AGENZIA DELLE ENTRATE – Circolare 26 febbraio 2018, n. 3/E
Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), articolo 1, commi da 100 a 114 – Applicazione delle disposizioni concernenti i piani di risparmio a lungo termine (PIR)
INDICE
Premessa
1. Ambito soggettivo
2. Ambito oggettivo
3. Modalità di costituzione del PIR
4. Limiti all’entità delle somme e valori destinati al PIR
5. Costituzione del PIR da parte delle Casse di previdenza e Fondi pensione
6. Gli investimenti oggetto del PIR
7. Vincoli di composizione e concentrazione del patrimonio investito
7.1 Investimenti effettuati tramite OICR
7.1.1 Rispetto dei vincoli di composizione e investimenti tramite OICR (Casi particolari)
7.2 Investimenti tramite contratti assicurativi
8. Vincolo di detenzione dell’investimento disinvestimento e rimborso
8.1 Vincolo di detenzione e OICR
8.2 Vincolo di detenzione e prodotti assicurativi PIR compliant
8.3 Reinvestimento in caso di rimborso
8.4 Disinvestimento tramite cessione
8.5 Versamenti di imposte in caso di recapture
9. Decadenza dal regime
10. Trasferimento del PIR
11. Fuoriuscita di strumenti finanziari dal PIR
12. Chiusura del PIR
13. Particolari problematiche applicative
13.1 Ritenute non dovute
13.2 Il regime delle minusvalenze
14. Imposta di successione
15. Adempimenti a carico degli intermediari
16. Rapporti tra intermediari diversi coinvolti nella gestione del PIR
17. Controlli
Premessa
L’articolo 1, commi da 100 a 114, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017, di seguito “Legge”), successivamente modificato dall’articolo 57, comma 2, lettere da d) ad f), del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 (convertito con legge 21 giugno 2017, n. 96, pubblicata in G.U. 26 giugno 2017, n. 2017) nonché dall’articolo 1, comma 80 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per il 2018), prevede un regime di non imponibilità dei redditi di capitale e diversi di natura finanziaria derivanti da determinati investimenti, operati tramite piani individuali di risparmio a lungo termine che rispettino le caratteristiche espressamente previste dalle norme (vincoli e divieti di investimento), nonché un regime di non imponibilità ai fini dell’imposta di successione.
Come affermato nella relazione illustrativa alla predetta Legge, “l’intervento normativo nasce dall’esigenza di prevedere un significativo incentivo fiscale finalizzato a canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti produttivi in modo stabile e duraturo, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano.
L’obiettivo della normativa in esame è, in particolare, quello di indirizzare il risparmio delle famiglie, attualmente concentrato sulla liquidità, verso gli strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali italiane ed europee radicate sul territorio italiano per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l’approvvigionamento mediante il canale bancario”.
Come chiarito dalle linee guida pubblicate dal Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento delle Finanze il 4 ottobre 2017 (di seguito, Linee Guida), “si tratta di una consistente incentivazione fiscale del risparmio di lungo termine, ad applicazione generalizzata, finalizzata a:
– offrire maggiori opportunità di rendimento alle famiglie;
– aumentare le opportunità delle imprese di ottenere finanziamenti per investimenti di lungo termine;
– favorire lo sviluppo dei mercati finanziari nazionali”.
L’importanza di contenere, tra l’altro, il rischio ad un livello adeguato alle esigenze del cliente retail – il cui profilo non consente, in genere, una eccessiva esposizione ai rischi insiti negli investimenti meno liquidi – è perseguita dal legislatore con le specifiche indicazioni relative alla diversificazione e concentrazione del portafoglio degli investimenti inseriti nel piano.
Questa complessa opera di bilanciamento tra obiettivi di politica economica ed esigenze di tutela del risparmiatore è realizzata dalla normativa in esame subordinando l’incentivo tributario alla creazione di un “contenitore” fiscale, denominato piano (di seguito, anche “PIR”), idoneo ad accogliere tutti gli strumenti finanziari esistenti sul mercato retail, purché l’insieme di tali strumenti sia posseduto per un determinato periodo di tempo minimo (requisito temporale) e sia “assemblato” seguendo criteri stabiliti per legge, che fissano limiti all’entità e vincoli di composizione dell’investimento nonché limiti alla concentrazione, anche in termini di “liquidità”.
Le vigenti disposizioni disciplinanti i PIR, contenute nella Legge, dettano in modo puntuale le regole per la gestione di tali piani di investimento con la chiara finalità di veicolare il risparmio delle persone fisiche residenti “fiscalmente” in Italia, verso le imprese attraverso il canale degli operatori professionali (intermediari bancari, finanziari ed assicurativi).
Il coinvolgimento degli operatori professionali abilitati investe, oltre alla gestione del piano di investimento, anche l’intera gestione della fiscalità connessa agli investimenti stessi che si realizza attraverso il soggetto che assume il ruolo di sostituto di imposta.
L’oggetto principale dell’investimento è stato individuato negli “strumenti finanziari” emessi o stipulati da imprese residenti in Italia o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio
Economico Europeo (di seguito, “Stati SEE”), purché aventi una stabile organizzazione in Italia.
Particolarità del regime fiscale introdotto dalla Legge è la non applicazione della tassazione prevista per i redditi finanziari derivanti dagli investimenti inseriti nel piano ed effettuati nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa in esame.
Per consentire ai destinatari delle somme investite di poter contare su risorse stabilmente destinate alla produzione di beni e servizi, il legislatore collega il regime fiscale al mantenimento dell’investimento per un periodo di tempo minimo pari a cinque anni (cd. minimum holding period).
Il trascorrere del minimum holding period ha l’effetto di consolidare tale regime di non imponibilità, relativamente ai redditi che si sono prodotti medio termine, e di consentirne l’applicazione ai redditi derivanti in futuro dagli strumenti per i quali sia già trascorso il predetto periodo minimo di detenzione purché mantenuti nel piano.
Sotto il profilo soggettivo, le attività finanziarie oggetto di investimento nell’ambito del PIR devono essere detenute dalla persona fisica investitore al di fuori dell’esercizio di una attività di impresa commerciale. Inoltre, a seguito delle modifiche introdotte dal citato articolo 57, comma 2, lettere a-bis) e d), tra i soggetti che possono essere titolari di un PIR rientrano anche gli enti di previdenza obbligatoria di cui al decreto legislativo 20 giugno 1994, n. 509 e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 e le forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
Il PIR è definito dal comma 101 e dal comma 102 dell’articolo 1 della Legge e si identifica con l’investimento che fruisce dell’agevolazione (di seguito anche investimento “PIR conforme”): si tratta dell’insieme di strumenti finanziari e della liquidità che generano rendimenti esenti.
Come illustrato nelle Linee Guida, occorre sottolineare che un piano di risparmio a lungo termine è:
– di natura “dinamica”, “nel senso che lo stesso può avere una consistenza variabile nel tempo”;
– “personalizzabile”, nel senso che soltanto una parte dell’investimento stesso “deve essere destinata a determinati strumenti finanziari indicati dalla legge mentre la parte rimanente, potendo essere composta liberamente, consente un adattamento agli obiettivi del singolo investitore in termini di rischio e rendimento”;
– “flessibile”, ossia “capace di adattarsi alle esigenze di investimento, sopravvenute all’apertura del PIR e non rigido, ossia cristallizzato al momento di tale apertura, poiché consente il “disinvestimento”, ossia la cessione degli strumenti finanziari contenuti nel PIR, che, entro certi limiti, non comporta la chiusura del PIR e consente il “reinvestimento” di nuovi strumenti finanziari nel PIR medesimo”
1. Ambito soggettivo
Il regime fiscale in esame si applica, secondo quanto previsto dal comma 100, dell’articolo 1 della Legge (di seguito il riferimento ai “commi” senza l’indicazione dell’articolo si intende fatto ai commi dell’articolo 1 della Legge), in capo a persone fisiche “fiscalmente” residenti nel territorio dello Stato che conseguono redditi di natura finanziaria al di fuori dell’esercizio di un’attività di impresa commerciale, relativamente ad investimenti detenuti, per almeno cinque anni, nell’ambito di un piano individuale di risparmio (PIR) appositamente costituito presso un intermediario abilitato.
La condizione di soggetto residente in Italia, presupposto per l’applicazione del presente regime fiscale, deve essere sussistente al momento di costituzione (o trasferimento) del piano.
L’investitore deve autocertificare tale condizione con apposita dichiarazione all’intermediario presso cui è detenuto il PIR dichiarando, sotto la propria responsabilità, di essere residente in Italia secondo le disposizioni previste dalla relativa normativa fiscale.
Tenuto conto che il requisito della residenza fiscale in Italia è richiesto, senza possibilità di deroghe, si ritiene che il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte del titolare del piano comporti il venir meno di uno dei requisiti previsti dalla legge per fruire della agevolazione con le conseguenze illustrate in dettaglio al paragrafo n. 12.
In tal caso, a decorrere dalla data in cui si considera mutata la residenza, si applica il regime fiscale proprio dei soggetti non residenti.
Il successivo comma 112 sancisce un limite alla titolarità del PIR (principio di “unicità”) in quanto ciascuna persona fisica “non può essere titolare di più” di un PIR e ciascun PIR “non può avere più di un titolare”. Resta, pertanto, esclusa la possibilità che una persona fisica sia titolare di più di un PIR e che detti rapporti siano intestati a più soggetti.
Per assicurare il rispetto della prima di tali condizioni, lo stesso comma 112 dispone che il gestore del PIR è tenuto ad acquisire, all’atto dell’incarico (sia in sede di costituzione che di trasferimento del piano), dal titolare una autocertificazione con la quale lo stesso dichiari di non essere titolare di un altro piano di risparmio a lungo termine.
Si precisa, inoltre, che l’unicità nella titolarità del PIR deve sussistere nell’unità di tempo e non con riferimento a tutta la vita dell’investitore. Per cui, non è possibile essere titolari di più PIR contemporaneamente mentre è possibile essere titolari di più PIR non contemporanei nell’arco della propria vita.
Sulla base di tale assunto, si ritiene che, “chiuso” un PIR, sia possibile costituire un nuovo piano, anche nel medesimo periodo di imposta, applicando le modalità previste dalla normativa in esame e, in particolare, nel rispetto dei limiti di entità ordinariamente previsti dal comma 101 e illustrati in dettaglio al paragrafo n. 4.
Il comma 100 non contiene limiti minimi all’età delle persone fisiche che possono essere titolari di un PIR e, pertanto, si ritiene che anche un minore possa rivestire tale qualifica.
In tale ipotesi, si ricorda che, ai fini della tassazione del reddito, in base a quanto previsto dall’articolo 4 del TUIR, “i redditi del minore soggetti all’usufrutto legale dei genitori” sono imputati ai genitori titolari dell’usufrutto.
Ne consegue che, al fine di rispettare il principio di unicità del PIR sancito dal comma 112, il regime di non imponibilità in esame si applica solo nel caso in cui l’usufruttuario, a cui è imputato il reddito finanziario derivante da investimenti inseriti in un PIR intestato ad un minore, non sia contemporaneamente titolare di altro PIR.
A tal fine, in sede di costituzione del PIR, l’usufruttuario deve dichiarare all’intermediario di non essere titolare di un altro piano a lui intestato e di non essere già usufruttuario di redditi che beneficiano del regime in esame.
Nel caso in cui i redditi dei minori non siano soggetti ad usufrutto, la richiesta di costituzione del PIR dovrà essere effettuata dal soggetto delegato ad operare per le posizioni intestate al minore. In questo caso, il soggetto delegato può anche essere intestatario di un proprio PIR.
Con riferimento alla cumulabilità della disciplina in esame con le misure dell’articolo 29 del decreto legge n. 179 del 2012, recante incentivi per gli investimenti in start-up innovative, si osserva che in linea generale, le problematiche in materia di cumulo vengono a porsi in relazione alla concomitante applicazione di un’agevolazione con altri incentivi, concessi anche per finalità diverse, ma aventi ad oggetto (in tutto o in parte) gli stessi investimenti ammissibili e gli stessi presupposti di applicabilità.
Al riguardo, si osserva che l’ambito oggettivo di applicazione delle misure di cui si discute è differente, in quanto gli incentivi di cui al predetto articolo 29 hanno ad oggetto gli investimenti effettuati dai soggetti IRPEF e IRES nel capitale sociale di start up innovative, mentre il regime di cui all’articolo 1, commi da 100 a 114, della legge di bilancio 2017 ha ad oggetto, in estrema sintesi, gli investimenti effettuati dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di un’attività di impresa commerciale, in strumenti finanziari mediante un piano di risparmio a lungo termine.
Pertanto, considerata anche l’assenza di specifiche preclusioni poste dalle relative normative, si ritiene che le due misure siano tra loro compatibili con la conseguenza che gli investitori persone fisiche possono beneficiare cumulativamente degli incentivi accordati dalle rispettive norme agevolative.
2. Ambito oggettivo
Come previsto dal comma 100, il regime di non imposizione si applica ai redditi di capitale di cui all’articolo 44 del TUIR e ai redditi diversi di natura finanziaria di cui al successivo articolo 67, comma 1, lettere c-bis), c-ter), c-quater) e c-quinquies), derivanti da determinati investimenti effettuati nel rispetto della presente disciplina, come dettagliatamene definiti al successivo paragrafo n. 6 (c.d. “investimenti qualificati”). In base alla medesima disposizione sono escluse dal regime in questione le seguenti tipologie di redditi:
1) i redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente;
2) i redditi di capitale e i redditi diversi derivanti da partecipazioni che sono considerate “qualificate” ai sensi della lettera c), comma 1, del predetto articolo 67 del TUIR.
Con riferimento ai redditi di cui al punto 1), si precisa che gli stessi sono esclusi nel caso di investimenti diretti da parte di persone fisiche, in quanto redditi che concorrono a formare il reddito complessivo di tali contribuenti, si tratta, tra l’altro:
– dei proventi derivanti da organismi di investimento collettivo del risparmio (di seguito, OICR), istituiti in Stati non appartenenti all’UE o diversi da Stati SEE (cfr. articolo 10-ter, comma 6, della legge 23 marzo 1983, n. 77);
– dei proventi derivanti da OICR istituiti in Stati UE o Stati SEE, non armonizzati e i cui gestori non sono vigilati (cfr. articolo 10-ter, comma 6, della legge 23 marzo 1983, n.77);
– dei redditi imputati per trasparenza a fronte della partecipazione in misura superiore al 5 per cento del valore del patrimonio di OICR immobiliari (cfr. articolo 32, comma 3-bis del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni con la legge 30 luglio 2010, n. 122);
– degli utili derivanti da partecipazioni “non qualificate” in società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata i cui titoli non siano negoziati in mercati regolamentati [cfr. articolo 27, comma 4, lettera b), secondo periodo del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600].
