Agenzia delle Entrate – Risposta n. 295 del 25 maggio 2022
Carried interest – Articolo 60 decreto legge 24 aprile 2017, n. 50
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
La XXX (di seguito, “Società” o “Istante”) ha rappresentato quanto segue.
Il Consorzio XXX (di seguito, Consorzio) è un’organizzazione di produttori che raccoglie xxx soci e che si occupava di pianificazione agricola, acquisti collettivi, fornitura in comodato di attrezzature e macchinari, promozione e gestione di specifici investimenti di settore nonché di pianificazione e consegna del raccolto e rappresentava per i soci agricoltori il principale cliente, al quale conferire una quota rilevante se non totalitaria della propria produzione agricola.
A fine xxxx, su iniziativa di alcuni investitori istituzionali italiani di primaria importanza, è stata costituita una società di gestione del risparmio (di seguito SGR) con l’obiettivo di istituire e gestire fondi d’investimento di private equity focalizzati nell’investimento in aziende italiane con solide prospettive industriali e che necessitano di essere rilanciate attraverso operazioni di ricapitalizzazione, ristrutturazione o riorganizzazione. Dal xxxx la SGR è il gestore di un fondo d’investimento alternativo italiano mobiliare di tipo chiuso (di seguito, il Fondo).
Nel xxxx, la SGR ha stipulato un accordo con il consiglio di amministrazione ed il management del Consorzio e con la quasi totalità degli imprenditori associati (di seguito “Imprenditori Associati”) allo stesso, finalizzato ad operare un importante investimento finanziario congiuntamente a questi ultimi, con l’obiettivo di fornire al business del Consorzio ulteriori risorse necessarie a supportarne lo sviluppo.
In esito a tale accordo, a far data dal xx-xx-xxxx, la totalità delle attività e delle passività relative al business condotto dal Consorzio – inclusi i brand commerciali ed esclusi i soli elementi attivi e passivi che per natura non possono essere trasferiti in quanto strettamente legati alla sua natura consortile – sono stati conferiti nella Società istante, costituita ad hoc per l’operazione.
In data xx-xx-xxxx, il Fondo ha acquisito dal Consorzio azioni della Società istante per un valore nominale di euro x milioni, versando un corrispettivo pari ad euro x milioni.
Nella medesima data, la Società ha ricevuto un apporto a titolo di equity per complessivi euro x milioni (di cui euro x milioni ad opera del Fondo ed euro x milioni ad opera degli Imprenditori Associati) ed ha, altresì, emesso un prestito obbligazionario convertibile d’importo pari ad ulteriori euro x milioni, interamente sottoscritto dalla SGR. La scelta del prestito obbligazionario in alternativa ad un strumento di equity ha lo scopo di garantire al Fondo un maggior grado di protezione almeno su parte delle risorse investite nella Società ed altresì di consentire al Consorzio ed agli Imprenditori Associati di mantenere congiuntamente più del 50 per cento delle azioni della Società (cosa che non sarebbe stata possibile laddove la SGR avesse apportato anche le predette risorse a titolo di equity).
Il regolamento prevede che il prestito obbligazionario possa essere convertito – su opzione dell’obbligazionista – in n. 24.000.000 “azioni C1” (rappresentanti capitale sociale per euro x milioni e per differenza un sovrapprezzo pari a euro x milioni). L’esercizio del diritto di conversione è consentito in caso di:
- cessione della maggior parte delle azioni della Società;
- quotazione della Società;
- liquidazione della Società.
Sempre in base all’accordo intercorso tra le parti, è previsto che venga offerta ad un numero di amministratori e key manager della Società compreso tra 6 e 9, individuati anche successivamente alla data di esecuzione dell’accordo, la possibilità di partecipare al capitale della Società, attraverso un aumento di capitale sociale, sottoscrivendo un importo di circa euro x milioni (complessivamente pari all’1 per cento del valore di mercato dell’equity della Società al momento del conferimento).
Per quanto concerne i manager, la loro partecipazione al capitale della Società sarà pari ad un importo compreso tra la retribuzione annua netta e quella lorda che ciascuno percepisce per effetto dell’attività di lavoro dipendente o assimilato svolta a favore della Società medesima.
