La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 30346 del 15 luglio 2013 intervenendo in tema di reato in concorso eterno ha affermato e riconosciuto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per l’imprenditore che presenti offerte di comodo operando in un sistema di gestione e spartizione degli appalti in connessione con esponenti di “cosa nostra”. Pertanto il principio statuito dalla sentenza in esame riguarda la sussistenza dell’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa allorché emerga l’esistenza di un rapporto di consapevole e volontaria collaborazione dell’imputato con l’organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”, attraverso un’attività di illecita interferenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, con reciproco vantaggio costituito, per l’imputato, dal conseguimento di commesse, e per il consorzio criminoso dal rafforzamento della propria capacità di influenza nello specifico settore imprenditoriale, con possibilità di indirizzarne le risorse al proprio interno, e dunque di accrescere le proprie risorse economiche.
I precedenti sono in merito si rinvengono nelle seguenti sentenze della Corte Suprema:
Cass., Sez. 1, n. 46552 del 11/10/2005, dep. 20/12/2005, Rv. 232963; Sez. 5, n. 39042 del 01/10/2008, dep. 16/10/2008, Rv. 242318.
Per gli Ermellini il giudice di merito ha “correttamente qualificato la condotta posta in essere dall’imputato sussumendola nella categoria delle attività di collusione” per l’imprenditore “entrato in un rapporto sinallagmatico di cointeressenza con la cosca mafiosa, tale da produrre vantaggi (ingiusti in quanto garantiti dall’apparato strumentale mafioso) per entrambi i contraenti e tale da consentire, in particolare, al primo di imporsi sul territorio in posizione dominante grazie all’ausilio del sodalizio, il cui apparato intimidatorio si è reso disponibile a sostenerne l’espansione degli affari, in cambio della sua disponibilità a fornire risorse, servizi o comunque utilità al sodalizio medesimo”.
“Si tratta, dunque – conclude la sentenza -, di una situazione che l’impugnata pronunzia ha ritenuto ragionevolmente indicativa della sussistenza di una condotta di concorso esterno, e non di partecipazione all’associazione mafiosa, poiché il soggetto – privo dell’affectio societatis e non essendo inserito nella struttura organizzativa dell’ente – si è limitato ad agire dall’esterno con la consapevolezza e la volontà di fornire un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, nonché alla realizzazione, anche parziale, del suo programma criminoso”.
I giudici della Corte Suprema con la sentenza in oggetto chiariscono quando può dirsi sussistente il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Nel caso di specie i giudici di legittimità evidenziano che sulla base delle numerose emergenze probatorie affiorate dall’attività istruttoria espletata, è emersa l’esistenza di un rapporto di consapevole e volontaria collaborazione dell’imputato con l’organizzazione mafiosa denominata “cosa nostra”, attraverso un’attività di illecita interferenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, con reciproco vantaggio costituito, per l’imputato, dal conseguimento di commesse, e per il consorzio criminoso dal rafforzamento della propria capacità di influenza nello specifico settore imprenditoriale, con possibilità di indirizzarne le risorse al proprio interno, e dunque di accrescere le proprie risorse economiche. Tali caratteristiche, secondo la Corte denotano un rapporto che non può non identificarsi con il delitto in esame, atteso che l’imputato, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale e privo dell’affectio societatis, ha operato nell’ambito del sistema di gestione e spartizione degli appalti pubblici d’intesa con esponenti mafiosi o imprenditori collegati all’associazione mafiosa, offrendo la sua disponibilità al mantenimento di tale sistema attraverso un’attività di collaborazione nell’aggiudicazione delle licitazioni ad imprese precedentemente individuate, fornendo offerte di comodo e concorrendo nella fase della turbativa che ha riguardato il controllo delle offerte presentate da alcune delle imprese partecipanti, “che non erano manovrabili”, per adeguare al loro contenuto quella proveniente dalla sua impresa cooperativa.
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