CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 3963 depositata il 13 febbraio 2024

Tributi – Minusvalenze – IRPEG – ILOR – Motivazione contraddittoria – Interessi per ritardata iscrizione a ruolo – Errore nell’individuazione del momento in cui sorge il diritto di credito – Accoglimento

Fatti di causa

La controversia qui in esame trova origine da una complessa operazione societaria della M. Spa, poi incorporata in N.I. Spa, in ordine a delle minusvalenze esposte in dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 1997 ai fini Irpeg ed Ilor, all’esito di una svalutazione societaria nella controllata spagnola M. S.A. Productora, di cui poi è seguita la cessione, derivandone la dichiarata minusvalenza.

Più in particolare, nell’anno d’imposta 1996 veniva operata una svalutazione della partecipazione nella società spagnola e nel 1997 veniva portata in deduzione la conseguente minusvalenza, frutto della cessione della partecipazione svalutata. L’Ufficio contestava la svalutazione e negava la minusvalenza.

Pertanto, sorgeva contenzioso fra l’Ufficio e la società contribuente in ordine alla sussistenza, alla quantificazione e alla deducibilità della predetta minusvalenza. Il giudice di primo grado di Varese, in parziale accoglimento delle ragioni della parte privata, annullava la ripresa a tassazione, ma demandava l’Ufficio a quantificare la minusvalenza, per individuarne la deducibilità, indicando altresì l’articolo di legge da applicare nell’espletamento dell’incarico contabile assegnato dal giudice all’ente impositore: così infatti decideva la CTP di Varese con sentenza n. 354/03/2001.

L’appello confermava la pronuncia di primo grado e non era, su questo punto, oggetto di ricorso per cassazione, conclusosi con sentenza n. 24896/2013 che rigettava le doglianze della contribuente, ritenendo inopponibile al Fisco la prefata svalutazione azionaria. Pertanto, l’Agenzia delle entrate, ricalcolata la minusvalenza, ne individuava l’inconsistenza e quindi procedeva a riprendere a tassazione il credito tributario indebitamente esposto. Ne seguiva quindi cartella esattoriale che veniva avversata dalla società contribuente per assenza di motivazione, trovando favorevole apprezzamento da parte del giudice di primo grado che, con sentenza numero 8914/2014, ha statuito che la cartella non recava alcuna indicazione delle modalità con cui l’Ufficio ha provveduto al ricalcolo di cui era stato incaricato, affermando di nuovo il potere dovere dell’Ufficio di ricalcolare l’ammontare della deduzione senza tuttavia, questa volta, indicarne i parametri. L’Agenzia spiccava appello per diversi motivi tra cui ultra petizione, erroneità della statuizione, assenza della quantificazione per l’ulteriore nuovo ricalcolo. Con la sentenza qui in scrutinio la commissione d’appello per la Lombardia rigettava il gravame di parte pubblica, affermando che l’originaria sentenza della commissione tributaria provinciale di Varese numero 354 del 2001, confermata in appello con sentenza 140 del 2005, avesse annullato tout court la ripresa a tassazione relativa alla minusvalenza esposta per l’anno l’imposta 1997 e, sotto altro profilo, riconoscendo doversi applicare gli interessi dal 1 gennaio 1999, secondo la norma ritenuta vigente ratione temporis.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a due motivi, cui replica con tempestivo controricorso la società contribuente, spiegando altresì ricorso incidentale condizionato e ricorso incidentale autonomo.

In prossimità dell’udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale dottor Giuseppe Locatelli, ha presentato conclusioni scritte in forma di memoria, chiedendo l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quelli incidentali.

Altresì, la parte privata ha depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.

Ragioni della decisione

Vengono proposti due mezzi di ricorso.

Con il primo motivo si protesta censura ex articolo 360 numero 4 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 dello stesso codice di rito civile e dell’articolo 2909 del codice civile. Nella sostanza, si afferma esserci insanabile contraddizione fra motivazione della sentenza e dispositivo, laddove nella pagina numero 1 la sentenza qui in scrutinio ricorda come fosse stata annullata la originaria ripresa a tassazione, ma demandando all’Ufficio il ricalcolo dell’ammontare della minusvalenza, mentre poi alla pagina numero 2 afferma che l’annullamento sia avvenuto senza demandare nuovo calcolo all’Ufficio.

Con il secondo motivo si lamenta violazione ex articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica numero 602 del 1973, avendo applicato la disposizione nel testo vigente anteriormente al 1999, mentre l’iscrizione a ruolo di cui trattasi è avvenuta nel 2014. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla parte privata e ribadita nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, richiamando altresì giurisprudenza di questa Corte.

Ed infatti, si afferma violata la disposizione di cui all’articolo 366 n. 6 c.p.c., per non aver allegato o specificamente indicato in ricorso gli atti processuali dei gradi di merito da cui si evidenziano le censure proposte.

Occorre ricordare come il tema della completezza ed esaustività del ricorso sia stato fatto oggetto di progressivi affinamenti da parte delle diverse sezioni di questa Corte, ciascuna con riguardo al carattere precipuo di competenza e del relativo rito nei gradi di merito, distinguendosi tra giudizio del lavoro, giurisdizione tributaria, sezioni specializzate. Tuttavia, la questione ha trovato composizione con arresto delle Sezioni Unite del 2022, per cui il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. S.U. n. 8950/2022). Giudice del fatto processuale, questa Corte riscontra come la doglianza attenga al testo della sentenza in scrutinio in rapporto ad alta pronuncia giurisdizionale, peraltro già arrivata alla cognizione di questa Corte e definita con sentenza, seppure non incidente il punto qui in oggetto. Pertanto, l’eccezione è infondata e il ricorso può essere esaminato.