I redditi di cui al punto sub 2 sono esclusi solo nel caso di investimenti diretti da parte di persone fisiche, in quanto derivanti da partecipazione “qualificate”. Si ricorda che, ai sensi della lettera c), comma 1, dell’articolo 67 del TUIR, si considerano tali le partecipazioni che rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, a seconda che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
Ai fini della normativa in commento, per determinare la natura “qualificata” o meno delle partecipazioni, si deve tener conto anche delle percentuali di partecipazione o di diritti di voto possedute dai familiari della persona fisica, di cui al comma 5 dell’articolo 5 del TUIR, vale a dire il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.
Inoltre, si devono computare anche le percentuali di partecipazione o di diritti di voto delle società o enti direttamente o indirettamente controllati dal titolare del PIR nonché dai predetti familiari ai sensi dei numeri 1) e 2) del primo comma dell’articolo 2359 del codice civile, vale a dire società in cui si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.
Il requisito della assenza di partecipazioni “qualificate”, come appena illustrato, deve essere attestato dal titolare del piano, il quale dichiara all’intermediario presso il quale lo stesso è detenuto, l’assenza di percentuali di partecipazione o di diritti di voto detenute, anche tramite familiari o società controllate, tali da rendere le proprie partecipazioni “qualificate” ai sensi della predetta lettera c).
Detta dichiarazione, appositamente rilasciata, deve contenere, tra l’altro, l’impegno dell’investitore a comunicare tempestivamente eventuali variazioni in dette percentuali se rilevanti ai fini della modifica della natura della partecipazione.
Per quanto concerne gli strumenti partecipativi di cui alla lettera a), comma 2, dell’articolo 44 del TUIR, la natura qualificata degli stessi viene determinata secondo quanto illustrato nella circolare 10 dicembre 2004, n. 52/E.
Si precisa, inoltre, che sebbene l’articolo 1, commi da 999 a 1006, della legge di bilancio 2018, abbia uniformato il regime di tassazione delle partecipazioni “qualificate” e “non qualificate”, l’esclusione dal regime PIR disposta, in linea generale, dal comma 100 permane dal momento che la lettera c), comma 1 dell’articolo 67 del TUIR non è stata abrogata.
La condizione di assenza di partecipazioni “qualificate” deve sussistere per l’intero periodo di tempo in cui lo strumento finanziario è mantenuto all’interno del piano.
La partecipazione è “qualificata”, ai fini della disciplina in esame, nel momento in cui la stessa è posseduta con i requisiti suindicati e, da tale momento costituisce uno strumento finanziario escluso dalla formazione dell’investimento PIR conforme.
Ne consegue che, qualora le percentuali di diritti di voto o di partecipazione dovessero, successivamente all’apertura del piano, superare quelle indicate alla lettera c), del comma 1 dell’articolo 67 del TUIR, detta circostanza deve essere comunicata dal titolare del PIR all’intermediario finanziario presso cui lo stesso è gestito.
A seguito di tale comunicazione, l’intermediario finanziario è tenuto, quindi, ad escludere dal patrimonio del piano gli strumenti partecipativi in questione. In tale ipotesi, come appena precisato, trova applicazione quanto previsto dal successivo comma 106 qualora la fuoriuscita dal piano avvenga prima del completamento dell’holding period.
In sostanza, per i dividendi percepiti fino a quel momento, l’esenzione si consolida se la partecipazione cui si riferiscono i dividendi stessi è rimasta “non qualificata” per l’intero holding period. Diversamente, i dividendi percepiti dal momento in cui la partecipazione è divenuta “qualificata” e quelli percepiti in precedenza e relativi a partecipazioni per le quali non è stato rispettato holding period non possono fruire dell’esenzione in questione. Tale circostanza non modifica l’applicazione del regime relativamente agli altri investimenti inseriti nel PIR.
Per le medesime ragioni non può fruire dell’esenzione l’eventuale plusvalenza da cessione di partecipazioni “qualificate”.
Le esclusioni di cui ai punti sub 1) e 2), si applicano esclusivamente nel caso di investimenti effettuati direttamente dall’investitore persona fisica e non anche nel caso di investimenti effettuati tramite OICR o polizze assicurative.
In particolare, l’esclusione dei redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente, di cui al predetto punto sub 1), è operante solo nel caso di investimenti diretti da parte di persone fisiche mentre non opera nel caso in cui le partecipazioni “qualificate” stesse siano detenute nell’ambito di un OICR o di una polizza assicurativa.
Come sopra illustrato, per determinare la natura “qualificata” di una partecipazione la norma fa riferimento anche alle partecipazioni detenute da familiari della persona fisica. Se ne deduce, quindi, che la disposizione concernente le partecipazioni “qualificate” non è riferibile ad attività finanziarie detenute da OICR o polizze assicurative.
Va da sé che il regime di non imponibilità in esame non si estende ad eventuali imposte applicate all’estero sui medesimi redditi. In relazione alle stesse, peraltro, non compete il credito d’imposta per imposte pagate all’estero di cui all’articolo 165 del TUIR.
3. Modalità di costituzione del PIR
Il comma 101 dispone che il PIR si costituisce con la destinazione di somme o valori, allo scopo di effettuare gli investimenti qualificati ai sensi del successivo comma 102, attraverso:
– un rapporto di custodia o di amministrazione, anche fiduciaria, esercitando l’opzione per l’applicazione del risparmio amministrato;
– un rapporto di gestione di portafoglio esercitando l’opzione per l’applicazione del regime del risparmio amministrato;
– altro “stabile rapporto” con un intermediario abilitato esercitando l’opzione per l’applicazione del regime del risparmio amministrato;
– la stipula di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione che rispettino i requisiti di investimento richiesti dalle norme, in tal a caso non è richiesta l’opzione per il regime del risparmio amministrato, non essendo le imprese di assicurazioni tra i soggetti abilitati all’applicazione di detto regime fiscale.
L’esistenza di uno stabile rapporto è riscontrabile, anche in assenza di un formale contratto di custodia o amministrazione, nel caso, ad esempio, di un “deposito virtuale” o di una “rubrica fondi” o quando si tratti di titoli, quote o certificati che non possono formare oggetto di autonoma circolazione senza l’intervento dell’intermediario. Pertanto, la costituzione di un PIR può avvenire anche mediante la “mera” sottoscrizione di quote o azioni di un OICR che rispetti i requisiti di investimento richiesti dalla normativa in esame.
Tenuto conto di quanto disposto dal comma 101, la costituzione del piano deve avvenire avvalendosi di operatori professionali quali:
– gli intermediari residenti e stabili organizzazioni di intermediari esteri, abilitati all’applicazione del regime del risparmio amministrato;
– imprese di assicurazioni residenti nel territorio dello Stato;
– imprese di assicurazione non residenti che operano nel territorio dello Stato tramite una stabile organizzazione o in regime di libera prestazione di servizi con nomina in Italia di un rappresentante fiscale scelto tra i predetti soggetti residenti. Tale rappresentante fiscale, che dovrà essere scelto tra i predetti operatori professionali residenti, svolgerà gli adempimenti previsti per i soggetti residenti presso cui sono costituiti i PIR negli stessi termini e con le stesse modalità, vale a dire assumendo il ruolo di sostituto d’imposta.
Si ricorda che, in base all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 461 del 1997, nel novero degli intermediari che applicano il regime del risparmio amministrato rientrano i soggetti appartenenti alle seguenti categorie:
– banche;
– società d’intermediazione mobiliare;
– società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, che amministrano beni per conto terzi;
– Poste Italiane S.p.a. che colloca strumenti finanziari ai sensi dell’articolo 13 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e dell’articolo 2, comma 26, della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
– agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale, di cui all’articolo 201 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
– società di gestione del risparmio.
Come accennato, l’investitore può costituire un piano di risparmio a lungo termine beneficiando del regime in esame anche mediante un rapporto di amministrazione fiduciaria, con o senza intestazione, delle attività finanziarie conferite che possono essere depositate anche presso intermediari non residenti.
In caso di amministrazione fiduciaria, con o senza intestazioni dei titoli, più precisamente, la costituzione del piano può essere effettuata:
1) presso la società fiduciaria che sarà responsabile della gestione fiscale del piano;
2) presso altro intermediario, diverso dalla società fiduciaria alla quale viene conferito mandato fiduciario all’intestazione del PIR, il quale si occuperà della relativa gestione fiscale mentre la fiduciaria adempie agli obblighi di comunicazione. In tal caso la fiduciaria dichiarerà, sotto la propria responsabilità, che il fiduciante per conto del quale è effettuato l’investimento possiede tutti i requisiti per usufruire del regime PIR e che tutte le condizioni sono rispettate.
Ai fini dell’applicazione del regime in commento, come sottolineato dalla relazione illustrativa, è necessaria la costituzione di uno specifico rapporto stabile e continuativo con l’operatore professionale, residente ovvero non residente che opera in Italia tramite stabile organizzazione o in regime di libera prestazione di servizi con nomina in Italia di un rappresentante fiscale.
Pertanto, qualora presso lo stesso gestore fosse presente già un altro rapporto finanziario intestato al medesimo soggetto, dovrà essere predisposta una separazione contabile delle somme e dei relativi impieghi destinati al PIR.
Il comma 101 stabilisce, inoltre, che il conferimento di valori nel piano si considera cessione a titolo oneroso e, in tal caso, l’intermediario applica l’imposta secondo le modalità indicate dall’articolo 6, del decreto legislativo n. 461 del 1997, che disciplina l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva su ciascuna plusvalenza o altro reddito diverso realizzato.
A tal fine, si precisa che rileva il valore dello strumento finanziario determinato alla data del conferimento secondo le disposizioni dell’articolo 6 comma 6, del decreto legislativo n. 461 del 1997.
Tale presunzione è finalizzata ad escludere dal regime agevolato i redditi di capitale e i redditi diversi prodotti fino alla data del conferimento dello strumento finanziario nel PIR.
Nel caso dei titoli obbligazionari e degli altri titoli soggetti al regime di cui al decreto legislativo 1° settembre 1996, n. 239, sugli interessi maturati prima del conferimento dei titoli nel PIR andrà applicata l’imposta sostitutiva in base alle regole proprie dei cambi di intestazione previsti nell’ambito di tale disciplina, in quanto la destinazione dei titoli ad un PIR implica un cambio di regime di imposizione.
Analogamente, nel caso di conferimento di quote o azioni di OICR, andranno applicate le disposizioni in tema di trasferimenti di cui all’articolo 26-quinquies del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’articolo 10-ter della legge n. 77 del 1983. Il soggetto tenuto all’applicazione dell’imposta è l’intermediario presso il quale lo strumento oggetto di conferimento è originariamente detenuto.
Conseguentemente, qualora la costituzione del piano avvenga presso un altro intermediario, l’investitore dovrà comunicare all’intermediario tenuto all’applicazione della imposta sostitutiva, l’intenzione di conferire lo strumento in un PIR.
4. Limiti all’entità delle somme e valori destinati al PIR
Il comma 101 stabilisce un limite all’entità (cd. plafond) delle somme o valori da destinare al PIR.
L’importo investito, infatti, non può superare complessivamente il valore di 150.000 euro, con un limite, per ciascun anno solare, di 30.000 euro. Tuttavia, non è previsto un arco temporale prefissato per il raggiungimento del “tetto” massimo complessivo.
E’ comunque consentito destinare al piano importi inferiori al limite annuo di 30.000 euro. In tale ultimo caso, l’importo non investito in un anno può essere investito negli anni successivi, rispettando sempre il limite annuale di 30.000 euro. Ciò comporta che il limite complessivo di 150.000 euro può essere raggiunto in un periodo di tempo superiore ai cinque anni.
Se, quindi, l’investimento effettuato nel primo anno è pari a 10.000 euro, tenuto conto che in ciascuno dei quattro anni successivi, l’investimento non potrà essere superiore a 30.000 euro, l’ulteriore investimento di 20.000 euro potrà essere effettuato negli anni successivi al quinto.
E’, inoltre, consentito effettuare l’investimento in momenti diversi dell’anno, purché entro il limite dei 30.000 euro.
Al fine del computo dei predetti limiti, si tiene conto delle somme affidate all’intermediario (bancario, finanziario o impresa di assicurazione) ovvero, nel caso di conferimento di strumenti finanziari già posseduti, del loro valore alla data di conferimento.
In particolare, le somme investite devono essere, in via generale, assunte al netto di eventuali oneri sostenuti, mentre in caso di sottoscrizione di un contratto di assicurazione rileva l’ammontare dei premi versati. Come indicato nella relazione illustrativa, ai fini del computo dei limite annuale di 30.000 euro e di quello complessivo di 150.000 euro si deve tener conto del costo di acquisto degli investimenti fiscalmente rilevante.
Con riferimento ai redditi derivanti dagli investimenti inseriti nel PIR percepiti dal titolare del piano, si precisa che gli stessi non devono necessariamente essere reinvestiti nel PIR e, se reinvestiti, sono considerati come “nuovi” investimenti, che, pertanto, rileveranno ai fini della verifica del rispetto del plafond ovvero sia del limite annuale (30.000 euro) che di quello complessivo (150.000 euro).
Il medesimo trattamento si applica anche qualora i predetti redditi rimangano nell’ambito del PIR aumentandone la liquidità e il valore di un ammontare corrispondente.
Per assicurare il rispetto di detti limiti, come illustrato anche successivamente al paragrafo n. 7, il comma 113 stabilisce, tra l’altro, che l’intermediario o l’impresa di assicurazioni presso il quale è costituito il piano di risparmio devono conservare “separata evidenza delle somme destinate nel piano in anni differenti”.
Nel caso di investimenti effettuati tramite OICR o imprese di assicurazione, come precisato dalle Linee Guida, i rendimenti che non vengono distribuiti e, quindi, si cumulano durante l’investimento, non possono essere considerati “nuovi” investimenti e, quindi, non rilevano ai fini della verifica dei suddetti limiti di plafond annuale e complessivo (rispettivamente 30.000 euro e 150.000 euro).
5. Costituzione del PIR da parte delle Casse di previdenza e Fondi pensione
L’articolo 57, comma 2, lettera Oa) del citato decreto legge n. 50 del 2017, modificando il comma 88 dell’articolo 1 della Legge, ha previsto che gli enti di previdenza obbligatoria di cui al decreto legislativo 20 giugno 1994, n. 509 e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 (di seguito, Casse di previdenza) e le forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (di seguito, Fondi pensione), possano investire anche in PIR.
