebbe avuto l’onere di comunicare formalmente l’avvio della procedura di autorizzazione unica e del propedeutico procedimento di concessione di sub-derivazione, nonché l’invito -in tempo utile a presentare osservazioni con contestuali ed espresse istanze- alle Conferenze di Servizi, non solo ai soggetti “diretti destinatari” del relativo provvedimento, ma anche a quelli “individuati o facilmente individuabili” ai quali “possa derivare un pregiudizio”. Secondo la S. s.p.a., infatti, il progetto di impianto idroelettrico della P.S. s.r.l. coinvolgerebbe parti fondamentali delle opere costituenti la struttura di proprietà della ricorrente, interferendo altresì -con effetti parimenti pregiudizievoli- sulla concessione di derivazione di acqua pubblica ad uso energetico precedentemente rilasciatale dalla stessa Provincia di Cuneo.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce, infine, la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3, c.p.c. delle disposizioni di legge vertenti sulla previsione obbligatoria di un compenso di natura indennitaria per il couso, che il nuovo utente è tenuto a corrispondere a quelli preesistenti ai sensi dell’art. 47, c.1, del RD n. 1775/1933 e dell’art. 29 del DPGR n. 10/R/2003, nell’ipotesi di disciplina d’ufficio – in mancanza di accordo tra le parti- del couso delle opere di derivazione. La ricorrente si duole dell’omessa previsione a cura della Provincia di Cuneo -con nota provinciale n.76176/2017- di un compenso per il couso delle opere di derivazione preesistenti di proprietà della S. s.p.a., censurando l’adozione da parte del Dirigente provinciale di cautele per il couso -confluite nel disciplinare di sub-concessione- dirette a limitare l’indennità dovuta dalla P.S. s.r.l. -in qualità di nuovo utente- alla mera compartecipazione proporzionale alle spese di manutenzione ordinaria delle opere dell’impianto attoreo, con esclusione di quelle iniziali di costruzione e di manutenzione straordinaria. Secondo la S. l’omessa determinazione del corrispettivo nei termini risultanti dalla bozza di convenzione per il couso rifiutata dalla controinteressata sarebbe pertanto illegittima. La ricorrente lamenta altresì l’arbitrarietà della suddetta nota dirigenziale nonché la sua contraddittorietà rispetto alle valutazioni tecniche precedentemente espresse nell’istruttoria del procedimento amministrativo condotto dalla Provincia di Cuneo -Ufficio Acque- attraverso il parere tecnico assunto con la nota n.57854/2017.
Orbene, non colgono nel segno i rilievi in ordine all’ammissibilità del ricorso per Cassazione prospettati dalla P.S. s.r.l. e -con riferimento alla intempestività del ricorso- anche dalla Provincia di Cuneo.
Ed invero, quanto all’eccezione di tardività del ricorso, giova ricordare in virtù dei consolidati principi espressi da queste Sezioni Unite in tema di impugnazione delle sentenze emesse dal Tribunale Superiore delle acque pubbliche in unico grado, una volta avvenuta la comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza, il termine breve di quarantacinque giorni per la proposizione del ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 202 del r.d. n.1775 del 1933, decorre dalla successiva notificazione della copia integrale del dispositivo, eseguita a norma dell’art. 183 del r.d. n.1775 del 1933 -Cass. S.U., 30 marzo 2018, n.8048, Cass., S.U., 15 novembre 2018, n.29393-.
Orbene, nel caso di specie il funzionario UNEP ha provveduto a notificare alla S. il dispositivo della sentenza resa dal Tsap, ai sensi dell’art. 183 del r.d. n.1775 del 1933, a mezzo del servizio postale in data 8 luglio 2020, come emerge dall’esame degli atti consentito a queste Sezioni Unite.
Pertanto, il ricorso per Cassazione proposto dalla S. s.p.a. con atto notificato alle altre parti in data 11 settembre 2020 deve considerarsi tempestivo, andando a scadere il termine di impugnazione di quarantacinque giorni, aumentato per effetto della sospensione feriale di giorni trentuno, in data 22 settembre 2020.
Quanto all’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla P.S. s.r.l. per asserita violazione del principio di autosufficienza del ricorso ai sensi dell’art. 366, c.1, n.6, c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi- è appena il caso di ricordare che tale principio, anche in relazione a recenti pronunzie della Corte di Strasburgo -menzionate nella più recente Corte edu, 28 ottobre 2021, Succi et al. c. Italia (rie. nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14)- non deve essere interpretato in modo troppo formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendosi tradurre in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso.