Alla data di integrale sottoscrizione dell’aumento di capitale da parte dei manager, la partecipazione al capitale sociale della Società istante sarà così ripartita:
- SGR 48,39 per cento;
- Consorzio 35,55 per cento;
- Imprenditori Associati 14,81 per cento;
- manager 1,25 per
Laddove si verificassero le condizioni di conversione del prestito obbligazionario e la SGR decidesse di optare per la conversione dello stesso, le percentuali di partecipazione sarebbero le seguenti:
- SGR 71,17 per cento;
- Consorzio 19,86 per cento;
- Imprenditori Associati 8,28 per cento;
- manager 0,7 per cento.
In caso di conversione del prestito obbligazionario, la Società valuterà altresì se riconoscere la possibilità per tutti i manager di integrare proporzionalmente il proprio investimento, così da garantire che l’investimento effettuato dagli stessi rimanga almeno pari all’1 per cento del valore di mercato dell’equity della Società.
Il progetto d’investimento da parte del Fondo mira ad una crescita del valore della Società da realizzarsi in un arco temporale di medio termine (indicativamente 3-6 anni), al termine del quale la SGR intende realizzare il proprio investimento, mediante la cessione della propria quota partecipativa ad un terzo investitore, ovvero la quotazione o ancora mediante cessione sul mercato della stessa.
Tale disinvestimento potrebbe avvenire contestualmente al disinvestimento da parte di tutti i soci (cd. Exit Totalitaria), ovvero da parte di tutti i soci ad esclusione del Consorzio (cd. Exit Parziale). L’Istante ritiene, infatti, molto probabile che il Consorzio decida di non vendere la propria partecipazione.
L’Istante ha, inoltre, rappresentato che il proprio capitale sociale è suddiviso in quattro classi di azioni tutte prive di indicazione del valore nominale:
- 10.800.000 “azioni A1” sottoscritte dal Consorzio;
- 4.500.000 “azioni B1” sottoscritte dagli Imprenditori Associati;
- 14.700.000 “azioni C1” sottoscritte dalla SGR;
- 378.409 “azioni M1” che saranno sottoscritte entro fine 2022 dai manager.
Per quanto concerne i diritti patrimoniali connessi alle suindicate azioni, la Società ha rappresentato che qualsiasi distribuzione di utile e/o di riserve di utili è subordinata alla corresponsione integrale alla SGR degli interessi maturati alla data della distribuzione in questione e, altresì, alla percezione da parte degli Imprenditori Associati di un importo pari ad un rendimento privilegiato nella misura del 3 per cento.
Gli eventuali utili e riserve di utili che eccedessero tali importi, saranno distribuibili ai soci secondo il criterio indicato:
- fino ad euro 20 milioni ai soli soci titolari di azioni A1;
- tra i 20 e fino a 35 milioni ai soli soci titolari di azioni B1;
- tra i 35 e fino a 80 milioni ai soli soci titolari di azioni C1;
- dagli 80 milioni di euro in su in percentuali variabili per scaglioni, ripartendo tali importi tra i soli soci titolari di azioni C1, B1 e A1.
Le azioni M1 hanno diritto ad una distribuzione di utili contestualmente a tutte le distribuzioni che precedono, ma per un ammontare limitato complessivamente allo 0,7 per cento, a prescindere dalla conversione o meno del prestito obbligazionario.
Lo stesso criterio di ripartizione di utili e riserve di utili sarà seguito per la ripartizione dei proventi derivanti da Exit Totalitaria ovvero di liquidazione limitatamente ai soci titolari di azioni C1, B1 e A1.
Per quanto concerne, invece, i possessori delle azioni M1, essi avranno diritto ad una quota di proventi di importo limitato allo 0,7 per cento dei medesimi. In aggiunta a tale rendimento base è previsto il riconoscimento di un extra rendimento calcolato come prodotto tra il corrispettivo del trasferimento dalla vendita del 100 per cento del capitale sociale della Società ed un coefficiente determinato in base al prezzo di vendita della Società medesima (compreso tra lo 0 per cento – laddove gli altri azionisti titolari di azioni A1, B1 e C1 non ricevano il rendimento minimo – e il 2,30 per cento del prezzo di vendita).