In particolare, il comma 88 della Legge prevede che i predetti soggetti “possono destinare somme, fino al 5 per cento dell’attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, agli investimenti qualificati indicati al comma 89 del presente articolo nonché ai piani di risparmio a lungo termine di cui al comma 100 del presente articolo”.
Al riguardo, si precisa che tale limite rappresenta l’importo massimo da considerare, complessivamente, per gli investimenti che si qualificano ai fini dell’applicazione del comma 89 e per degli investimenti effettuati ai fini dell’applicazione della normativa PIR.
Ai fini della applicazione di tale limite, si ritiene che qualora in un esercizio vengano effettuati investimenti rilevanti ai fini dei suddetti regimi di esenzione fino al limite del 5 per cento, nell’esercizio successivo possono essere effettuati investimenti agevolabili solo nei limiti del 5 per cento dell’incremento dell’attivo patrimoniale.
Nel caso di diminuzione dell’attivo patrimoniale, invece, non si potranno effettuare ulteriori investimenti qualificati restando validi come tali quelli posti in essere negli esercizi precedenti.
Nel caso di PIR detenuti dalle Casse di Previdenza e dai Fondi Pensione, inoltre, per effetto delle modifiche apportate dal comma 2, lettera d) del sopracitato articolo 57, al comma 101, non si applicano i limiti all’entità (plafond) dell’investimento di 30.000 euro, in ciascun anno solare e complessivo di 150.000 euro.
Fermo restando tale esclusione, si ritiene che, in assenza di espresse previsioni normative, i predetti soggetti siano tenuti al rispetto di tutte le altre condizioni (requisito temporale) e vincoli (composizione, concentrazione, liquidità) richiesti dalla normativa in esame.
6. Gli investimenti oggetto del PIR
In base alle disposizioni contenute al comma 102 per beneficiare del regime di non imponibilità occorre che gli investimenti oggetto del piano abbiamo determinate caratteristiche e rispettino specifici vincoli di composizione e limiti.
In primo luogo, deve trattarsi di “strumenti finanziari”, anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione, emessi o stipulati con imprese che svolgono attività diverse da quella immobiliare, residenti nel territorio dello Stato e in Stati membri UE o SEE, con stabili organizzazioni in Italia, c.d. “investimenti qualificati”.
Con riferimento all’esercizio di attività “immobiliare” si fa presente che, a seguito delle modifiche apportate al comma 102 dall’articolo 1, comma 80, della legge di bilancio 2018, è stato eliminato il riferimento alle società che svolgono “attività diverse da quella immobiliare” e, conseguentemente, la presunzione assoluta di “società immobiliare” contenuta negli ultimi due periodi del comma in questione.
Pertanto, a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (1° gennaio 2018), gli strumenti finanziari emessi da società immobiliari possono rientrare anche tra gli investimenti qualificati e contribuire alla determinazione della soglia minima del 70 per cento del PIR.
Ai fini dell’individuazione degli strumenti ammissibili si deve far riferimento alla definizione di “strumento finanziario” rinvenibile nell’articolo 1 del testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF).
I mezzi di pagamento, quali ad esempio i conti correnti, sebbene non costituiscano strumenti finanziari secondo la definizione del TUF, possono rientrare nel PIR entro il limite del 10 per cento del valore complessivo del piano come dettato dal comma 103 ed illustrato nel successivo paragrafo n. 6.
In sostanza, il risparmio conferito nel PIR deve essere destinato per almeno il 70 per cento (quota cd. “obbligatoria”) a investimenti qualificati, come meglio illustrato al successivo paragrafo e, per la restante parte (quota cd. “libera”), può essere destinato a investimenti che non hanno le caratteristiche per essere considerati qualificati ai sensi del comma 102 nonché in impieghi di liquidità, quali deposti e conti correnti.
Per quanto concerne gli strumenti derivati, ovvero strumenti finanziari il cui valore dipende (“deriva”) dal valore di un’altra attività finanziaria o reale (cd. “attività sottostante”), si osserva che le principali finalità associate a tali investimenti sono (NOTA 1):
– copertura (hedging): proteggere il valore dell’investimento sottostante da variazioni avverse del mercato bilanciando le perdite/guadagni su tale posizione con i guadagni/perdite sul derivato;
– speculazione: realizzare un profitto collegato all’andamento atteso del prezzo dell’attività sottostante;
– arbitraggio: approfittare di un temporaneo disallineamento tra l’andamento del prezzo del derivato e quello del sottostante (destinati a coincidere all’atto della scadenza del contratto), vendendo lo strumento sopravvalutato e acquistando quello sottovalutato e ottenendo, così, un profitto privo di rischio.
Nella generalità dei casi, la stipula di tali contratti non comporta esborsi di capitale da parte dell’investitore, salvo l’addebito di commissioni, ma l’impegno a concludere una transazione o il diritto ad eseguire una compravendita o lo scambio di flussi di cassa periodici, a date certe, al verificarsi di condizioni prestabilite nel contratto.
L’utilizzo di tali strumenti all’interno di un PIR, dunque, sarebbe essenzialmente diretto a ridurre il rischio o incrementare il guadagno derivante dall’investimento sottostante piuttosto che ad accrescere le risorse finanziarie della impresa oggetto di investimento.
Altra caratteristica tipica di tali strumenti è quella di consentire all’investitore di acquistare o vendere attività finanziarie per un ammontare superiore al capitale posseduto e di beneficiare, grazie all’effetto leva (vale a dire, possibilità di effettuare un investimento collegato ad un elevato ammontare di risorse finanziarie, con un basso tasso di capitale effettivamente impiegato), di un rendimento potenziale maggiore rispetto a quello derivante da un investimento diretto nel sottostante.
Appare evidente che tale tipologia di contratti derivati non rispetterebbe la ratio della disciplina in esame dal momento che usufruirebbero del regime di non imponibilità anche redditi derivanti da attività estranee al patrimonio del PIR. In altri termini, la stipula di un contratto derivato potrebbe essere utilizzata al fine di beneficiare del regime agevolato con riferimento a redditi che provengono da attività diverse da quelle in cui è formalmente investito il PIR.
Nello specifico, difficilmente tali contratti potrebbero dunque essere utilizzati al fine di far pervenire risorse finanziarie alle imprese e, conseguentemente, date le finalità della normativa in esame, non sembra possibile ricomprenderli fra gli investimenti qualificati di cui al comma 102.
Inoltre, data la possibilità di conseguire elevati rendimenti a fronte di esborsi quasi nulli, l’inclusione di tali strumenti tra gli investimenti che beneficiano della non imponibilità dell’eventuale reddito potrebbe generare un effetto distorsivo della misura in esame privilegiando tali forme di investimento a svantaggio di quelle in azioni ed obbligazioni.
Tra l’altro, ove si ammettesse la possibilità di includere i derivati nell’ambito del PIR, la stipula di tali contratti, non comportando, in generale, un esborso di capitale da parte dell’investitore (cosiddetti “PIR fai da te”), non consentirebbe di verificare il rispetto dei limiti di plafond previsti dal comma 101, ultimo periodo.
Tuttavia, nel caso di investimenti effettuati dall’investitore attraverso OICR PIR compliant tali strumenti potrebbero essere utilizzati nell’ambito della quota libera del 30 per cento ma unicamente allo scopo di ridurre il rischio insito negli investimenti qualificati di cui al comma 102 (cd. derivati di copertura), in conformità a quanto previsto dal Provvedimento della Banca d’Italia del 19 gennaio 2015 (“Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio”, allegato V.3.1.).
In tale ipotesi, infatti, non si pone il problema di verificare il rispetto del limite di plafond in quanto l’esborso dell’investitore è collegato alla sottoscrizione delle quote dell’OICR PIR compliant.
Ad ogni modo, anche nel caso di strumenti che presentino caratteristiche generali che li possano connotare come derivati di copertura, qualora i redditi derivanti dagli stessi eccedano l’ammontare necessario per la copertura delle perdite degli investimenti qualificati detenuti nel PIR, la parte eccedente tale ammontare non potrà usufruire del regime di non imponibilità previsto per i redditi prodotti nell’ambito del PIR.
Ai fini della verifica della composizione degli investimenti del patrimonio in capo all’OICR PIR compliant, come illustrato nel paragrafo successivo, si precisa che tali strumenti devono essere valorizzati al valore di mercato in conformità ai criteri stabiliti dalla normativa regolamentare propria degli OICR.
Pertanto, nell’ambito di tali organismi di investimento non si presenta il problema dell’investimento in derivati anche nel caso in cui non vi sia un esborso per l’acquisto di tali strumenti.
7. Vincoli di composizione e concentrazione del patrimonio investito
I commi 102, 103 e 105, stabiliscono le condizioni di investimento delle risorse conferite nel piano. In particolare, il comma 102 prevede un “limite di composizione” degli investimenti “qualificati” e “non qualificati” inseriti nel piano, stabilendo che almeno il 70 per cento delle somme o valori destinati al piano sia costituito da investimenti qualificati come sopra definiti.
In particolare, deve trattarsi di strumenti finanziari emessi o stipulati con imprese residenti fiscalmente in Italia o, nel caso di imprese residenti in Stati membri della UE o in Stati SEE, che abbiano una stabile organizzazione in Italia ai sensi dell’articolo 162 del TUIR. Si ricorda che attualmente gli Stati aderenti allo SEE, diversi dagli Stati membri dell’Unione Europea, sono la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein.
Ai fini dell’applicazione della presente normativa, si precisa che il requisito dell’esistenza di una stabile organizzazione (cd. requisito di radicamento nel territorio dello Stato) nonché della residenza nei predetti Stati deve essere certificato ad opera del soggetto emittente lo strumento. La certificazione deve riguardare altresì la sussistenza di tali requisiti alla data di effettuazione dell’investimento.
La suddetta quota obbligatoria del 70 per cento deve essere investita per almeno il 30 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB (Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa) di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri (di seguito, semplificando in breve imprese “NON FTSE MIB”).
Trattasi, ad esempio, di strumenti di società non quotate o di società quotate in Borsa italiana ma NON FTSE MIB o di società quotate in mercati regolamentati, quali l’AIM Italia (mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese italiane) o nel segmento STAR del MTA (mercato di Borsa italiana che si rivolge alle imprese di media e grande capitalizzazione).
In proposito, si ricorda che l’indice FTSE MIB è un indice azionario della Borsa italiana espressione del paniere che racchiude azioni delle 40 società quotate italiane di primaria importanza e a liquidità elevata nei diversi settori ICB (Industry Classification Benchmark) in Italia. In pratica, le società con azioni maggiormente liquide e capitalizzate sui mercati gestiti da Borsa Italiana. Il FTSE MIB è il principale indice di benchmark dei mercati azionari italiani: raccoglie circa l’80 per cento della capitalizzazione di mercato interna ed è composto da società di primaria importanza e a liquidità elevata nei diversi settori industriali italiani.
Per quanto concerne i mercati esteri, possono essere considerati “equivalenti” al FTSE MIB i principali indici di tali mercati regolamentati, anche se i criteri di composizione dei panieri non sono identici. A mero titolo esemplificativo si considerano equivalenti, i seguenti indici: il FTSE 100, per il mercato inglese, il DAX, per il mercato tedesco, il CAC 40 per il mercato francese, l’AEX per il mercato olandese, l’IBEX, per il mercato spagnolo e il PSI 20, per il mercato portoghese.
La limitazione alla composizione in investimenti ad elevata liquidità ha l’evidente finalità di indirizzare in maniera certa, almeno una parte del valore complessivo investito nel PIR (in pratica il 21 per cento), verso strumenti finanziari emessi da soggetti che hanno maggiori difficoltà ad approvvigionarsi di risorse finanziarie, potenzialmente in particolare le piccole e medie imprese.
Ai fini dell’individuazione delle società che svolgono attività diversa da quella immobiliare che, secondo quanto in precedenza illustrato, deve essere operata con riferimento agli investimenti detenuti nel 2017, il comma 102 prevede, senza possibilità di prova contraria, che si considera impresa che svolge attività immobiliare quella il cui patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dai seguenti:
– immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l’attività di impresa;
– impianti e fabbricati utilizzati direttamente nell’esercizio di impresa rilevando a tal fine, per espressa previsione normativa, anche gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui l’impresa svolge l’attività agricola.
In sostanza, ai fini della disciplina in esame, si presume “immobiliare” la società il cui patrimonio è costituito prevalentemente da beni immobili diversi dai beni merce e da quelli strumentali per destinazione. Trattasi nello specifico di società immobiliari di “pura” gestione in cui prevale la detenzione degli immobili tra le immobilizzazioni (come elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente nell’impresa), la cui attività consiste principalmente nella mera locazione di immobili a terzi.
Diversamente, possono rientrare nella quota del 70 per cento di cui al comma 102 i titoli emessi da società immobiliari di costruzione, la cui attività esclusiva o prevalente è costituita dalla costruzione e/o ristrutturazione di immobili per la vendita e da società immobiliari di compravendita, la cui attività, esclusiva o prevalente, è costituita dall’acquisto e rivendita di immobili (beni merce).
Appare opportuno rilevare che, in base al disposto letterale del comma 102 in commento, la prevalenza degli “immobili merce” deve essere determinata sulla base del “patrimonio” della società come risultante dall’ultimo bilancio disponibile.
Il criterio per la verifica della prevalenza in esame, ai fini della agevolazione PIR, dunque, si differenzia da quanto previsto ai fini della applicazione dell’articolo 87, comma 1, lettera d), del TUIR che dispone l’esclusione del regime di esenzione (cd. “Regime PEX”).
Tale interpretazione valorizza la diversità del testo normativo delle due disposizioni fiscali disciplinanti la presunzione di “società immobiliare” in relazione alle differenti finalità perseguite dai due regimi di esenzione.
Resta fermo che gli strumenti finanziari emessi da società immobiliari (di qualsiasi tipo) possono rientrare tra gli investimenti “non qualificati” inclusi nella quota libera del 30 per cento del valore complessivo del patrimonio investito nel PIR.
La tipologia degli investimenti che compongono il PIR in base alle percentuali minime previste deve essere verificata dal gestore, per ciascun anno solare di vita del piano, per un periodo di tempo almeno pari ai due terzi di ciascun anno.
Vale a dire che la predetta condizione deve essere verificata per almeno 243 giorni dell’anno (244 giorni nel caso di un anno bisestile).
