Agenzia delle Entrate – Risposta n. 311 del 27 maggio 2022
Carried interest – Articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
La xxx (di seguito, “Società” o “Istante”), operatore qualificato nell’ambito di situazioni di crisi di impresa caratterizzate da gravi difficoltà di natura finanziaria, è controllata dalla società Alfa Italia S.r.l., società indirettamente controllata dalla società britannica Alfa Group Ltd.
L’Istante detiene il 97 per cento delle azioni della XXX (di seguito SGR) la quale opera come gestore autorizzato di fondi di investimento alternativi.
Tra il xxxx e il xxxx il gruppo Alfa ha lanciato un complesso schema di investimento paneuropeo (di seguito, “Schema di Investimento”) composto da fondi d’investimento alternativi per un ammontare pari ad euro x miliardi, gestito da società lussemburghesi (autorizzate e vigilate dall’autorità di vigilanza del settore finanziario lussemburghese).
Nel contesto di tale Schema di Investimento, l’Istante agisce come consulente per la selezione, la due diligence e la strutturazione degli investimenti italiani.
Al fine di incentivare la raccolta di capitale da parte di investitori italiani, la SGR ha istituito un fondo feeder in forma contrattuale, gestito dalla medesima SGR, operante come veicolo di investimento collettivo per conto dei soggetti italiani, sottoscrivendo impegni di investimento nel fondo master dello Schema di Investimento.
Il regolamento del fondo feeder prevede l’emissione di tre categorie di quote (tutte di valore nominale unitario pari ad euro 1) con diritti economici differenziati:
- le Quote A, ordinarie, riservate ad investitori professionali;
- le Quote A1, che hanno gli stessi diritti delle quote ordinarie, ma la cui sottoscrizione è dedicata a soggetti che partecipano o abbiano partecipato, direttamente o indirettamente, alla raccolta e/o alla gestione del fondo feeder, tra cui, alcuni amministratori/dipendenti dell’Istante e della SGR;
- le Quote B, che attribuiscono diritti patrimoniali rafforzati (“carried interest“) e sono riservate esclusivamente ad amministratori/dipendenti dell’Istante e della SGR (di seguito, complessivamente i “manager“).
I manager partecipano al fondo feeder sottoscrivendo sia Quote A1 che Quote B, per un importo complessivo di euro 2.6 milioni. La partecipazione avviene direttamente o tramite veicoli costituiti sotto forma di società a responsabilità limitata di cui i manager stessi sono titolari effettivi/proprietari al 100 per cento salvo un caso in cui il manager (dipendente dell’Istante) è titolare di una partecipazione del 99 per cento.
Il commitment di ogni manager nelle Quote A1 nel fondo feeder varia tra un minimo di 1,8 ad un massimo di 3,1 volte rispetto allo stipendio fisso lordo annuale di ciascuno, mentre il commitment nelle Quote B da parte di tutti i manager ammonta a euro 11.200.
Secondo quanto previsto dai documenti che disciplinano il funzionamento dello Schema di Investimento, i proventi derivanti da quote che attribuiscono i carried interest saranno dovuti solo dopo che tutti gli investitori avranno ricevuto un ammontare pari al capitale investito oltre ad un certo rendimento preferenziale, c.d. hurdle rate, il cui tasso varia tra il 7 e l’8 per cento a seconda di quanto previsto dal regolamento del fondo master e di ciascun altro fondo dello Schema di Investimento.
Come previsto dal regolamento del fondo feeder e da accordi (side letter) stipulati tra i manager e la SGR e tra la SGR ciascun fondo dello Schema di Investimento (carried interest letter agreement), i manager hanno diritto a partecipare alle distribuzioni di carried interest effettuate dallo Schema di Investimento al fondo feeder, al quale spetta una quota parte del carried interest totale generato dallo Schema di Investimento. Il carried interest attribuito al fondo feeder sarà poi distribuito a ciascun manager in base alle Quote B detenute nel fondo feeder stesso.
Gli accordi tra manager e la SGR prevedono, inoltre, delle clausole di leavership e di vesting. In particolare, tutti i leaver conservano le distribuzioni di carried interest già ricevute. Mentre per quanto concerne le distruzioni successive, il carried interest è soggetto ad una rettifica in diminuzione: i bad leaver perdono il diritto a eventuali distribuzioni future del carried interest, mentre i good leaver hanno diritto a mantenere una percentuale del carried interest già maturato ma non ancora distribuito alla data di cessazione del rapporto di lavoro.