Orbene, non coglie nel segno l’asserita violazione del principio di autosufficienza (per cui v. Cass. 30 settembre 2015, n.19410; Cass. 8 giugno 2016, n.11738; Cass. 21 novembre 2017, n.27568; da ult. Cass. 13 marzo 2018, n.6014). Ed invero, la ricorrente ha puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, segnalando la loro presenza negli atti del giudizio svolto innanzi al Tsap.
In definitiva, la ricorrente, nell’enucleare i motivi di ricorso, ha fatto specifico riferimento ai diversi atti e documenti allegati nel giudizio innanzi al Tsap, individuandoli in modo sufficientemente chiaro e nei termini in cui già erano stati richiamati nella sentenza di merito, nonché riportandone alcuni estratti.
Nemmeno può accogliersi l’ulteriore profilo di inammissibilità prospettato dalla P.S. s.r.l. con riferimento alla genericità dei primi due motivi di ricorso, fatte salve le considerazioni che si svolgeranno in seguito a proposito del terzo motivo.
Invero, la prospettata inidoneità degli errori di diritto individuati -a dire della controricorrente- per mezzo della mera preliminare indicazione delle singole norme asseritamente violate omette di considerare le specifiche argomentazioni di parte ricorrente volte a confutare in modo analitico nei primi due motivi -ed in parte anche con riguardo al terzo motivo- le statuizioni contenute nella sentenza pronunciata dal Tsap.
Occorre a questo punto passare all’esame dei motivi di ricorso. Il primo motivo è inammissibile.
Ed invero, la censura proposta in ordine alla questione dell’improcedibilità dell’istanza di concessione di derivazione di acqua pubblica per la mancata allegazione della eventuale proposta di convenzione di couso non coglie la duplice ratio decidendi che ha indotto il Tsap a non dare rilievo alla mancata produzione della detta convenzione.
Se è vero, infatti, che il Tsap è partito dal convincimento che la produzione di tale convenzione, in forza dell’allegato A -p.te Il- del regolamento vigente all’epoca della presentazione dell’istanza, non fosse necessaria, ha poi aggiunto che « …Quest’ultima, tuttavia avrebbe comunque presupposto il previo e pieno accordo tra tutte le parti (nella specie, oltre alla ricorrente ed alla controinteressata, pure il Comune di Piasco), senza il quale l’offerta formale d’una parte ed il rifiuto dell’altra potrebbe determinare una situazione di stallo, nociva al buon regime delle acque ed al relativo interesse pubblico. Quindi, se l’accordo non c’è, la P.A. procedente vi sopperisce comunque ai sensi dell’art. 47, c.1, del R.D. n.1775/1933 e dell’art. 29 del regol. reg. n.10/R/2003, stabilendo d’ufficio le cautele di couso ed il compenso spettante al riguardo al concessionario principale, come in effetti è accaduto in forza della nota provinciale n.76176/2017″.
La ricorrente ha dunque tralasciato di considerare che lo stesso Tsap, pur muovendo dall’idea di non considerare applicabile la normativa che aveva successivamente introdotto quale requisito di improcedibilità la produzione della convenzione di couso, ha però ritenuto la totale irrilevanza di tale documento, non essendosi concluso alcun accordo fra i coutenti, al punto da rendere necessario l’intervento della Provincia di Cuneo per la determinazione delle cautele e del compenso spettante al concessionario principale.
Tale autonoma ratio decidendi della decisione impugnata, idonea a porre nel nulla, nella prospettiva del Tribunale superiore delle acque, la rilevanza dell’eventuale improcedibilità connessa alla mancata produzione della convenzione di couso, non è stata adeguatamente aggredita dalla ricorrente, rendendo in tal modo inammissibile la verifica della correttezza del profilo di censura oggetto del motivo. Senza considerare, poi, che la stessa ricorrente ha esposto la doglianza ipotizzando non già il vizio della decisione sotto il profilo della rilevata improcedibilità dell’istanza di autorizzazione unica, ma piuttosto l’errore commesso dalla Provincia di Cuneo nel non aver acquisito la proposta di convenzione per il couso da parte della P.S. s.r.l. -cfr. pag.11 ricorso per cassazione-.E in tal modo snaturando e rendendo incerto il senso stesso del motivo di ricorso rivolto in prima battuta a configurare la convenzione di couso tra gli elementi necessari ai fini della procedibilità della domanda, per poi contestare genericamente l’attività (omissiva) dell’amministrazione senza peraltro porre a fondamento di tale doglianza alcun vizio di violazione di legge.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Occorre premettere che secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa e di legittimità la comunicazione prescritta dall’art. 7 della legge n.241 del 1990 costituisce attuazione del principio in forza del quale il procedimento amministrativo, quando è preordinato all’emanazione di provvedimenti che apportano limitazioni agli interessi dei privati, deve essere disciplinato in modo che i cittadini siano messi in grado di esporre le loro ragioni, sia a tutela dei propri interessi, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico, prima che sia assunta la determinazione da parte dell’Amministrazione. (cfr. Cass. S.U., 6 febbraio 2019, n.3517, Cass., S.U, 2 dicembre 2009 n. 25345, Cass., S.U, 27 febbraio 2008 n.5080, Cass., S.U, 8 maggio 2007 n.10367).