Stando alla formulazione letterale del comma 102, che fa riferimento all’ “anno solare di durata del piano”, nel caso in cui il PIR venga istituito nel corso dell’anno, le predette percentuali di investimento devono essere rispettate per almeno i due terzi della frazione di anno solare in cui il piano è costituito, ossia considerando il periodo che intercorre tra la data di apertura del PIR e la fine dell’anno.
Ad esempio, se il PIR è costituito il 30 giugno di un anno non bisestile, il vincolo di detenere investimenti qualificati deve essere rispettato per almeno 122 giorni su 184 giorni complessivi di attività del PIR nell’anno.
Ai fini della verifica della composizione degli investimenti oggetto del PIR, in generale, rileva il costo iniziale dell’investimento inserito nel piano.
Più precisamente, occorre fare riferimento al costo di acquisto del titolo o al valore determinato al momento del conferimento nel PIR del titolo già in possesso dell’investitore. Conseguentemente, ad esempio, nel caso di investimenti effettuati in un OICR, le quote dell’OICR contribuiscono al raggiungimento delle percentuali di composizione del PIR in base al costo di sottoscrizione, indipendentemente dalle successive oscillazioni del NAV, fermo restando il monitoraggio della composizione del PIR in relazione alle movimentazione del piano (cessioni, rimborsi e nuovi investimenti).
Nel caso di sottoscrizione di polizze assicurative PIR compliant, ai fini della verifica dei limiti di composizione imposti dalla normativa, occorre far riferimento al valore di acquisto delle attività oggetto delle polizza e, in particolare: nel caso in cui i premi siano investiti in OICR PIR compliant si dovrà prendere a riferimento il costo di acquisto delle quote dell’OICR; nel caso in cui i premi siano investiti tramite una gestione separata si dovrà prendere a riferimento detto ammontare investito; nel caso in cui i premi siano investiti tramite fondi interni dell’impresa di assicurazione si dovrà prendere a riferimento il costo delle quote del fondo riferibili alla polizza.
Ai fini della verifica della composizione degli investimenti del patrimonio di un OICR PIR compliant, inoltre, il “gestore” deve monitorare costantemente le attività in cui è investito il patrimonio dell’OICR al fine di assicurare la rispondenza delle stesse ai vincoli di composizione previsti dalla normativa. Tale monitoraggio deve tener conto del valore corrente delle attività possedute dall’OICR e non del valore di acquisto delle stesse, tenuto conto che per tali organismi dette attività sono comunemente valorizzate al valore di mercato secondo i criteri stabiliti dalla normativa regolamentare propria degli OICR.
In base al comma 103, inoltre, non più del 10 per cento delle somme o valori destinati nel piano può essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso soggetto o con altra società appartenente al medesimo gruppo (cd. “limite di concentrazione”). Per gruppo si intendono i soggetti italiani ed esteri legati da rapporti di controllo come definiti dalle specifiche norme di settore.
Stanti le finalità della normativa in esame, il suddetto “limite di concentrazione” del 10 per cento del valore complessivo del PIR deve intendersi riferito sia agli investimenti qualificati che a quelli “non qualificati” che possono essere effettuati nel limite massimo della quota libera del 30 per cento del valore complessivo del piano.
Pertanto, ad esempio, nel caso di un PIR in cui sono investiti complessivamente 10.000 euro, di cui il 70 per cento investito negli strumenti qualificati di cui al comma 102, il “limite di concentrazione” da rispettare sarà pari a 1.000 euro (vale a dire il 10 per cento di 10.000 del valore complessivo).
Per verificare il “limite di concentrazione”, come indicato nella citata relazione illustrativa, si tiene conto del costo fiscalmente riconosciuto degli strumenti finanziari.
Il medesimo comma 103 prevede, inoltre, che non più del 10 per cento delle somme o valori investiti nel piano possa essere detenuto in depositi nonché in conti correnti, bancari e postali (limite alla liquidità).
Tali vincoli sono coerenti con le finalità dichiarate dal legislatore di assicurare che il risparmio dell’investitore si traduca in un investimento stabile a favore delle imprese e non rimanga liquido.
Al riguardo, nelle Linee Guida si precisa che in considerazione della diversa funzione svolta, il limite alla liquidità del 10 per cento va computato sui depositi distintamente dai conti correnti, in quanto, mentre nei conti correnti la giacenza è finalizzata all’effettuazione delle operazioni correnti, nei depositi la giacenza è finalizzata all’ottenimento di un rendimento.
Il predetto limite alla liquidità trova applicazione anche in relazione ai certificati di deposito, tenuto conto che i relativi redditi sono assoggettati al medesimo regime impositivo previsto per i depositi, ai sensi dell’articolo 26, comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Il “limite di concentrazione” del 10 per cento di cui al comma 103, come il “limite di composizione” del patrimonio di cui al comma 102, va rispettato per almeno i due terzi dell’anno.
Infine, in base al comma 105, le somme o i valori destinati nel piano “non possono essere investiti”, in strumenti emessi o stipulati con soggetti residenti in Stati o territori diversi da quelli chi consentano un adeguato scambio di informazioni (cd. divieto di investimento in Paesi non collaborativi).
Al riguardo, si ritiene che i predetti Stati e territori siano quelli individuati nel decreto ministeriale di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c) del decreto legislativo n. 239 del 1996. Attualmente si deve fare riferimento al decreto ministeriale 4 settembre 1996 e successive modificazioni (cd. “white list”).
Il mancato rispetto di tale divieto comporta la decadenza dell’agevolazione con gli effetti illustrati in dettaglio al paragrafo n. 9.
In sintesi, sulla base di quanto appena illustrato, il risparmio destinato ad un piano PIR compliant deve essere investito per almeno i due terzi dell’anno (o frazione):
– per almeno il 49 per cento del valore complessivo conferito nel PIR in strumenti finanziari di imprese residenti in Italia e in Stati membri UE o in Stati SEE, con stabili organizzazioni in Italia, anche se presenti nell’indice FTSE MIB o indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri;
– per almeno il 21 per cento del valore complessivo conferito nel PIR in strumenti finanziari di imprese residenti in Italia e in Stati membri UE o in Stati SEE, con stabili organizzazioni in Italia, non incluse nell’indice FTSE MIB o indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri.
Possono, invece, concorrere a formare un investimento PIR compliant per la restante parte libera del 30 per cento del valore complessivo conferito nel PIR, a titolo esemplificativo, le seguenti attività:
– gli strumenti finanziari che non hanno i requisiti per poter essere considerati “qualificati”, quali, in particolare, degli strumenti emessi o stipulati:
o con imprese non radicate nel territorio dello Stato e, quindi, quelle che sono residenti nell’UE o nello SEE ma non hanno una stabile organizzazione in Italia e quelle residenti in un Paese che consente lo scambio di informazioni;
o con imprese che svolgono un’attività “immobiliare” nel senso prima chiarito (solo con riferimento al 2017);
– gli impieghi in liquidità, quali depositi e conti correnti;
– i titoli di Stato italiani o esteri.
Inoltre, per almeno i due terzi dell’anno (o frazione), detto risparmio non deve essere investito in misura superiore al 10 per cento del valore complessivo conferito nel PIR:
– in strumenti finanziari (inclusi depositi e certificati di deposito) di uno stesso emittente o stipulati con la stessa controparte o altra società appartenente al medesimo gruppo;
– in conti correnti.
Per assicurare il rispetto dei limiti di cui ai commi 102, 103 e 104, nonché del divieto di cui al comma 105, il comma 113 [come modificato dall’articolo 57, comma 2, lettera f) del decreto legge n. 50 del 2017] stabilisce che l’intermediario o l’impresa di assicurazioni presso il quale è costituito il piano di risparmio devono conservare separata evidenza “degli investimenti qualificati effettuati” in anni differenti.
Con riferimento alle caratteristiche proprie degli investimenti inseriti nel piano (quali, ad esempio, la residenza o l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia dell’emittente, l’inclusione nell’indice FTSE MIB o indici equivalenti), si ritiene che la verifica della sussistenza degli stessi vada effettuata dall’intermediario presso cui è costituito il piano al momento di effettuazione dell’investimento in quanto, in linea di principio, non assumono rilevanza le modifiche intervenute, successivamente all’acquisto, in conseguenza di eventi non prevedibili da parte dell’investitore ed indipendenti dalla sua volontà (quali ad esempio operazioni di riorganizzazione societarie, trasferimenti all’estero della residenza o della stabile organizzazione, variazioni nella composizione dell’indice di borsa).
Si veda al riguardo il seguente esempio.
Esempio 1 – Una persona fisica intende investire una somma pari a 150.000 euro beneficiando della disciplina in esame. Nel primo anno, potrà effettuare investimenti nel limite massimo di 30.000 euro, potendo comporre il proprio piano di investimento PIR compliant come segue:
Ipotesi A – Piano investito esclusivamente in imprese NON FTSE MIB
– 30.000 euro investiti esclusivamente in strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia, diverse da quelle comprese nell’indice FTSE MIB [ad esempio partecipazione in piccole e medie imprese (di seguito “PMI”)];
– in relazione a ciascun emittente, la quota complessiva di investimento (azioni, obbligazioni) non deve superare 3.000 euro per i due terzi dell’anno (o frazione), ossia il 10 per cento del valore complessivo investito nel piano.
Ipotesi B – Piano investito rispettando le soglie minime previste
– 6.300 euro (21 per cento di 30.000 euro) investiti in strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia, in Stati membri UE e Stati SEE con stabile organizzazione in Italia diverse da quelle comprese nell’indice FTSE MIB (ad esempio partecipazione in PMI);
– 14.700 euro (49 per cento di 30.000 euro) investiti in strumenti finanziari emessi da società residenti in Italia, in Stati membri UE e Stati SEE con stabile organizzazione in Italia, comprese nell’indice FTSE MIB o in indici esteri equivalente;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000 euro) in conti correnti, bancari e postali;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000 euro) in depositi e certificati di deposito;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000 in euro) in strumenti finanziari emessi da società residenti in Stati, inclusi nella white list, extra UE ed extra SEE (ad esempio, Stati Uniti d’America);
– in relazione a ciascun emittente o controparte l’investimento (azioni, obbligazioni) non deve superare 3.000 euro per i due terzi dell’anno (o frazione), ossia il 10 per cento del valore complessivo investito nel piano.
7.1 Investimenti effettuati tramite OICR
Il comma 104 prevede che sono considerati investimenti qualificati anche le quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri UE o in Stati SEE, che investono per almeno il 70 per cento dell’attivo in strumenti finanziari “qualificati” ai sensi del comma 102 e che rispettino le condizioni poste al comma 103 (cd. “OICR PIR compliant”).
In base a tale disposizione, un OICR PIR compliant si considera “qualificato” allorquando investa il proprio patrimonio come segue:
– almeno il 49 per cento dell’attivo in strumenti finanziari di imprese residenti in Italia e in Stati membri UE o in Stati SEE, con stabili organizzazioni in Italia;
– almeno il 21 per cento dell’attivo in strumenti finanziari di imprese residenti in Italia e in Stati membri UE o in Stati SEE, con stabili organizzazioni in Italia, non incluse nell’indice FTSE MIB o indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri.
Inoltre, affinché si consideri PIR compliant, è necessario che l’OICR, oltre a rispettare i vincoli di composizione appena richiamati, rispetti anche il divieto di investimento in Paesi non collaborativi previsto dal comma 105.
Ai fini della verifica dei citati vincoli e divieti in capo agli OICR PIR compliant facenti parte del PIR o dell’unico OICR che costituisce il PIR, tenuto conto che trattasi di entità soggette alla vigilanza delle competenti autorità di regolamentazione del settore bancario e finanziario, si ritiene che si possa far riferimento alla politica di investimento indicata nel relativo regolamento di gestione dell’OICR italiano ovvero, nel caso di OICR estero, alla documentazione d’offerta.
Tale posizione è in linea con quanto già chiarito dalla circolare 27 aprile 2016, n. 14/E di commento alla agevolazione prevista dall’articolo 1, commi da 91 a 94 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per le forme di previdenza complementare e gli enti di previdenza obbligatoria di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, al fine di valutare la rispondenza ai requisiti previsti dalla norma nell’ipotesi di investimento indiretto effettuato tramite OICR.
In particolare, nel regolamento o nella documentazione di offerta dell’OICR devono essere specificatamente indicati i vincoli di investimento, ivi compreso il divieto di investimento in Paesi non collaborativi, e il rispetto del “limite di concentrazione” previsti dalla normativa fiscale sui piani individuali di risparmio.
In ogni caso, anche gli OICR PIR compliant devono essere conformi, in base alla tipologia di ciascun OICR, alle caratteristiche e ai requisiti previsti dalle disposizioni di vigilanza.
Con riferimento alla verifica del limite alla liquidità di cui al comma 103, le Linee Guida precisano che non si tiene conto della liquidità detenuta per esigenze di tesoreria presso il depositario.
Come anticipato, gli investimenti conferiti nel piano possono essere costituiti anche esclusivamente da quote di un medesimo OICR PIR compliant. In tal caso, i sopraindicati vincoli e divieti, soddisfatti dall’OICR, risultano implicitamente soddisfatti anche in capo al titolare del piano.
Qualora, invece, il piano sia costituito da quote o azioni di un OICR PIR compliant in misura inferiore al 70 per cento, tale soglia minima dovrà essere raggiunta investendo la restante quota del patrimonio in altri investimenti qualificati almeno fino al raggiungimento delle quote di investimenti qualificati previste dal regime PIR.
Tale differenza andrà, inoltre, investita in strumenti utili ai fini della verifica della quota minima di investimenti in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle incluse nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri. Al fine di stabilire la quota necessaria di tali investimenti, si assume l’investimento in OICR PIR compliant come “investimento qualificato”.
In altri termini, nel caso di investimenti qualificati – diversi da OICR PIR compliant – i suddetti vincoli devono essere rispettati, come chiarito in precedenza, in capo al titolare del piano.
Ad esempio, qualora l’investimento in un OICR PIR compliant sia pari al 50 per cento del patrimonio complessivo investito nel PIR, almeno il 20 per cento del valore complessivo dovrà essere impiegato in altri investimenti qualificati (ad esempio, azioni di emittenti italiani).
Inoltre, nell’ambito di tali investimenti, almeno il 6 per cento (30 per cento di 20), dovrà essere rappresentato da azioni di imprese diverse da quelle incluse nel indice FTSE MIB o indici equivalenti.
Rimangono comunque esclusi dall’investimento PIR conforme, le quote o le azioni degli OICR i cui proventi concorrono a formare il reddito complessivo dell’investitore persona fisica quali ad esempio le quote di OICR esteri istituiti in Stati UE o Stati SEE, non armonizzati e i cui gestori non sono vigilati (cfr. articolo 10-ter, comma 6, della legge 23 marzo 1983, n. 77).