Al riguardo, l’Istante ha sottolineato che l’extra rendimento sarà dovuto ai manager solo dopo che gli altri azionisti – oltre al capitale investito – abbiano ricevuto un rendimento minimo (pari a 1,04 volte il capitale investito, nel caso del Consorzio, 1,98 volte il capitale investito, nel caso degli Imprenditori Associati e 1,57 volte il capitale investito, nel caso della SGR).
Anche in ipotesi di Exit Parziale, saranno oggetto di cessione tutte le azioni rappresentative del capitale della Società diverse da quelle di titolarità del Consorzio ed i relativi proventi saranno ripartiti tra i soci secondo i medesimi criteri sopra esposti (incluso – ricorrendone i presupposti – il riconoscimento dell’extra rendimento in favore dei titolari di azioni M1), adeguatamente modificati in modo da tenere conto della mancata partecipazione del Consorzio all’evento di exit in questione.
In caso, infine, di quotazione della Società è previsto in sede di negoziazione un meccanismo di conversione di tutte le azioni sulla base di un rapporto di cambio tale per cui ciascun socio avrà diritto a ricevere un numero di azioni ordinarie di valore pari all’importo che sarebbe spettato al medesimo socio in caso di Exit Totalitaria, sulla base di un corrispettivo figurativo pari alla capitalizzazione della Società al momento della quotazione.
L’Istante ha da ultimo rappresentato che in caso di interruzione del rapporto di lavoro dei manager con la Società, trovano applicazione delle clausole di leavership per effetto delle quali:
- qualora intervenga una fattispecie di good leaver una porzione delle azioni M1 detenute dal manager uscente sarà automaticamente convertita secondo un rapporto di 1:1 in “azioni M2”, che hanno le stesse caratteristiche delle azioni M1, tranne che per la mancanza del diritto a percepire l’extra rendimento. Le azioni M2 sono, inoltre, riscattabili dalla Società o dagli azionisti e incorporano un diritto di recesso dalla Società medesima. L’importo corrisposto in entrambi i casi sarà pari al valore di mercato delle azioni riscattate o per le quali detto recesso sia stato esercitato;
- qualora intervenga una fattispecie di bad leaver tutte le azioni M1 detenute dal manager saranno automaticamente convertite in “azioni M3”, che hanno le stesse caratteristiche delle azioni M2 e sono riscattabili dalla Società o dagli azionisti a fronte della corresponsione di un corrispettivo pari al minore tra il valore di mercato e il valore di sottoscrizione delle azioni oggetto di riscatto.
Le clausole di leavership non trovano applicazione in caso di conversione delle azioni M1 in azioni ordinarie per effetto della quotazione della Società.
Tanto premesso, l’Istante chiede di conoscere quale sia la corretta qualificazione tributaria da riservare alla totalità dei proventi derivanti dall’investimento dei manager nelle azioni M1. In particolare, viene chiesto di sapere se tali proventi possano qualificarsi redditi di natura finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 e, in subordine, se tali proventi costituiscano redditi di natura finanziaria, anche qualora non risultino soddisfatti o venga meno qualcuno dei tre i requisiti previsti da citato articolo 60.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che i proventi che i manager percepiranno in relazione alla sottoscrizione delle azioni M1 possano qualificarsi sotto il profilo fiscale quali redditi di natura finanziaria e rientrino nell’ambito di applicazione del regime di cui all’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017.
In particolare, viene rilevato che l’investimento in azioni M1 rappresenta un investimento in azioni con diritti patrimoniali rafforzati, vale a dire con diritto a ricevere un ritorno finanziario più che proporzionale al capitale investito nella misura in cui i titolari delle azioni A1, B1 e C1 abbiano ottenuto la restituzione delle somme investite oltre che un rendimento minimo.