In data xx-xx-xxxx, il Gruppo ha firmato un put option agreement con ciascun manager che prevede, al verificarsi di determinati eventi (leavership, morte o interdizione), il diritto di vendere le Quote A1 possedute dal manager a un prezzo unitario pari al net asset value delle medesime, come indicato nella più recente relazione annuale o semestrale del fondo feeder.
Con riferimento al livello retributivo dei manager che hanno sottoscritto le quote, l’Istante ha precisato che per ciascuno di essi è prevista una retribuzione annuale, composta di una parte fissa e di una parte variabile.
L’ammontare della retribuzione variabile è determinato: per i manager della Società, in misura pari ad una percentuale delle commissioni addebitate dall’Istante ai fondi; per i manager della SGR, come una percentuale che varia in relazione alla performance aziendale e che non può eccedere il 150 per cento della retribuzione annua fissa.
Tanto premesso, la Società, al fine di ottemperare correttamente ai propri obblighi di sostituto d’imposta, ha chiesto di conoscere quale sia la corretta qualificazione tributaria da riservare al carried interest pagato dal fondo feeder ai manager.
In particolare, viene chiesto di sapere se tali proventi possano qualificarsi redditi di natura finanziaria ai sensi dell’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017 e se tali proventi mantengono, ai fini fiscali, la natura giuridica di redditi di capitale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera g), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), anche qualora non risulti soddisfatto uno dei tre requisiti previsti dal citato articolo 60.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che, con riferimento al requisito di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, poiché i manager hanno diritto a ricevere una quota parte del carried interest generato da tutto lo Schema di Investimento, la verifica in merito al rispetto del requisito debba essere effettuata con riferimento allo Schema di Investimento nel suo complesso e non esclusivamente in relazione agli impegni di investimento raccolti dal fondo feeder.
A tal proposito, l’Istante ha dichiarato di non avere a disposizione informazioni in merito all’ammontare del commitment sottoscritto da altri manager del Gruppo nello Schema di Investimento e, quindi, di non poter fornire prova del rispetto del requisito dell’investimento minimo.
Con riferimento al requisito di cui alla successiva lettera b), l’Istante ha dichiarato che la waterfall prevista nei regolamenti dei fondi che compongono lo Schema di Investimento e il pagamento del carried interest sono conformi alle disposizioni del decreto, in quanto prevedono sia la postergazione del riconoscimento del carried interest rispetto alla restituzione del capitale investito e dell’hurdle rate sia una clausola di clawback.
Con riferimento al requisito di cui alla lettera c), concernente il c.d. holding period dell’investimento, l’Istante fa presente che esso non può che essere verificato ex post.
Atteso che l’assenza di una delle condizioni richieste dall’articolo 60 del decreto non esclude, di per sé, la qualificazione del carried interest come reddito di capitale, ma richiede un’analisi volta a verificare, caso per caso, la natura del provento, l’Istante ha evidenziato come l’ammontare dell’investimento dei manager, che risulta essere pari ad un minimo di 1,8 ed un massimo di 3,1 volte lo stipendio annuo fisso lordo di ciascuno, equivale ad un importo tangibile investito e risulta idoneo ad allineare la posizione dei dipendenti/amministratori a quella degli altri investitori.
L’esposizione al rischio di perdita dei manager sarebbe ulteriormente comprovata dall’assenza di accordi (tra l’Istante, la SGR, i manager e lo Schema di Investimento) che garantiscano loro il diritto al rimborso del capitale investito. Anche il contratto di put option stipulato prevede, in caso di esercizio, la corresponsione di un prezzo per le Quote A1 pari al net asset value (ovvero il fair market value, in considerazione della modalità di determinazione del valore delle quote dello Schema di Investimento), senza garantire la restituzione degli importi investiti.
Inoltre l’Istante ha sottolineato l’adeguatezza della retribuzione dei manager rispetto allo standard del settore; in particolare, la retribuzione dei manager è caratterizzata dalla coesistenza di una remunerazione fissa e una variabile, adeguatezza che comporterebbe che i proventi da carried interest non possano qualificarsi come un’integrazione dei compensi dei manager.