Come indicato dalle Linee Guida, nel caso di investimenti in quote di un OICR “che non è un investimento qualificato a sensi del comma 104 e garantisce un rendimento minimo – stante l’assenza di rischio in capo all’investitore – non si applica il limite della concentrazione del 10 per cento previsto dal comma 103”.
Si veda al riguardo il seguente esempio.
Esempio 2 – Una persona fisica intende investire una somma pari a 150.000 euro beneficiando della disciplina in esame. Nel primo anno, potrà effettuare investimenti nel limite massimo di 30.000 euro, potendo comporre il proprio piano di investimento PIR compliant come segue:
– 14.700 euro (49 per cento di 30.000) investiti in quote o azioni di OICR PIR compliant residente in Italia;
– 6.300 euro (21 per cento di 30.000) investiti in altri investimenti qualificati, tra cui 4.410 euro (pari al 70 per cento di 6.300) in strumenti emessi da società residenti in Italia comprese nell’indice FTSE MIB e
1.890 euro (pari al 30 per cento di 6.300) in partecipazioni in PMI residenti;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000) in conti correnti, bancari e postali;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000) in depositi e certificati di deposito;
– 3.000 euro (10 per cento di 30.000) in strumenti finanziari emessi da società residenti in Stati, inclusi nella white list, extra UE ed extra SEE (ad esempio, Stati Uniti d’America);
– in relazione a ciascun emittente, escluse le quote di OICR PIR compliant, la quota complessiva di investimento (azioni, obbligazioni, etc. ), non deve superare 3.000 euro, per i due terzi dell’anno (o frazione) ovvero il 10 per cento del valore complessivo investito nel piano.
Inoltre, analogamente a quanto chiarito nella sopra citata circolare 14/E del 2016, si ritiene che possano rientrare tra gli investimenti qualificati anche le quote o azioni di OICR che investano negli strumenti finanziari rilevanti ai fini della normativa in commento per il tramite di altri organismi di investimento (cosiddetti “fondi di fondi”).
In tal caso, qualora i vincoli di “composizione”, nonché i limiti alla “concentrazione” e alla “liquidità” siano rispettati, sia dall’organismo di investimento in cui la persona fisica investe “direttamente” sia dagli OICR “sottostanti” all’organismo di investimento medesimo, l’investimento può essere considerato “qualificato” senza necessità di considerare le singole attività in cui hanno investito l’OICR oggetto di investimento diretto da parte della persona fisica e gli OICR in cui questo, a sua volta, investe.
Diversamente, nel caso in cui l’OICR investa in OICR NON PIR compliant al fine di stabilire se l’investimento nel primo OICR possa essere considerato PIR compliant potranno rilevare le singole attività in cui è investito il patrimonio dell’OICR sottostante, secondo le indicazioni fornite nel paragrafo seguente.
Resta ferma, in ogni caso, l’applicazione in capo a ciascun OICR del divieto, previsto dal comma 105, di investire in strumenti finanziari emessi da soggetti residenti in Stati o territori che non consentono un adeguato scambio di informazioni.
7.1.1 Rispetto dei vincoli di composizione e investimenti tramite OICR (Casi particolari)
Come illustrato nel paragrafo precedente, per effetto del comma 104, gli OICR PIR compliant si considerano di per sé investimenti qualificati utili ai fini del rispetto delle soglie minime prevista dal comma 102 per l’applicazione del regime PIR, nonché dei limiti alla “concentrazione” e “liquidità” di cui al comma 103.
In pratica, le quote di OICR PIR compliant, costituendo essi stessi investimenti qualificati, rilevano “direttamente”, in proporzione alla percentuale investita nell’OICR medesimo, ai fini della verifica del rispetto dei vincoli di investimento previsti dalla normativa.
Inoltre, un OICR è considerato sicuramente PIR compliant qualora investa, in altri OICR (“fondi di fondi”) che siano, a loro volta, PIR compliant, vale a dire che rispettino le previsioni di cui ai commi 102 e 103.
Diversamente, nel caso in cui un OICR investa in OICR NON PIR compliant, come sopra accennato, ai fini della verifica del rispetto dei “vincoli di composizione” di cui al comma 102, rilevano le specifiche attività in cui l’attivo di questi ultimi è investito (cd. look through).
L’utilizzo di tale metodo consente di “isolare” gli investimenti utili al raggiungimento delle soglie minime di investimenti qualificati previste dal comma 102 (vale a dire il 70 per cento in strumenti di imprese italiane e talune imprese estere e il 21 per cento in strumenti di imprese NON FTSE MIB o indici equivalenti).
In tale ipotesi, dunque, ai fini della verifica dei vincoli di composizione del PIR, possono essere considerati anche gli investimenti effettuati tramite l’OICR NON PIR compliant sia per quanto riguarda il limite del 70 per cento, sia con riferimento alla soglia minima del 21 per cento in imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB o indici esteri equivalenti.
Si veda al riguardo il seguente esempio.
Esempio 3 – Si supponga che una persona fisica intenda investire una somma pari a 30.000 euro beneficiando della disciplina in esame investendo in quote di un unico OICR A, avente un patrimonio pari a 100.000 euro cosi suddiviso:
– 49.000 euro (49 per cento di 100.000) in imprese inserite nell’indice FTSE MIB;
– 21.000 euro (21 per cento di 100.000) nell’OICR B (il cui attivo, pari a 100.000 euro, è investito integralmente in strumenti finanziari emessi da 5 società residenti qualificabili come piccole e medie imprese, per il 20 per cento ciascuna);
– 30.000 euro (30 per cento di 100.000) in conti correnti, bancari e postali, certificati di deposito e strumenti finanziari emessi da società residenti in Stati, inclusi nella white list, extra UE ed extra SEE (ad esempio, Stati Uniti d’America).
In particolare, nel caso dell’investimento effettuato nell’OICR B, ancorché lo stesso non si possa considerare “pienamente” PIR conforme, perché non rispetta il “limite di concentrazione” del 10 per cento previsto dal comma 103, le relative quote, investite esclusivamente in imprese qualificabili come imprese non inserite nell’indice FTSE MIB, possono essere computate sia ai fini del vincolo di composizione del limite del 70 per cento di cui al comma 102 sia nel vincolo del 30 per cento del limite del 70 (ovvero il 21 per cento del valore complessivo) in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri.
L’approccio (look through) consente, quindi, all’OICR A di rispettare i requisiti di composizione richiesti dalla norma per essere PIR compliant, in quanto sommando le percentuali precedentemente individuate, si raggiungono le seguenti soglie di investimento:
– 70 per cento (49 + 21) con riferimento alla soglia minima del 70 per cento da investire in strumenti di imprese, anche inserite nell’indice FTSE MIB;
– 21 per cento con riferimento alla soglia del 21 cento da investire in strumenti di imprese NON FTSE MIB.
Per le ragioni appena esposte, si ritiene che, in generale, l’approccio look through possa essere utilizzato per valorizzare gli investimenti effettivamente operati nell’ambito del PIR.
Anche in tale ipotesi, deve essere verificata la rispondenza degli investimenti detenuti da tali organismi ai requisiti richiesti per gli investimenti qualificati ai sensi del comma 102.
In particolare, a tal fine occorre una verifica puntuale degli effettivi investimenti detenuti dall’OICR, al fine di stabilire se tali impieghi possano essere utilizzati per il raggiungimento delle soglie minime in capo al titolare del PIR per almeno i due terzi dell’anno di riferimento. Al riguardo, si precisa che i dati necessari per la predetta verifica dovranno essere forniti dal gestore dell’OICR NON PIR compliant oggetto di investimento.
Per quanto concerne, invece, i requisiti di concentrazione di cui al comma 103 (in base ai quali non più del 10 per cento del PIR può essere investito in strumenti di un solo emittente), si rileva che nel caso di investimenti in un OICR PIR compliant anche il vincolo di concentrazione deve ritenersi soddisfatto.
Rimane, comunque, fermo che il limite alla concentrazione deve ritenersi pienamente operante secondo la lettera della norma, nel caso di investimenti qualificati in strumenti finanziari (partecipazioni, obbligazioni, etc.) o in OICR NON PIR compliant effettuati direttamente da persone fisiche.
Appare, peraltro, coerente con l’impostazione sopra illustrata che la valorizzazione, attraverso il look through, delle attività detenute da un OICR possa trovare applicazione facoltativamente, in alcuni particolari casi, anche per le attività detenute da OICR PIR compliant.
Si veda al riguardo il seguente esempio
Esempio 4 – Si supponga che una persona fisica intenda investire una somma pari a 10.000 euro beneficiando della disciplina in esame in quote di un unico OICR A, avente un patrimonio pari a 100.000 euro così suddiviso:
– 49.000 euro (49 per cento di 100.000) in imprese inserite nell’indice FTSE MIB;
– 21.000 euro (21 per cento di 100.000) nell’OICR B (il cui attivo, pari a 100.000 euro, è investito integralmente in strumenti finanziari emessi da 10 società residenti qualificabili come piccole e medie imprese, per il 10 per cento ciascuna);
– 30.000 euro (30 per cento di 100.000) in conti correnti, bancari e postali, certificati di deposito e strumenti finanziari emessi da società residenti in Stati, inclusi nella white list, extra UE ed extra SEE (ad esempio, Stati Uniti d’America).
In particolare, nel caso dell’investimento effettuato nell’OICR B, ancorché lo stesso si possa considerare “pienamente” PIR compliant, se non si facesse look through dei singoli investimenti, l’intero investimento nell’OICR A non sarebbe PIR compliant. Al contrario considerando i singoli investimenti dell’OICR B, questi andranno considerati tutti nella quota del 21 per cento rendendo l’investimento dell’OICR A come PIR compliant.
Alla luce di quanto appena illustrato si ritiene che, nel caso di investimento in OICR PIR compliant, l’approccio da utilizzare anche per ragioni di semplificazione, sia generalmente quello “opaco”.
Tuttavia, al fine di valorizzare pienamente gli investimenti effettivamente compiuti dall’OICR in attività che possono concorrere al raggiungimento dei requisiti di composizione del patrimonio richiesti dalla misura in esame, si ritiene che si possa ricorrere, anche per gli OICR PIR compliant all’approccio look through.
7.2 Investimenti tramite contratti assicurativi
Come anticipato, è possibile costituire un PIR anche attraverso la stipula di contratti assicurativi sulla vita o di capitalizzazione (cd. “PIR assicurativo”).
In tali ipotesi, le percentuali minime degli investimenti qualificati indicati ai commi 102 e 103 devono essere verificate con riferimento al contratto assicurativo che, ai fini della qualificazione come PIR compliant, dovrà prevedere contrattualmente scelte di investimento in linea con la normativa in esame.
Con riferimento ai PIR assicurativi, si precisa che i vincoli all’investimento indicati ai commi 102 e 103 sopra citati devono essere verificati in relazione agli investimenti sottostanti il contratto assicurativo.
In altri termini, un prodotto assicurativo si considera PIR compliant qualora ad esso siano riferibili investimenti negli strumenti finanziari che rispondano ai requisiti e alle percentuali indicati dai predetti commi 102 e 103.
Nel PIR assicurativo, come nel caso di PIR costituito da fondi di fondi, i “vincoli di composizione” e i “limiti alla concentrazione” devono essere rispettati avendo riguardo agli attivi. In altri termini, quando i fondi interni e/o gli OICR e/o le gestioni separate sottostanti al contratto non sono, di per se stesse, PIR compliant ai sensi del comma 104, assumono rilevanza i singoli investimenti qualificati al loro interno, nella misura risultante dalla demoltiplicazione delle partecipazioni. Pertanto, anche nel caso del PIR assicurativi, si applicano le considerazioni svolte con riferimento agli OICR nei paragrafi 7.1 e 7.1.1.
Resta fermo che il divieto di investimento in soggetti residenti in Paesi non collaborativi va verificato avendo riguardo agli attivi dell’impresa di assicurazione.
Nel caso particolare di un contratto unit-linked collegato al valore delle quote di uno o più OICR PIR compliant, i predetti vincoli devono essere verificati con riferimento alla polizza utilizzando, se necessario ai fini del raggiungimento delle quote di investimenti qualificati, il metodo di look through sopra illustrato in relazione agli investimenti effettuati dagli OICR.
Inoltre, nel caso di polizza unit-linked collegata direttamente a quote di OICR, il vincolo è rispettato se la polizza investe nel rispetto dei vincoli previsti dal comma 102. Il rispetto di tali requisiti dovrà essere verificato utilizzando, anche in questo caso, i criteri illustrati nel caso di investimenti tramite OICR.
Analogamente, qualora la polizza unit-linked sia collegata ad uno o più fondi interni dell’impresa di assicurazione, che presentino finalità, modalità e i vincoli di gestione analoghi agli OICR nonché regolamenti in linea con le previsioni di cui al comma 104, la polizza è considerata PIR compliant.
Inoltre, i suddetti fondi interni qualora rispettino i vincoli di “composizione” e di “concentrazione” previsti dal comma 104 possono essere considerati come investimenti qualificati.
Resta fermo che anche il fondo interno PIR compliant dovrà rispettare sia i vincoli stabiliti dalle disposizioni in materia di assicurazione che quelli previsti dalla normativa in esame.
Tali precisazioni si applicano anche alle “gestioni separate” di polizze di ramo I o multiramo che, ai fini della qualificazione PIR, devono rispettare complessivamente le regole di composizione del patrimonio del PIR.
Come precisato nelle Linee Guida, le “gestioni separate” delle polizze del ramo I, anche se presenti nelle polizze multiramo, sono, nella sostanza, “portafogli di titoli” gestiti dall’impresa di assicurazione al fine di garantire le prestazioni predeterminate e rivalutabili derivanti dalla polizze stesse.
Stante l’assenza di rischio in capo all’investitore, tali gestioni non sono soggette al “limite di concentrazione” del 10 per cento previsto dal comma 103, quando non sono investimenti qualificati (e, quindi, fino a concorrenza del 30 per cento dell’investimento totale).
Si ricorda che le imprese assicurative sono soggette all’imposta sulle riserve matematiche prevista dell’articolo 1 del decreto legge 24 settembre 2002 n. 209 relative ai contratti assicurativi i cui rendimenti sono potenzialmente assoggettabili alla ritenuta prevista dall’articolo 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482 o all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 26-ter del d.P.R. n. 600 del 1973.
Trattasi, in particolare, delle ritenute applicabili sui capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione e dell’imposta sostitutiva da applicare sui redditi di cui all’articolo 44, comma 1, lettere g-quater) e g-quinquies) del TUIR.