Inoltre, a parere dell’Istante, sarebbero soddisfatti tutti e tre i requisiti previsti all’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, in quanto:
- l’impegno complessivo d’investimento da parte della totalità dei manager non è inferiore alla soglia dell’1 per cento;
- i titolari delle azioni M1 hanno diritto a ricevere l’extra rendimento solo dopo che la totalità degli azionisti abbiano ricevuto una somma pari alla totalità del capitale investito e un rendimento minimo;
- ciascuno dei manager manterrà la totalità delle azioni detenute per almeno 5 anni o comunque fino ad un eventuale cambio di controllo.
Inoltre – ad avviso dell’Istante – la possibilità che vengano meno i requisiti di cui all’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, presenti al momento della sottoscrizione delle azioni, non comporta la inapplicabilità del relativo regime, posto che gli eventi che determinerebbero tale situazione sono eventuali e non sono in alcun modo nel controllo dei manager (dato che la conversione del prestito obbligazionario, la quotazione o l’Exit Parziale sono eventi che dipendono esclusivamente dalla volontà degli altri soci).
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i « proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».
La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero:
«a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;
c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».
Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria.
Al ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), quindi, al provento percepito dal manager o dal dipendente è attribuita ex lege natura finanziaria a prescindere da qualsiasi legame con l’attività lavorativa prestata presso la società, ente o OICR partecipati.
Come illustrato con la circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E, la carenza di uno o più dei presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l’automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un’analisi volta a verificare, caso per caso, l’idoneità dell’investimento a determinare quell’allineamento citato che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria.
A tale proposito, il documento di prassi citato ha chiarito che l’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l’attività lavorativa svolta da parte del manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito in questione; inoltre, un ulteriore criterio di valutazione è individuabile nell’idoneità dell’investimento, anche in termini di ammontare, quale garanzia dell’allineamento di interessi tra investitori e management e della conseguente esposizione di quest’ultimo al rischio di perdita del capitale investito.
Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa e quindi alla produzione di reddito da lavoro, non potendosi tuttavia escludere che la ricorrenza di altri elementi, quali ad esempio l’esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento.
Nel caso di specie, secondo quanto rappresentato, risulterebbe verificata la ricorrenza del requisito dell’impegno minimo d’investimento da parte della totalità dei manager che, in fase di sottoscrizione non sarebbe inferiore alla soglia dell’1 per cento; parimenti per quanto concerne il requisito c.d. dell’hurdle rate risulta che i titolari delle azioni M1 hanno diritto a ricevere proventi solo dopo che la totalità degli azionisti abbiano ricevuto una somma pari alla totalità del capitale investito e un rendimento minimo statutariamente previsto. Il progetto di co-investimento dei manager, inoltre, prevede in capo ad essi un obbligo di detenzione delle azioni per almeno 5 anni o comunque fino ad un eventuale cambio di controllo.
Tuttavia, con particolare riferimento all’ammontare dell’investimento minimo di cui alla lettera a), nella circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E è stato chiarito che nel caso di investimento in società, a differenza dell’ipotesi di carried interest che coinvolgono fondi di investimento, il raggiungimento della soglia minima non è un requisito statico (per i fondi vale la chiusura delle sottoscrizioni) ma dinamico, dovendosi guardare sia al momento nel quale il piano di incentivazione è implementato, sia a momenti successivi – quali aumenti di capitale o acquisto di partecipazioni societarie da parte di altri soggetti diversi dai manager – al fine di “misurare” l’adeguatezza dell’investimento minimo. In conseguenza di questi eventi potrebbe, quindi, verificarsi la necessità per gli aderenti al piano di dover adeguare il loro investimento ai fini del rispetto della soglia minima dell’1 per cento al nuovo valore economico del patrimonio netto.
Al riguardo, l’Istante ha dichiarato che la possibilità che la SGR opti per la conversione del prestito obbligazionario sottoscritto, comporterebbe un aumento della sua partecipazione al capitale sociale (che salirebbe al 71,17 per cento) con conseguente riduzione della percentuale di partecipazione dei manager (che scenderebbe allo 0,70 per cento). Di conseguenza, in assenza di integrazione dell’investimento da parte dei manager – ipotesi ritenuta probabile dall’Istante – verrebbe meno il requisito di cui all’articolo 60, comma 1, lettera a) del decreto legge n. 50 del 2017.