Da ultimo, le clausole di leavership previste dal regolamento del fondo feeder e negli accordi tra manager e SGR garantiscono, in ogni caso, il mantenimento del carried interest già realizzato e nei casi di good leaver anche di quello maturato fino alla cessazione del rapporto di lavoro.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i « proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».
La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero:
«a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;
c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».
Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria.
La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E ha chiarito che la carenza di uno o più dei presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l’automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un’analisi volta a verificare, caso per caso, l’idoneità dell’investimento a determinare quell’allineamento citato che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria.
A tale proposito, il richiamato documento di prassi ha chiarito che l’eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l’attività lavorativa svolta da parte del manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito in questione; ed altresì che un ulteriore criterio di valutazione è nell’idoneità dell’investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la conseguente esposizione di quest’ultimo al rischio di perdita del capitale investito. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano in senso negativo sulla posizione di rischio del manager mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso.
Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all’impegno profuso dal manager nell’attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro). Non può escludersi, tuttavia che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali ad esempio l’esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento. Viceversa, consentire al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un’indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l’attività lavorativa del manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione.
Per quanto concerne il caso in esame, con particolare riferimento al rispetto del requisito di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, ovvero all’impegno di investimento minimo da parte dei titolari di diritti patrimoniali rafforzati, si rileva che, in ragione di quanto affermato dall’Istante, tale requisito non può considerarsi integrato, in quanto non è in grado di verificare se l’ammontare sottoscritto dai manager a livello di Schema di Investimento superi la soglia dell’1 per cento.
Non essendo soddisfatto il primo requisito, come detto, la qualificazione fiscale dei proventi derivanti dalle Quote B quali reddito di capitale non opera ope legis e, conseguentemente, si rende necessaria un’analisi delle caratteristiche delle quote con diritti patrimoniali rafforzati ai fini dell’individuazione della natura reddituale dei loro proventi.
Sebbene l’ammontare dell’investimento effettuato dai manager non possa considerarsi conforme al livello previsto dalla disposizione in esame, assume rilievo la circostanza che l’ammontare sottoscritto, sommando gli importi investiti da ciascuno in Quote A1 e in Quote B è rilevante sia perché risulta compreso tra un minimo di 1,8 ed un massimo di 3,1 volte della RAL da ciascuno percepita, sia in termini assoluti (perché pari a circa 2,6 milioni di euro complessivi).
Nella valutazione del piano di co-investimento assume rilievo altresì la circostanza che i manager, percepiscano una retribuzione annua fissa, una retribuzione variabile che per gli amministratori/dipendenti dell’Istante è pari ad una percentuale delle commissioni che vengono addebitate dall’Istante medesima ai fondi del Gruppo, mentre per gli amministratori della SGR, come una percentuale che varia in relazione alla performance aziendale e che non può eccedere il 150 per cento della retribuzione annua fissa lorda. L’Istante ha inoltre dichiarato che la suddetta retribuzione è adeguata rispetto allo standard del settore.
Per quanto riguarda, infine, l’esposizione al rischio di perdita del capitale investito dai manager, la stessa è ulteriormente comprovata dall’assenza di accordi (tra l’Istante, la SGR, i manager e lo Schema di Investimento) che garantiscano loro il diritto al rimborso del capitale investito. Anche l’eventuale esercizio della put option sulle Quote A1 non garantisce la restituzione degli importi investiti in quanto il prezzo di esercizio è pari al net asset value delle stesse.
Pertanto, alla luce degli elementi sopra esaminati e dell’assenza di clausole che ricolleghino l’extra rendimento allo svolgimento dell’attività lavorativa per un determinato periodo di tempo si ritiene che i proventi derivanti dall’investimento effettuato dai manager costituiscano redditi di capitale ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera g), del Tuir.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e delle qualificazioni effettate dal contribuente, assunte acriticamente così come illustrate nell’istanza di interpello in quanto non oggetto di valutazione in questa sede e nel presupposto della loro veridicità e correttezza.
Resta impregiudicato, ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria volto a verificare se lo scenario delle operazioni descritto in interpello, per effetto di eventuali altri atti, fatti o negozi ad esso collegati e non rappresentati dall’istante, possa condurre ad una diversa valutazione delle fattispecie oggetto di chiarimento.
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