Il versamento dell’imposta sulle riserve matematiche costituisce, come illustrato nella circolare 3 maggio 2013, n.12/E, un credito di imposta per l’impresa di assicurazione da utilizzare per il versamento delle ritenute e imposte sostitutive applicate in sede di erogazione di prestazioni agli assicurati.
In assenza di una espressa norma di esclusione, l’imposta sulle riserve matematiche si applica anche per la parte di questa riferibile ai contratti assicurativi PIR compliant..
8. Vincolo di detenzione dell’investimento disinvestimento e rimborso
Il comma 106 dispone che gli “strumenti finanziari in cui è investito il piano devono essere detenuti per almeno cinque anni” (cd. requisito temporale).
In merito alle modalità di computo di detto periodo minimo di detenzione, si ritiene che debba farsi riferimento alla data puntuale di acquisto (o sottoscrizione) dello strumento finanziario oggetto di investimento e quella di cessione o rimborso.
In particolare, l’acquisto degli strumenti si considera effettuato al momento in cui le relative somme sono effettivamente versate.
Diversamente, se si prendesse in considerazione la data in cui viene sottoscritto “l’impegno” all’investimento si avrebbe una indebita riduzione del quinquennio di detenzione richiesto che risulterebbe contraria alle finalità della misura agevolativa in esame che è destinata a favorire gli effettivi apporti di risorse finanziarie, con particolare riguardo a taluni soggetti.
Il predetto vincolo di detenzione, stante la genericità della norma, sembra riguardare tutti gli strumenti finanziari detenuti nel PIR e, dunque, sia gli investimenti in strumenti finanziari che rispettano le caratteristiche indicate dal comma 102 sia gli investimenti “non qualificati” inclusi nella quota libera che, secondo quanto sopra illustrato, possono essere effettuati nei limiti del 30 per cento del valore complessivo del piano stesso.
Tale vincolo temporale non rileva, invece, per la liquidità detenuta in conti correnti che, in ogni caso, come in precedenza illustrato, non può eccedere il 10 per cento del valore complessivo del piano.
Detto requisito deve essere mantenuto esclusivamente in capo al titolare del PIR che deve tenere gli investimenti per almeno cinque anni.
In caso di investimenti indiretti effettuati tramite la sottoscrizione di OICR o la stipula di polizze assicurative, come illustrato successivamente ai paragrafi 8.2 e 8.3, il vincolo di detenzione è riferito esclusivamente all’investitore che deve mantenere la quota dell’OICR o la polizza, PIR compliant, per il periodo minimo previsto.
Il mancato rispetto del vincolo di detenzione comporta la perdita del beneficio fiscale con la ripresa a tassazione (recapture) dei redditi realizzati nel periodo di investimento e non assoggettati ad imposizione.
In particolare, il comma 106 prevede che in caso di “cessione degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima dei cinque anni, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento del piano sono soggetti a imposizione secondo le regole ordinarie”.
Ai fini della verifica del periodo minimo di detenzione, il comma 110 stabilisce che “in caso di strumenti finanziari appartenenti alla medesima categoria omogenea, si considerano ceduti per primi i titoli acquistati per primi” (cd. metodo FIFO) e “si considera come costo quello medio ponderato dell’anno”.
In alternativa a tali criteri, stante il rinvio contenuto dal comma 106 alle regole ordinarie previste nell’ambito del regime del risparmio amministrato, nel caso di pluralità di titoli, quote, certificati o rapporti appartenenti a categorie omogenee, ai fini della determinazione del reddito derivante dalla cessione, è possibile considerare come costo o valore di acquisto, il costo o valore medio ponderato relativo a ciascuna categoria dei predetti titoli, quote, certificati o rapporti, ai sensi del comma 4 dell’articolo 6 del d.lgs. n. 461 del 1997.
8.1 Vincolo di detenzione e OICR
Secondo quanto sopra illustrato, ai sensi del comma 104, si considerano investimenti qualificati anche le quote o azioni di OICR, residenti nel territorio dello Stato e in Stati membri UE o aderenti SEE, a condizione che gli investimenti rispettino le previsioni di cui ai commi 102 e 103.
Con riferimento alla condizione di detenzione quinquennale degli “strumenti finanziari” in cui è investito il piano prevista dal comma 106, si fa presente che, nel caso di investimento indiretto effettuato tramite OICR PIR compliant, le partecipazioni in tali organismi sono di per sé “strumenti finanziari” ai sensi del TUF.
Pertanto, come riportato anche nelle Linee Guida, la predetta condizione sarà soddisfatta in capo al titolare del PIR mantenendo per almeno cinque anni le quote o azioni degli OICR, a prescindere dalla durata della detenzione delle singole attività da parte degli organismi di investimento.
8.2 Vincolo di detenzione e prodotti assicurativi PIR compliant
Nel caso di costituzione di PIR attraverso la stipula di contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, la condizione di detenzione quinquennale (requisito temporale) prevista per gli “strumenti finanziari” in cui è investito il piano, in analogia a quanto stabilito per gli investimenti effettuati tramite OICR, deve essere soddisfatta in capo al titolare (contraente), a prescindere dalla durata della detenzione dei singoli investimenti da parte dell’impresa di assicurazione che investe i premi.
Con riferimento all’individuazione della data a partire dalla quale si determina il periodo minimo quinquennale previsto dal comma 106, si ritiene che questa decorra dalla data di versamento di ciascun premio in base al contratto sottoscritto dall’assicurato.
In particolare, in caso di pagamento di più premi, la durata del contratto deve essere tale da consentire la maturazione dell’holding period anche relativamente all’ultimo versamento.
Più precisamente, tenuto conto che la polizza è alimentata da premi che possono essere versati ogni anno, nei limiti del plafond, il rispetto del quinquennio va, dunque, verificato con riguardo a ciascun premio versato.
Ad esempio, nell’ipotesi di un contratto che preveda il versamento dell’ultimo premio al quinto anno, il rispetto del requisito temporale richiederà che la durata minima del contratto sia di dieci anni.
In caso di riscatto (parziale o totale) della polizza, nelle Linee Guida si precisa che “si considerano riscattati per primi i premi versati per primi; quindi, al momento del riscatto, le somme riferibili a premi versati da meno di 5 anni sono soggette a tassazione secondo le regole ordinarie, mentre saranno percepiti in regime di esenzione solo i rendimenti riferibili ai premi versati da almeno 5 anni”.
Pertanto, il riscatto totale della polizza comporta l’assoggettamento ad imposizione dei redditi conseguiti e riferibili ai premi per i quali non risulta maturato l’holding period, con l’applicazione dell’imposta secondo le regole ordinarie, ai sensi del comma 106.
Al riguardo, si precisa che qualora l’impresa di assicurazione non sia in grado di determinare il rendimento riferibile a ciascuno dei premi versati, la stessa potrà adottare un criterio forfettario, assumendo che la percentuale di rendimento di ogni premio corrisponda alla percentuale di rendimento dell’intera polizza, indipendentemente dall’anno in cui ciascun premio è versato.
Si vedano al riguardo i seguenti esempi
Esempio 5 – Si supponga quanto segue:
1° Premio versato il 1°gennaio del primo anno = 2000
2° Premio versato il 1° gennaio del terzo anno = 1000
Totale premi versati = 3000
Riscatto totale il 30 giugno del 6° anno = 4000
La polizza ha un rendimento pari a 1000.
I 2/3 di tale rendimento (vale a dire 666,6) sono riferibili al premio iniziale di 2.000 che, avendo assolto il vincolo quinquennale, non comporta per l’assicurato la ripresa a tassazione.
Il rendimento di 333,3, riferibile al 2° premio versato il 1° gennaio del terzo anno pari 1000 euro (per il quale all’atto del riscatto non si è ancora compiuto il minimum holding period), invece, sarà soggetto a tassazione secondo le regole ordinarie.
Qualora venga effettuato un riscatto parziale, il riscatto si imputa, secondo quanto sopra precisato, ai premi versati in data meno recente, in conformità a quanto previsto dal comma 110, applicando il criterio FIFO.
Conseguentemente, i relativi rendimenti sono esclusi da tassazione qualora i premi cui afferiscono abbiano assolto il vincolo quinquennale di detenzione.
Anche in tal caso, ogniqualvolta l’impresa di assicurazione non sia in grado di determinare il rendimento riferibile a ciascuno dei premi versati, la stessa può adottare un criterio forfettario, assumendo la percentuale di rendimento di ogni premio corrispondente a quella di rendimento dell’intera polizza, indipendentemente dall’anno in cui ciascun premio è stato versato.
Esempio 6 – Si supponga quanto segue:
1° Premio versato il 1° gennaio del primo anno = 2000
2° Premio versato il 1° gennaio del terzo anno = 1000
Totale premi versati = 3000
Riscatto parziale il sesto anno = 2000
Valore economico della polizza alla data del riscatto parziale = 4.000
Complessivamente alla data del riscatto parziale, il rendimento della polizza è pari al 33 per cento di 1000 (4000-3000).
Il riscatto parziale, pari a 2000, corrisponde al 50 per cento del valore economico della polizza pari a 4000
L’importo dei premi riferibili al riscatto parziale è 1500, pari al 50 per cento dell’importo complessivo dei premi (3000) cui corrisponde un rendimento di 500, pari al 50 per cento di 1000 (rendimento totale della polizza).
Poiché, come detto, il riscatto si imputa ai primi premi versati, i relativi rendimenti sono esclusi da tassazione in quanto i premi, essendo stati versati il primo anno, hanno assolto il vincolo quinquennale.
8.3 Reinvestimento in caso di rimborso
Ai sensi dell’ultimo periodo del comma 106 [come modificato dall’articolo 57, comma 1, lettera e) del decreto legge n. 50 del 2017], “in caso di rimborso degli strumenti finanziari oggetto di investimento prima del quinquennio, il controvalore conseguito deve essere reinvestito in strumenti finanziari”.
La predetta disposizione prevede, inoltre, che il suddetto reinvestimento deve essere operato in “strumenti finanziari indicati ai commi 102 e 104 entro novanta giorni dal rimborso”.
L’ipotesi presa in considerazione dalla norma in esame è quella degli strumenti finanziari, inseriti nel piano, per i quali è previsto il rimborso e quest’ultimo si verifica prima del compimento del periodo minimo di detenzione richiesto dalla legge per fruire compiutamente del regime di agevolazione fiscale dalla stessa previsto.
In tal caso, il mancato rispetto dell’holding period dipende dalla durata (anche residua) dello strumento. In considerazione di ciò, il legislatore ha derogato al principio secondo cui, per fruire dei benefici fiscali in esame, è necessario che lo strumento finanziario sia detenuto per un periodo minimo ma, al contempo, ha imposto un obbligo di “reinvestimento” del controvalore conseguito con il rimborso entro 90 giorni dalla data del rimborso stesso al fine di mantenere il beneficio fiscale solo se l’investimento in strumenti di durata inferiore ai cinque anni viene, in sostanza, “continuato” attraverso l’acquisizione di un altro strumento, per il periodo di tempo minimo ordinariamente richiesto.
Conseguentemente, come precisato nelle Linee Guida, in caso di rimborso degli strumenti finanziari prima del decorso dell’holding period, il periodo di possesso dello strumento rimborsato si somma a quello dello strumento acquistato.
La “sostituzione” del primo strumento con il secondo, finalizzata ad assicurare il rispetto del vincolo di detenzione (anche quando il primo ha una durata inferiore a quella necessaria per detenere nei termini di legge), non deve far venir meno il rispetto dei vincoli di “composizione” dell’investimento e di “concentrazione”.
Va, inoltre, chiarito che l’esigenza di garantire un periodo di investimento minimo – in presenza di strumenti che non consentono ciò – si manifesta anche nel caso di rimborso di uno strumento finanziario “non qualificato” (compreso nella quota “libera”).
Per quanto riguarda, invece, il concetto – desumibile dall’ultimo periodo del comma 106 – di reinvestimento del “controvalore conseguito” va precisato che quest’ultimo è l’ammontare ricevuto in occasione del rimborso (comprensivo di eventuale plusvalenza e minusvalenza).
Si veda al riguardo il seguente esempio
Esempio 7 – Si supponga quanto segue:
– nell’anno 1 è stata investita una somma pari a 100 nel titolo X e nell’anno 3 viene rimborsata una somma pari a 120, il controvalore che deve essere reinvestito è 120;
– nell’anno 1 è stata investita una somma pari a 100 nel titolo X e nell’anno 3 viene rimborsata una somma pari a 80, il controvalore che deve essere reinvestito è 80.
Il reinvestimento effettuato ai sensi del predetto comma 106 non rileva ai fini della verifica del rispetto del limite annuale di 30.000 euro e di quello complessivo di 150.000 euro. In altri termini, il reinvestimento non incide sulla verifica del rispetto del plafond in quanto effettuato per obbligo di legge ai fini del mantenimento del vincolo di detenzione minima e, pertanto, il “nuovo” investimento eredita l’anzianità dello strumento rimborsato.
In linea con tale impostazione, si ritiene che, qualora al momento del rimborso, sia già stato raggiunto il plafond complessivo di 150.000 euro, debba in ogni caso essere reinvestito il controvalore rimborsato.
Ad esempio, se nell’anno X il valore complessivo del piano è pari a 150.000 euro e, nello stesso anno, è rimborsato per un controvalore di 15.000 euro un titolo acquistato tre anni prima al costo di 10.000 euro, dovrà essere reinvestita la somma di 15.000 euro, con la conseguenza che il valore complessivo del piano sarà pari a 155.000 euro (mentre il plafond rimarrà pari a 150.000).
Al riguardo, si precisa che, secondo quanto precisato nelle Linee Guida, “se lo strumento finanziario rimborsato:
– è qualificato, si deve reinvestire in uno strumento qualificato (che eredita l’anzianità di quello rimborsato); il reinvestimento in uno strumento non qualificato comporta l’attivazione del meccanismo di recupero a tassazione;
– non è qualificato, si può reinvestire sia in uno strumento non qualificato che qualificato (che eredita l’anzianità di quello rimborsato)”.
Ai fini della determinazione del reddito derivante dalla eventuale cessione del “nuovo” strumento finanziario, infine, deve essere considerato il costo di acquisto dello stesso ovvero il costo medio ponderato complessivo nel caso di più acquisti del medesimo strumento finanziario, secondo quanto meglio precisato al paragrafo successivo.
In sintesi, il rispetto dell’obbligo di reinvestimento comporta che:
– i redditi derivanti dallo strumento finanziario rimborsato percepiti medio tempore non sono soggetti al meccanismo di recupero a tassazione di cui al citato comma 106;
– i redditi percepiti al momento del rimborso non sono soggetti ad imposizione.