Inoltre, in caso di quotazione o di Exit Parziale è molto probabile che il Consorzio mantenga la propria partecipazione nella Società. In tali ipotesi non risulterebbe, quindi, soddisfatto il requisito di cui alla lettera b) dell’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017.
Qualora non fossero rispettati i requisiti previsti dalla disposizione in esame, è necessario svolgere l’analisi degli elementi che caratterizzano il piano di co- investimento.
Nell’ambito di tale analisi assume rilievo l’ammontare dell’investimento sottoscritto dal management che potrebbe non raggiungere pienamente in valore percentuale i limiti previsti dalla norma (1 per cento), solo nell’ipotesi di conversione del prestito obbligazionario.
L’ammontare sottoscritto, tuttavia, risulta di ammontare rilevante in termini assoluti, anche in considerazione del numero esiguo dei soggetti interessati al piano di co¿investimento. Assume rilievo, altresì, che l’ammontare dell’investimento sia significativo, anche in termini relativi, in quanto ciascun manager investe un importo compreso tra la retribuzione annua netta e la retribuzione annua lorda che percepisce per effetto dell’attività di lavoro dipendente o assimilato svolta a favore della Società.
Inoltre, la Società istante ha dichiarato che la retribuzione annua lorda spettante ai manager è congrua agli incarichi che sono ad essi assegnati e comunque allineata con i compensi medi di riferimento che il mercato offrirebbe a soggetti aventi lo stesso ruolo in società comparabili.
Con riferimento al piano di co-investimento prospettato assume rilievo altresì la configurazione assunta dalle clausole di leavership, con particolare riferimento a quelle di good leavership, laddove al manager uscente è comunque assicurato il mantenimento di almeno una parte delle azioni M1 anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro. In detta ipotesi, è infatti previsto che il manager uscente abbia diritto a continuare a detenere almeno una parte delle proprie azioni M1, le quali manterrebbero il diritto a partecipare ai proventi della società proporzionalmente all’investimento sottoscritto e, in aggiunta, all’extra rendimento. La restante parte delle azioni, saranno invece convertite secondo un rapporto di 1:1 in azioni M2, che hanno le stesse caratteristiche delle azioni M1, tranne che per la mancanza del diritto a percepire l’extra rendimento e potranno essere riscattate dagli altri soci al valore di mercato.
Solo in caso di bad leavership (interruzione del rapporto di lavoro nei primi ventiquattro mesi nonché di risoluzione del rapporto per dolo o colpa grave) la risoluzione del rapporto di lavoro comporterebbe il riscatto da parte della Società o degli altri soci della totalità delle azioni M1 per un corrispettivo pari al minore tra il valore di mercato e il valore di sottoscrizione delle azioni.
L’Istante ha, infine, dichiarato che non sono presenti nello statuto della Società, né in nessun altro accordo tra le parti interessate, clausole finalizzate a garantire ai manager la restituzione integrale del capitale investito e che avrebbero l’effetto di depotenziare il rischio di perdita dello stesso.
Quanto sopra illustrato e documentato dall’Istante, porta la Scrivente a ritenere che gli elementi rilevati nel caso di specie appaiono idonei ad escludere che i proventi derivanti dalla sottoscrizione delle azioni M1 abbiano una funzione integrativa della retribuzione del management. Pertanto, si ritiene che i redditi derivanti dall’investimento dei manager possano rientrare tra i redditi di natura finanziaria.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e delle qualificazioni effettate dal contribuente, assunte acriticamente così come illustrate nell’istanza di interpello in quanto non oggetto di valutazione in questa sede e nel presupposto della loro veridicità e correttezza.
Resta impregiudicato, ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria volto a verificare se lo scenario delle operazioni descritto in interpello, per effetto di eventuali altri atti, fatti o negozi ad esso collegati e non rappresentati dall’istante, possa condurre ad una diversa valutazione delle fattispecie oggetto di chiarimento.
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