Il primo motivo, così come esposto, risulta fondato. Ed infatti si riscontra la evidenziata inconciliabile contraddizione all’interno della motivazione della medesima sentenza, laddove da un lato ricorda il testo della sentenza della commissione tributaria provinciale di Varese numero 354 del 2001, comprensiva dell’incarico all’Ufficio di espletare nuova quantificazione della minusvalenza in oggetto, mentre successivamente, la medesima sentenza qui in esame afferma il carattere semplicemente rescindente di quella pronuncia, negandone ogni contenuto di rinvio al potere-dovere dell’Ufficio per la nuova quantificazione dell’eventuale credito tributario da portare in deduzione.

Su tale punto è consolidata la giurisprudenza di questa Suprema Corte di legittimità, laddove afferma che sussiste contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e, conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto (Cass. V, n. 26077/2015); Il contrasto tra motivazione e dispositivo che determina la nullità della sentenza ricorre solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, nel suo complesso, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale, ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale.(Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata non potendosi individuare con certezza la portata della decisione, in quanto in motivazione vi era un’affermazione che risultava coerente con il dispositivo, mentre nelle argomentazioni svolte non era chiara l’adesione da parte del giudice alle contrastanti tesi delle parti, cfr. Cass. VI-5 26074/2018). Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).

Tale è il caso in esame, ove a distanza di una pagina si enunciano proposizioni fra loro contraddittorie, circa l’esistenza o inesistenza del dovere dell’Ufficio di ricalcolare la minusvalenza esposta in dichiarazione.

Il motivo è dunque fondato e la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice di merito affinché accerti l’esatta portata della sentenza della commissione tributaria provinciale di Varese numero 354/3/2001, nonché il passaggio in giudicato su tale statuizione.

Parimenti fondato è il secondo motivo di ricorso erariale, laddove afferma l’errore del giudice d’appello nell’applicare la norma vigente all’epoca dei fatti. Deve ricordarsi che si controverte in tema di interessi per ritardata iscrizione a ruolo, per cui deve aversi riguardo al fatto causativo della mora e quindi all’elemento che fa sorgere il diritto agli interessi (cfr. Cass. V. n. 14878/2008). È dunque a tale fatto -segnatamente al suo momento genetico – che occorre aver riguardo, perché da esso sorge il diritto di credito agli interessi che matureranno secondo le regole vigenti a quella data. La scansione normativa può essere così ricostruita: (a) l’iscrizione a ruolo è pacificamente intervenuta nell’anno 2014; (b) l’art. 20 del d.P.R. n. 602/1973 è stato modificato dell’art. 8 del d. lgs. 46/1999; (c) a sua volta, il d. lgs. 46/1999, per effetto del suo art. 39, è vigente dal primo luglio 1999; (d) per l’art. 36 d. lgs. 46/1999, solo fino al 30.9.1999 i ruoli possono essere formati e resi esecutivi secondo le norme vigenti al 30.6.99. Dunque, il vecchio testo dell’art. 20, sull’iscrizione a ruolo degli interessi, era ancora operante, dopo il 30.6.99, unicamente per i ruoli formati e resi esecutivi fino al 30.9.1999 (in forza di espressa norma transitoria), vigendo per quelli successivi il definitivo superamento della “franchigia” di sei mesi nel pagamento degli interessi (cfr. ancora Cass. V, n. 14878/2008). Le maggiorazioni e gli interessi per la ritardata iscrizione a ruolo di imposte dirette costituiscono autonomi effetti di un rapporto già sorto e trovano fondamento in un fatto successivo e distinto dall’originaria obbligazione tributaria, quale il ritardo nella riscossione, con la conseguenza che sono suscettibili di essere diversamente regolati da una legge sopravvenuta mentre perdura il ritardo stesso (Cass. n. 4901/1992).

L’errore in cui è incorsa la CTR consiste nel guardare al momento genetico, individuato nel ritardo, da cui sorgono gli interessi; mentre esso ha riguardo all’iscrizione a ruolo, che è incontroversa essere avvenuta nel 2014.

Il motivo è dunque fondato e può essere accolto.

L’accoglimento del ricorso principale conduce all’esame del ricorso incidentale condizionato, cui fa seguito altro ricorso qualificato incidentale.

Con il primo, si lamenta censura ex articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 7 della legge numero 212 del 2000 (e dell’art. 3 l. n. 241/2000 (ndr art. 3 l. n. 241/1990) ) affermando che la cartella non contenga alcuna motivazione della pretesa creditoria. Con il secondo si lamenta parimenti censura ex articolo 360 numero 3 c.p.c. per violazione dell’articolo 3 della legge numero 241 del 1990 e dell’articolo 7 della legge numero 212 del 2000, nello specifico lamentando che la cartella esattoriale non contenga alcuna esplicita e chiara motivazione in ordine nella modalità del calcolo degli interessi di mora.

I due ricorsi attengono a doglianze assorbite dalla sentenza qui in scrutinio da parte integralmente vittoriosa. Pertanto, questi argomenti potranno essere riproposti nel giudizio di rinvio. Ed infatti, il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello; quest’ultima, del resto, non ha l’onere di riproporre le domande e le eccezioni non accolte o non esaminate dal giudice d’appello, poiché l’eventuale accoglimento del ricorso principale comporta la possibilità che dette domande o eccezioni vengano riesaminate in sede di giudizio di rinvio (Cass. III, n. 25821/2009), precisandosi che è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass. V, n. 22095/2017).

In conclusione, il ricorso principale è fondato, mentre gli incidentali sono inammissibili.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibili i ricorsi incidentali; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Lombardia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.