Come chiarito dalle Linee Guida, qualora il rimborso comporti il venir meno del rispetto dei vincoli di cui ai commi 102 e 103, il suddetto periodo di 90 giorni entro cui effettuare il reinvestimento, non si somma al periodo durante il quale è tollerato il mancato rispetto degli stessi vincoli (un terzo dell’anno).
Resta fermo che nel caso in cui gli strumenti finanziari acquistati successivamente ad un rimborso compresi nel PIR siano ceduti prima che sia trascorso il periodo di tempo minimo necessario a maturare l’holding period, le conseguenze derivanti dalla cessione degli stessi prima del quinquennio si applicano non solo ai redditi derivanti da questi ultimi strumenti finanziari, ma anche a quelli derivanti dagli strumenti finanziari precedentemente detenuti e che sono stati oggetto di rimborso.
8.4 Disinvestimento tramite cessione
Alla luce della disposizione appena citata appare chiaro che è ammessa la possibilità di “disinvestimento” del piano attraverso la cessione degli strumenti finanziari in esso contenuti.
In tal caso, le conseguenze della dismissione attraverso la cessione dipendono dal rispetto o meno dell’holding period. In particolare:
1. nel caso di maturazione dell’holding period, la cessione non comporta conseguenze fiscali, in quanto il regime di non imponibilità di cui hanno fruito i redditi medio tempore percepiti, riferibili allo strumento finanziario ceduto, si consolida anche relativamente al reddito derivante dalla cessione;
2. nel caso di mancato rispetto dell’holding period, la cessione comporta, in linea di principio, che i redditi percepiti medio tempore e quelli realizzati a seguito della cessione sono soggetti a recapture secondo le regole ordinarie ossia quelle proprie del regime del risparmio amministrato.
Tuttavia, come chiarito dalle Linee Guida, in caso di cessione degli strumenti finanziari oggetto di investimento nel PIR, prima dei cinque anni, se il corrispettivo di cessione viene reinvestito entro 90 giorni dalla cessione stessa, il periodo di possesso dello strumento ceduto si somma a quello dello strumento acquistato. In tal caso:
– i redditi derivanti dallo strumento finanziario ceduto, percepiti medio tempore, non sono soggetti al meccanismo del recupero a tassazione di cui al comma 106;
– i redditi percepiti al momento della cessione non sono soggetti ad imposizione.
Ai fini della verifica del rispetto del limite annuale di 30.000 euro e di quello complessivo di 150.000 euro, il reinvestimento del corrispettivo conseguito con la cessione non va considerato come un “nuovo” investimento.
Nel caso in cui gli strumenti finanziari oggetto di reinvestimento siano ceduti prima che sia trascorso il periodo di tempo minimo necessario a maturare l’holding period, le conseguenze derivanti dalla cessione degli strumenti finanziari si verificano non solo per i redditi derivanti da questi ultimi strumenti finanziari ma anche per quelli derivanti dagli strumenti finanziari che sono stati oggetto di cessione.
8.5 Versamenti di imposte in caso di recapture
Le imposte che devono essere corrisposte ai sensi del comma 106 sopra citato, unitamente agli interessi (ma senza applicazione di sanzioni), sono versate dall’intermediario presso il quale il piano è stato aperto entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessione con apposito codice tributo che verrà istituito dalla Agenzia delle Entrate.
Il versamento è effettuato tramite il modello di pagamento F24, di cui all’ articolo 17 e seguenti del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 con l’apposito codice tributo.
Al riguardo, si precisa che nel caso di cessione o rimborso prima dei cinque anni, tenuto conto del termine di 90 giorni entro cui adempiere all’obbligo di reinvestimento, il versamento deve avvenire entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui cade il termine ultimo di reinvestimento.
Inoltre, si deve rilevare che, se lo strumento finanziario inserito nel piano è ceduto prima del compimento del quinquennio di possesso, il regime di esenzione viene meno ora per allora e l’aliquota di imposta applicabile è, quindi, quella vigente al momento della percezione del reddito poiché questo è il momento rilevante ai fini dell’imposizione. L’imposta viene, infatti, versata unitamente agli interessi dovuti per il ritardato pagamento (rilevando, ai fini del computo degli interessi, il termine ordinario in cui le imposte si sarebbero dovute versare).
I redditi in questione, secondo quanto stabilito dal comma 106, sono soggetti ad imposizione “secondo le regole ordinarie”, tale espressione non implica tuttavia che debbano essere in tutto osservate le procedure ordinarie. Peraltro, ciò sarebbe reso impossibile dalla circostanza che l’imposizione avverrebbe in tempi diversi da quelli previsti ordinariamente.
Date le problematiche applicative che tale circostanza comporta, si ritiene che le imposte debbano essere determinate secondo la misura prevista, con riferimento al momento in cui erano dovute secondo un regime ordinario, ma utilizzando l’apposito codice tributo di cui sopra in un versamento unico.
In particolare, nel caso di titoli detenuti nell’ambito del regime previsto dal decreto legislativo n. 239 del 1996, gli interessi maturati nell’ambito del PIR e prima della recapture saranno assoggettati a tassazione utilizzando l’apposito codice tributo previsto per la recapture.
Ai fini del versamento dovuto in caso di recapture, la norma precisa che gli intermediari possono effettuare “adeguati disinvestimenti o chiedere la provvista al titolare” del PIR.
Al riguardo, si precisa che l’intermediario può effettuare i predetti disinvestimenti solo in caso di mancata provvista da parte dell’investitore. La mancata provvista da parte del titolare non consente, però, di effettuare successivi investimenti per importi corrispondenti nel medesimo anno dei disinvestimenti.
Come indicato anche dalle Linee Guida, in caso di mancata provvista da parte dell’investitore, il disinvestimento, al fine di corrispondere all’erario le imposte, non comporta il recupero a tassazione dei redditi derivanti dai predetti strumenti, anche se per gli strumenti stessi non è ancora maturato l’holding period.
Analogo trattamento si applica anche nel caso di disinvestimento effettuato per il pagamento dell’imposta di bollo di cui l’articolo 13, della Tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, sugli estratti conto e sulle comunicazioni relative a prodotti finanziari contenuti nel PIR.
9. Decadenza dal regime
Come già anticipato, il comma 107 prevede che, nel caso in cui le condizioni previste ai commi 102, 103 e 104 non risultino rispettate, il titolare del piano decade dal beneficio fiscale.
Sebbene il comma 105 non sia espressamente richiamato dal predetto comma 107, si ritiene che anche il mancato rispetto del divieto di investimento in soggetti di Stati non inclusi nella white list rientri fra le fattispecie sanzionabili come previsto dal predetto comma 107.
Si ricorda che le condizioni di cui ai predetti commi sono:
a) il rispetto del “vincolo di composizione”, sia in termini quantitativi (70 per cento e relativo 30 per cento) che temporali (per i due terzi dell’anno), del patrimonio conferito nel piano (comma 102);
b) il rispetto della quota del 10 per cento di “concentrazione” negli investimenti qualificati, in depositi e liquidità (per i due terzi dell’anno) (comma 103);
c) il rispetto delle condizioni di cui al comma 104 nel caso di OICR PIR compliant (per i due terzi dell’anno);
d) l’assenza di investimenti in strumenti emessi o stipulati con soggetti residenti in Stati o territori diversi da quelli inclusi nella predetta nella white list (comma 105).
Sebbene i commi 103 e 104 non stabiliscano espressamente che i criteri negli stessi indicati debbano essere rispettati per due terzi dell’anno, come avviene nel comma 102, si ritiene che al fine di coordinare l’insieme della normativa in esame, tale previsione sia applicabile anche nell’ambito dei predetti commi 103 e 104. Più in dettaglio, il comma 107 stabilisce che il venir meno delle condizioni previste per l’agevolazione comporta:
– la “decadenza dal beneficio fiscale relativamente ai redditi degli strumenti finanziari detenuti nel piano stesso, diversi da quelli investiti nel medesimo piano nel rispetto delle suddette condizioni” per il periodo minimo di detenzione dei cinque anni,
– l’obbligo di corrispondere le imposte non pagate, unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni, sui redditi degli strumenti finanziari detenuti nel piano (recapture). In tal caso, il versamento deve essere effettuato dall’intermediario presso il quale il piano è stato aperto (o trasferito) secondo le modalità di cui al comma 106, vale a dire entro il giorno 16 del secondo mese successivo a quello in cui le cause di decadenza si sono verificate con l’apposito codice tributo.
Coordinando le disposizioni contenute nel comma 107 – concernenti il venir meno delle condizioni poste dal comma 102 (vincolo di “composizione”), dal comma 103 (limite di “concentrazione”) e dal comma 104 (investimento indiretto tramite OICR PIR compliant) si evince che il venir meno di una delle suddette condizioni comporta il recupero a tassazione dei redditi medio tempore percepiti dall’investitore relativamente agli strumenti finanziari detenuti nel piano, per meno di 5 anni Restano esclusi dalla recapture i redditi maturati o percepiti relativi agli altri strumenti e la non applicazione del regime di esenzione per tutti i redditi prodotti successivamente alla decadenza.
La decadenza dal regime comporta la chiusura del piano.
10. Trasferimento del PIR
Il comma 111 dispone che il trasferimento del PIR dall’intermediario presso cui è stato costituito ad un altro intermediario autorizzato alla gestione dello stesso non rileva ai fini del computo dei cinque anni.
Detto trasferimento, dunque, non comporta la decadenza del beneficio fiscale in esame.
La disposizione in commento si limita a stabilire la continuità del periodo di detenzione degli strumenti investiti in un piano già costituto qualora l’investitore decida di trasferire il piano presso un altro intermediario rientrante tra i soggetti di cui al comma 102.
Al riguardo, si ritiene che, sebbene la norma non lo preveda espressamente, affinché la stessa trovi applicazione occorre che il rapporto di destinazione sia un piano di investimento intestato al medesimo titolare. Solo in tal caso il trasferimento non comporta alcun effetto realizzativo.
Nel caso di trasferimento del PIR, l’intermediario presso cui il piano è trasferito deve aver cura di assumere dall’intermediario di provenienza tutte le informazioni previste dalla normativa in sede di costituzione del PIR oltre ai dati relativi alle ritenute ed imposte sostitutive non applicate in via condizionata nonché ogni altra informazione necessaria in relazione agli investimenti effettuati nel piano, per ciascun anno di durata dello stesso.
Resta ferma la responsabilità nei confronti dell’Amministrazione finanziaria in capo all’intermediario di provenienza della correttezza dei dati relativi al periodo di gestione forniti all’intermediario di destinazione.
11. Fuoriuscita di strumenti finanziari dal PIR
Le Linee Guida chiariscono, inoltre, che “in caso di prelievo della liquidità o di trasferimento degli strumenti finanziari ad altro rapporto, anche se intestato al medesimo titolare, il valore del PIR si riduce di un ammontare corrispondente alle somme prelevate o al costo d’acquisto degli strumenti trasferiti”. In ogni caso, è possibile destinare altre risorse nel piano, nello stesso anno del prelievo o del trasferimento o in anni successivi, nel rispetto del limite annuale di 30.000 euro e di quello complessivo di 150.000 euro.
Esemplificando, se si investono 30.000 euro nell’anno 1 e si prelevano 3.000 euro in tale anno, si può destinare al PIR, nel medesimo anno 1, somme fino a 3.000 euro.
Nella ipotesi in cui uno strumento finanziario facente parte del PIR, detenuto nell’ambito di un rapporto di custodia o amministrazione, anche fiduciaria, o tramite un contratto di gestione di portafoglio, con opzione per l’amministrato, viene trasferito ad un altro rapporto di deposito amministrato intestato al medesimo contribuente, non si verifica un’ipotesi realizzativa da assoggettare a tassazione in quanto il trasferimento avviene a favore del medesimo intestatario del rapporto di provenienza.
Anche qualora il trasferimento avvenga prima del compimento del quinquennio, indipendentemente dal valore corrente dello strumento al momento del trasferimento, il passaggio ad altro rapporto deve avvenire al valore di ingresso dello strumento nel piano.
Se il trasferimento avviene dopo il quinquennio, relativamente ai redditi originati dallo strumento finanziario trasferito, percepiti in regime di non imponibilità, si consolida il beneficio e si assume, quale valore di carico nell’ambito del nuovo rapporto di destinazione, il valore dello strumento finanziario al momento del trasferimento determinato secondo i criteri di cui all’articolo 6, comma 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997, per non vanificare l’agevolazione sul plusvalore maturato fino alla data del trasferimento stesso.
Nella ipotesi di trasferimento di titoli di cui al decreto legislativo n. 239 del 1997, a prescindere dal periodo di permanenza nel PIR, relativamente al rapporto di destinazione, il conto unico è movimentato come se si trattasse di un acquisto secondo quanto previsto dal primo periodo [lettera c)] e secondo periodo del comma 1 dell’articolo 3 del predetto decreto.
Nella ipotesi in cui uno strumento finanziario facente parte del PIR venga trasferito ad un rapporto di deposito amministrato la cui intestazione è diversa da quella del rapporto di provenienza, detto trasferimento rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 del decreto legislativo n 461 del 1997, che equipara il trasferimento ad una “cessione a titolo oneroso” soggetta ad imposizione.
In particolare, con riferimento alle quote o azioni di OICR detenute nel piano da meno di cinque anni, dovrà essere applicata la ritenuta sull’eventuale reddito di capitale che risulta prodotto alla data del trasferimento, ai sensi dell’articolo 26-quinquies, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’articolo 10-ter, comma 3, della legge n. 77 del 1983.
Relativamente ai strumenti finanziari detenuti nel PIR per meno di cinque anni, sia nella ipotesi di trasferimento ad un rapporto intestato al medesimo soggetto che ad un rapporto con intestazione diversa, come previsto dal comma 106, i redditi percepiti o maturati nell’ambito del PIR sono soggetti a recatpure.
Inoltre, qualora oggetto di trasferimento dal piano siano titoli rientranti nell’ambito del regime previsto dal decreto legislativo n. 239 del 1996, detenuti nel PIR per meno di cinque anni, gli interessi maturati o conseguiti durante la permanenza nel piano saranno assoggettati ad imposizione per effetto della recapture al di fuori del conto unico.
12. Chiusura del PIR
Il legislatore non ha stabilito una durata massima del PIR che, pertanto, in linea di principio, coincide con la durata della vita del titolare.