La partecipazione procedimentale assume, pertanto, una duplice valenza perseguendo, per l’un verso, una funzione di tutela della posizione giuridica soggettiva del privato, volta a consentire al cittadino di far valere le proprie ragioni (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 aprile 2018, n.1531) in ossequio al canone del “giusto procedimento” attuativo del principio di derivazione sovranazionale di “buona amministrazione” – consacrato nell’art. 41 della Carta europea dei diritti dell’uomo nonché implicitamente riconosciuto dall’art. 6 CEDU – e, vale la pena di aggiungere, già pienamente apprezzato all’interno del quadro costituzionale. Per altro verso, la partecipazione al procedimento amministrativo svolge una funzione più propriamente collaborativa, finalizzata al perseguimento dell’efficienza dell’azione della P.A. «per consentire alla stessa amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio perseguire l’interesse pubblico principale» (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n.36) funzionale ad una «acquisizione completa dei fatti e di emersione dei presupposti giustificativi delle determinazioni provvedimentali» (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 11 maggio 2007 n.2256,Cons.Stato, Sez. VI, 8 luglio 2015 n.3406).
Peraltro, rispetto all’impostazione classica in tema di partecipazione procedimentale si è ormai affermato nel diritto vivente – poi avallato da interventi legislativi -v. art. 21 octies, c.2, L. n.241/1990, introdotto dalla legge n.15/2005- un diverso orientamento sulla portata degli istituti partecipativi che ne esclude l’applicazione formalistica.
Tale indirizzo ha inteso contenere gli effetti della mancata partecipazione al procedimento escludendo l’illegittimità dell’agire amministrativo: a) nelle ipotesi in cui l’apporto del privato, nella fase endoprocedimentale, non possa comunque spiegare alcuna influenza concreta sul contenuto del provvedimento finale; b) quando l’adozione del provvedimento finale sia doverosa oltre che vincolata per l’amministrazione e quando il quadro normativo di riferimento non presenti margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, ovvero, infine, nell’ipotesi in cui l’eventuale annullamento del provvedimento finale -per accertata violazione dell’obbligo formale di comunicazione non priverebbe l’amministrazione del potere -o addirittura del dovere di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (cfr. Cons. Stato, 17 settembre 2012 n.4925); c) quando la comunicazione di avvio risulti superflua quando l’interessato sia venuto aliunde a conoscenza dell’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 dicembre 2010, n.9324).
Si è quindi ritenuto che le disposizioni in materia di partecipazione procedimentale vanno interpretate ed applicate non in senso formalistico, ma avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza abbia in ipotesi causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o incompleto avviso di avvio del procedimento o preavviso di rigetto, al pari della non esplicita confutazione delle argomentazioni addotte dal privato in risposta al ricevuto avviso, non determina l’automatica illegittimità del provvedimento finale (Cons. Stato, sez. IV, 04 ottobre 2021, n.6602).
L’indirizzo appena ricordato è stato condiviso anche da queste Sezioni Unite, essendosi affermato che – a proposito dell’istruttoria per la concessione di derivazione d’acqua per la realizzazione di impianti idroelettrici e dell’invito a partecipare alla Conferenza di Servizi in materia ambientale – che « …le garanzie procedimentali sono poste a tutela di concreti interessi e non devono risolversi in inutili aggravi, [di guisa che] la tardività del predetto invito non determina ex se l’annullabilità del provvedimento finale quando l’omessa partecipazione non avrebbe potuto avere alcuna effettiva influenza, come nel caso di provvedimenti di natura vincolata o, per i provvedimenti di natura discrezionale, subordinatamente alla prova, da parte della P.A., che gli stessi non sarebbero stati diversi anche in caso di intervento degli interessati» (cfr. Cass., S.U., 29 aprile 2021, n.11296).
Orbene, inquadrato il diritto vivente per come consolidatosi in tema di partecipazione procedimentale, deve ritenersi corretta l’impostazione della decisione del Tsap laddove ha escluso, in maniera puntualmente argomentata, la violazione delle garanzie procedimentali, osservando che la ricorrente era stata già avvisata dell’inizio del procedimento e della convocazione della Conferenza di Servizi mediante la pubblicazione dell’avviso del procedimento di AU nell’Albo pretorio a partire dal 24 dicembre 2015.
Reputano dunque queste Sezioni Unite che il Tsap si sia pienamente conformato al diritto vivente neritlenere che « …la ricorrente ebbe sempre comunque buona contezza delle scansioni del procedimento di autorizzazione unica, oltre a presenziare le sedute conferenziali fondamentali per la costruzione dell’assetto degli interessi poi recato e definito dal rilascio di tal autorizzazione, anche per quanto attenne alla regolazione del causo». E ciò il Tsap ha fatto valorizzando non solo la piena -nonché protratta nel tempo cognizione da parte della S. s.p.a. del procedimento in corso di svolgimento in ragione della partecipazione alle sedute del 27 luglio 2016, del 4 maggio 2017 -in presenza del suo difensore e del legale rappresentante- e del 10 ottobre 2017, ma anche la circostanza che in quest’ultima sede fu assunta la nota n.76176/2017 -recante le cautele per il causo, disciplinate d’ufficio da parte dell’Amministrazione provinciale, ai sensi dell’art. 29 del DPGR n.10/R/2003- acquisita dalla S. s.p.a. ben prima dell’accoglimento dell’istanza di accesso alla documentazione amministrativa comunicata dalla Provincia di Cuneo in data 16 ottobre 2018.
Tanto esclude ogni concreta lesione delle garanzie partecipative in pregiudizio della ricorrente, nemmeno rilevando la circostanza dell’acquisizione -per il tramite della menzionata istanza di accesso alla quale ha fatto riferimento la S. s.p.a.- di documenti in tutto o in parte non conosciuti dalla stessa, dipendendo l’epoca dell’istanza da una scelta autonoma della medesima ricorrente.
Il terzo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
Occorre premettere che ai sensi dell’art. 47, c.1, del R.D., n.1775/1933 poi richiamato dall’art. 29 del Regolamento regionale 29 luglio 2003, n. 10/R della Regione Piemonte “Quando per l’attuazione di una nuova utenza sia necessario, per ragioni tecniche ed economiche, di avvalersi delle opere di presa o di derivazione di altre utenze preesistenti, si può, sentito il Consiglio superiore, accordare la nuova concessione, stabilendo le cautele per la loro coesistenza e il compenso che il nuovo utente deve corrispondere a quelle preesistenti”.
Tale composito quadro normativo prevede dunque un compenso per il couso al quale è tenuto il nuovo concessionario «quando per l’attuazione di una nuova utenza sia necessario per ragioni tecniche ed economiche» ovvero «per garantire il corretto e razionale uso delle risorse idriche», avvalersi delle opere di presa e di derivazione di altre utenze preesistenti.
Ora, come puntualmente ritenuto dal Tsap, il compenso in questione va erogato a favore del concessionario precedente per il solo fatto che la nuova utenza si giovi delle opere di presa e di derivazione già realizzate dal primo.
In tal senso si è orientata la giurisprudenza di queste Sezioni Unite sulla scia di un indirizzo espresso dallo stesso Tsap -Trib. Sup. Acque Pubbliche, 18 marzo 1999, n. 44- affermando che in tema di coesistenza, sullo stesso corso d’acqua, di più derivazioni successive “in cascata”, il concessionario a valle che si avvalga, per ragioni tecniche ed economiche, delle opere di presa e derivazione di quello a monte, deve corrispondergli un compenso, la cui erogazione, alla luce della ratio dell’art. 47 r.d. n.1775 del 1933, non è subordinata all’entità od all’incremento, rispetto al passato, della derivazione (Cass. S.U., 2 marzo 2018, n. 4995).
Orbene, fatta tale premessa in diritto, la censura della ricorrente non coglie nel segno nella parte in cui evidenzia che il giudice di merito avrebbe negato il diritto all’indennità relativa ai costi di costruzione delle opere dell’impianto S. e agli oneri derivanti dalla relativa manutenzione straordinaria.
Ed invero, il Tsap ha ritenuto che «…il parametro dell’indennizzo va strettamente parametrato al ristoro da assicurare al concessionario inciso per quelle immobilizzazioni e quegli investimenti che l’utenza preesistente ha realizzato e operato sulle stesse opere oggetto del couso. Ciò vuol dire che, attenendo il couso non già alla derivazione dal fiume Varaita, alle opere di presa o ai macchinari dell’impianto attoreo, allora l’indennità dovuta alla ricorrente va parametrata effettivamente sulla sola parte dell’impianto che direttamente sopporta il couso. [ …] Sicché non può esser consentita un’indennità per la manutenzione straordinaria e per la costruzione degli impianti e, certo, non per tutte quelle opere dell’impianto attoreo, che non siano immediatamente coinvolte dal prelievo della controinteressata…» poi aggiungendo che «…l’acqua turbinata dalle opere di quest’ultima non prevede incrementi di portata dal corpo idrico, mentre le portate da essa derivabili, il salto e la produzione, site nel predetto canale di scarico, sono strettamente conformate dalle modalità di esercizio dell’impianto attoreo. Da ciò discende che l’indennità spettante alla S. non può che esser se non quella della compartecipazione proporzionale delle due concessioni alle spese di manutenzione ordinaria delle opere dell’impianto attoreo…».
Così argomentando il TSAP per un verso correttamente escluso che l’indennizzo per il causo degli impianti anteriormente realizzati dalla S. s.p.a. potesse giustificare in capo alla P.S. s.r.l. un onere che, in dipendenza del vantaggio da essa ricevuto per lo sfruttamento degli impianti a valle, dovesse coprire in parte i costi di costruzione dell’impianto a monte e gli oneri derivanti dalla relativa manutenzione straordinaria. E ciò per la assorbente considerazione che nell’istituto del causo non possono contemplarsi i costi di costruzione, né gli oneri di manutenzione straordinaria delle opere a monte realizzati in epoca anteriore alla seconda concessione dal precedente utente concessionario, gli stessi non potendo che gravare in capo al proprietario esclusivo delle medesime. In questa direzione milita, del resto il generale principio, desumibile dalle disposizioni del codice civile in tema di uso che rinviano a quelle in materia di usufrutto in forza dell’art. 1026 c.c. (Cass. n.17320/2015) con riguardo alle riparazioni straordinarie le quali, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1005 e 1025 c.c., sono a carico del proprietario.
Del resto, la ratio dell’istituto previsto dall’art. 47 r.d. n.1775 del 1933 risulta essere quella di riconoscere al primo concessionario una compartecipazione negli oneri relativi al solo uso degli impianti dei quali il coutente beneficia e non già di addossare in capo al nuovo concessionario oneri che esulano dall’indiretto beneficio che l’opera realizza in favore del coutente e dell’uso mediato che fa della stessa prettamente in forza del nuovo titolo concessorio.
Per altro verso, parte delle doglianze esposte nel terzo motivo risultano essere inammissibilmente rivolte a censurare non già la sentenza impugnata ma direttamente la nota provinciale n.76176/2017, avendo la ricorrente dedotto la contraddittorietà dei relativi parametri per il calcolo del compenso per il couso fissati d’ufficio dalla Provincia di Cuneo e sanciti nel disciplinare di sub concessione, rispetto alle valutazioni tecniche precedentemente espresse nell’istruttoria del procedimento amministrativo condotto dalla Provincia di Cuneo -Ufficio Acque- nel parere tecnico assunto con la nota n.57854/2017, senza invece aggredire la sentenza impugnata, nella parte in cui ha avallato la logicità e la congruità della decisione adottata dalla Provincia di Cuneo nella individuazione del canone indennitario dovuto dal coutente.
Ed invero, profili di censura anzidetti non si confrontano minimamente con la motivazione espressa sul punto dal Tsap, laddove viene affermato che « …la scelta tecnico-valutativa della Provincia, basata su giudizi opinabili, non s’appalesa arbitraria…», aggiungendo che « … non spetta certo al Collegio, nella sua cognizione di legittimità, sindacare il merito tecnico-economico della controversa definizione autonoma ed unilaterale dei parametri per il calcolo dell’indennità di causo…».
In definitiva, la ricorrente non ha aggredito le statuizioni contenute nella sentenza del Tsap sulla correttezza e congruità dei criteri utilizzati per la determinazione d’ufficio dell’indennizzo di causo, inammissibilmente indirizzandosi invero, con un’evidente inversione logico-argomentativa, verso le postulate illegittimità dei provvedimenti adottati dall’amministrazione provinciale. Ciò che
indirizza verso l’inammissibilità in parte qua della censura.
Il ricorso va in conclusione rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore delle due controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della Centrale P.S. di Piasco s.r.l. e della Provincia di Cuneo, liquidandole per ciascuna parte vittoriosa in euro 7.200,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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