Diverse sono, tuttavia, le circostanze che possono comportarne la chiusura. Tra queste, come in parte anticipato, la perdita della residenza fiscale in Italia o la richiesta da parte del titolare del rimborso totale degli strumenti finanziari oggetto del piano con revoca contestuale del piano o il trasferimento degli strumenti in un rapporto che non abbia le caratteristiche proprie del PIR e, infine, la chiusura a seguito del decesso del titolare.
Dalla diversità delle cause cui discende la chiusura del piano derivano diverse conseguenze fiscali anche in relazione al momento in cui l’evento si verifica rispetto al compimento del quinquennio di detenzione degli strumenti.
In generale, la chiusura del PIR non comporta la decadenza dall’agevolazione relativamente agli investimenti detenuti nel piano per i quali risulta rispettato il requisito temporale previsto dalla normativa, in quanto il verificarsi di tale condizione consolida il regime di non imponibilità rispetto a tutti i redditi generati dagli strumenti fino al momento della chiusura.
Diversamente, relativamente agli investimenti per i quali non è maturato il quinquennio, opera la ripresa a tassazione (recapture) in base alle modalità di cui al comma 106 con l’obbligo di effettuare l’eventuale versamento entro il giorno 16 del secondo mese successivo a quello in cui la chiusura si è verificata con l’apposito codice tributo.
Appare opportuno chiarire che anche per gli strumenti che abbiano “maturato” il quinquennio di detenzione nel PIR, il diritto all’esenzione dei relativi redditi non permane una volta che gli stessi fuoriescono dal PIR oppure nel caso in cui il PIR venga chiuso.
Come anticipato al paragrafo n. 1, il trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte del titolare del PIR comporta il venir meno della applicazione del regime fiscale in esame, consolidando, come precisato anche dalle Linee Guida, il regime di esenzione per i redditi già realizzati e per quelli maturati fino al momento della perdita della residenza, anche se relativi a strumenti finanziari per i quali al momento in cui ha efficacia il trasferimento di residenza non è maturato l’holding period a condizione che il soggetto continui a mantenerne la titolarità nell’ambito di un rapporto ordinario senza cambio di intestazione.
In particolare, secondo quanto precisato nelle Linee Guida, l’investitore che ha trasferito la residenza all’estero, al fine di evitare la recapture, può mantenere l’investimento PIR conforme anche dopo il trasferimento per completare il compimento del quinquennio di detenzione.
In tale fattispecie, tuttavia, la detenzione si interrompe, comunque, nel caso di rimborso o cessione dello strumento PIR conforme. Pertanto, anche nel caso in cui il reinvestimento delle somme derivanti dal rimborso o dalla cessione avvenga entro novanta giorni, non si determina in capo al soggetto continuazione della detenzione.
L’intermediario presso cui sono detenuti i titoli dovrà, pertanto, tenere memoria delle informazioni relative a tali strumenti anche dopo la chiusura del PIR (tipologia, data di acquisto, redditi maturati e prodotti dal conferimento nel PIR e fino alla data della perdita della residenza) per escludere dalla recapture detti redditi.
In particolare, nel caso di polizze assicurative si ritiene che, al fine di individuare il valore della polizza alla data di efficacia del cambio di residenza, in linea con quanto chiarito nella circolare 1° aprile 2016, 8/E, si dovrà far riferimento al “valore di riscatto” che sarebbe stato riconosciuto all’assicurato o, se mancante, la riserva matematica rilevata alla data di efficacia della perdita della residenza.
Nel caso in cui la persona fisica trasferisca nuovamente la residenza fiscale in Italia, conferendo in un “nuovo” PIR gli strumenti che stanno completando il quinquennio, si ritiene che agli stessi non si applichi la recapture.
Va da se che, per effetto della perdita del requisito di residenza fiscale in Italia, l’investitore, divenuto un soggetto non residente, potrà usufruire, ove ne ricorrano i presupposti, dei regimi di non imponibilità o di esenzione previsti dalla normativa nazionale italiana quali ad esempio: l’articolo 6 del decreto legislativo n. 239 del 1996, l’articolo 5, comma 5 del decreto legislativo n. 461 del 1997, l’articolo 26-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’articolo 23 del TUIR nonché le misure previste da Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il “nuovo” Stato di residenza.
Pertanto, in relazione ai redditi realizzati o maturati dal periodo d’imposta in cui ha efficacia la variazione di residenza fiscale, con effetto dal 1° gennaio del medesimo periodo, si applicheranno le regole previste per la tassazione dei redditi di natura finanziaria in capo ai soggetti non residenti.
Tenuto che la data di efficacia del trasferimento retroagisce all’inizio del periodo di imposta, si ritiene che l’intermediario debba provvedere al versamento dell’eventuali imposte dovute sui redditi del soggetto non residente entro la prima scadenza di versamento successiva alla data in cui ha avuto notizia del cambio di residenza.
Anche il decesso del titolare del PIR comporta la chiusura del piano. Tuttavia, in tale ipotesi non trova applicazione la recapture essendo tale circostanza indipendente dalla volontà dell’investitore, con riferimento ai redditi maturati o realizzati fino alla data del decesso
Nell’ipotesi di polizze PIR compliant, qualora il decesso del titolare del PIR nonché titolare e contraente della polizza, si verifichi prima del compimento dell’holding period non opera, pertanto, la tassazione sul rendimento finanziario come previsto ordinariamente dall’articolo 34, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601.
13. Particolari problematiche applicative
13.1 Ritenute non dovute
Il comma 108 prevede che le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive eventualmente applicate e non dovute sui redditi derivanti da investimenti facenti parte del PIR, fanno sorgere in capo al titolare del piano il diritto a ricevere una somma corrispondente.
Gli intermediari abilitati e le imprese di assicurazione gestori dei PIR provvedono al pagamento della predetta somma, computandola in diminuzione dal versamento delle ritenute e delle imposte dovute dai medesimi soggetti.
Pertanto, il diritto del titolare del PIR a ricevere la somma corrispondente alle ritenute subite va soddisfatto da parte dell’intermediario che potrà recuperare gli importi versati in compensazione.
Si tratta, ad esempio, di imposte applicate alla fonte dall’emittente, come le ritenute sugli utili derivanti da azioni e strumenti finanziari non immessi in sistemi di deposito accentrato.
Le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive applicate e non dovute sono compensabili con quelle dovute esclusivamente nella delega di pagamento F24, in applicazione dell’articolo 15, comma 1, lettera b), del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, ai sensi del quale, al fine di favorire la trasparenza e semplificare le operazioni poste in essere dai sostituti d’imposta, a decorrere dal 1° gennaio 2015, “in deroga a quanto previsto dall’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 241 del 1997 le eccedenze di versamento di ritenute e di imposte sostitutive sono scomputate dai successivi versamenti esclusivamente con le modalità di cui all’articolo 17 del citato decreto legislativo n. 241 del 1997. Dette somme non concorrono alla determinazione del limite di cui all’articolo 34, comma 1, della legge n. 388 del 2000 fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, commi da 2 a 6, del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 445”.
Con risoluzione n. 13/E del 10 febbraio 2015 sono stati istituiti una serie di codici tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite il modello F24, delle somme rimborsate ai percipienti e delle eccedenze di versamento di ritenute e di imposte sostitutive, di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a) e b), d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175. Fra tali codici figura anche il codice “1629” denominato “Eccedenza di versamenti di ritenute su redditi di capitale e di imposte sostitutive su redditi di capitale e redditi diversi – art. 15, c. 1, lett. b) D.Lgs. n. 175/2014”;
Sul punto, le istruzioni alla compilazione del quadro ST-“Ritenute operate, trattenute per assistenza fiscale e imposte sostitutive” del modello 770/2017, a pagina 39, precisano: “le compensazioni effettuate nel modello di pagamento F24 utilizzando i codici tributo istituiti dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 13 del 10 febbraio 2015 e n. 103 del 9 dicembre 2015 non devono essere riportate nel presente quadro”.
Si conferma, pertanto, che le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive non dovute, compensate esclusivamente nel modello F24 con il codice tributo 1629, non devono essere indicate anche nel modello 770.
Ai fini del predetto computo non si applicano né il limite annuale di 250.000 euro per l’utilizzo dei crediti di imposta (di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), né il limite massimo di compensabilità di crediti di imposta e contributi pari a 700.000 euro (di cui all’articolo 34, della legge 23 dicembre 2000, n. 388).
Da ultimo si osserva che la norma fa evidentemente riferimento alle sole imposte di fonte italiana e non anche ad eventuali ritenute estere.
13.2 Il regime delle minusvalenze
Il comma 109 stabilisce che “le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi realizzati mediante la cessione o il rimborso degli strumenti finanziari nei quali è investito il piano sono deducibili dalle plusvalenze, differenziali positivi o proventi realizzati nelle operazioni successive poste in essere nell’ambito del medesimo piano e sottoposte a tassazione ai sensi dei commi 106 e 107 nello stesso periodo di imposta e nei successivi e non oltre il quarto”.
Data la formulazione della norma si ritiene che la previsione si applichi a tutte le minusvalenze realizzate nell’ambito del PIR. Vale a dire non solo quelle derivanti dalla cessioni o rimborsi imponibili ai sensi dei commi 106 e 107 ma anche da cessioni esenti, perché ad esempio relative a strumenti detenuti per almeno un quinquennio.
Tali minusvalenze possono essere utilizzate unicamente nel caso di operazioni poste in essere in relazione a strumenti finanziari detenuti nell’ambito del PIR che sono assoggettate ad imposizione ai sensi dei commi 106 e 107 dello stesso articolo, ad esempio nel caso di cessione degli stessi prima dello scadere del periodo minimo di detenzione o di mancato reinvestimento entro il termine previsto.
Le minusvalenze in questione possono essere utilizzate a partire dal medesimo periodo d’imposta e non oltre il quarto.
Alla chiusura del piano, inoltre, le minusvalenze, le perdite e i differenziali negativi che residuano possono essere portati in deduzione nell’ambito di un altro rapporto di cui sia titolare la medesima persona fisica ovvero possono essere portate in deduzione in sede di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi nel caso di applicazione del regime dichiarativo o essere utilizzate nell’ambito di un rapporto per il quale sia stata esercitata l’opzione per il risparmio amministrato, fino a concorrenza, dalle plusvalenze e dagli altri redditi dei periodi d’imposta successivi ma non oltre il quarto dal loro realizzo, mantenendo, quindi, l’originaria anzianità.
14. Imposta di successione
Il comma 114 dispone che il trasferimento a causa di morte degli strumenti finanziari detenuti nel piano non è soggetto all’imposta sulle successioni di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346.
In relazione al trasferimento mortis causa di detti strumenti finanziari non sussiste, quindi, l’obbligo di includere gli stessi nella dichiarazione di successione.
Si precisa, infine, che la circostanza che la norma in argomento faccia esplicito riferimento ai trasferimenti mortis causa porta ad escludere che il regime di favore in argomento possa trovare applicazione anche per i trasferimenti inter vivos, quali ad esempio quelli di carattere donativo.
15. Adempimenti a carico degli intermediari
Come anticipato, la corretta applicazione del regime in esame comporta una serie di adempimenti a carico degli intermediari abilitati e le imprese di assicurazione presso i quali il PIR è detenuto che sono tenuti a:
– acquisire l’autodichiarazione da parte dell’investitore in merito al possesso dei requisiti personali e patrimoniali previsti (residenza, unicità della titolarità, assenza di partecipazioni “qualificate” detenute direttamente o indirettamente dal titolare del PIR o dai suoi familiari);
– tenere separata evidenza, ai fini fiscali, per ciascun anno delle somme e dei valori destinati al piano e degli investimenti qualificati effettuati;
– restituire le ritenute alla fonte e imposte sostitutive applicate in capo ai titolari del PIR (ma “non dovute”) ed effettuarne lo scomputo dal versamento di altre ritenute e imposte;
– “recuperare” le imposte dovute attraverso “adeguati disinvestimenti o chiedendone la provvista” al titolare per provvedere al versamento nei tempi richiesti.
16. Rapporti tra intermediari diversi coinvolti nella gestione del PIR
Nel caso di PIR costituito esclusivamente da quote di OICR PIR compliant collocate indirettamente, ad esempio tramite una banca, tenuto conto della specificità del regime fiscale in esame, si ritiene che la SGR, che ha istituito l’OICR, possa svolgere tutti gli adempimenti previsti dalla normativa in relazione al PIR.
Come noto, le SGR rientrano tra gli intermediari finanziari abilitati all’applicazione del regime del risparmio amministrato come espressamente, previsto dal decreto ministeriale 25 giugno 2002, relativamente ai titoli, quote o certificati detenuti in custodia o amministrazione presso di essi.
Secondo tale schema operativo, pertanto, la SGR rimane il sostituto d’imposta ai fini della ritenuta sui redditi di capitale di cui all’articolo 26-quinquies del d.P.R. n. 600 del 1973 e certifica anche le minusvalenze (onere che normalmente ricade sul collocatore).
Inoltre, la SGR provvede al rilascio della certificazione delle minusvalenze anche in occasione della chiusura del PIR e del rimborso parziale delle quote o azioni. In tal caso, infatti, si applica la previsione contenuta nel comma 5 dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997 che consente il rilascio della certificazione delle minusvalenze nei casi in cui le quote o azioni degli OICR siano detenute in un rapporto non formalizzato mediante un contratto di custodia, amministrazione o deposito ed avente ad oggetto esclusivamente le predette quote o azioni.
In tali casi, la persona fisica rilascia alla SGR, per il tramite del collocatore, un’autocertificazione con la quale richiede l’apertura di uno stabile rapporto PIR in regime amministrato, dichiara di essere residente in Italia e di non essere titolare di un altro piano di risparmio a lungo termine e di volere attribuire alla stessa il ruolo di sostituto di imposta in relazione al trattamento di tutti i redditi conseguenti nell’ambito del PIR.
Resta fermo che gli adempimenti regolamentari e fiscali previsti da altre disposizioni saranno svolti dall’intermediario collocatore (ad esempio, ai fini dell’applicazione dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative alle quote dell’OICR di cui all’articolo 13, comma 2-ter, della Tariffa, parte prima, allegata al citato d.P.R. n. 642 del 1972).
17. Controlli
La corretta applicazione della disciplina in esame costituirà oggetto delle attività di controllo da parte della Amministrazione finanziaria con particolare riferimento alla sussistenza e, relativa permanenza, dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per l’applicazione del regime di non imponibilità in esame nonché alla corretta esecuzione degli adempimenti a tal fine imposti sia in capo al titolare del PIR che in capo all’intermediario presso il quali il PIR è costituito o gestito.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
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NOTE:
(1) 1 Fonte: http:///www.consob.it/web/investor-education/i-derivati e http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossarySearch.