AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 01 dicembre 2020, n. 565

Trattamento fiscale dei proventi derivanti da strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati (carried interest). Articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017,n. 50

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

Quesito

L’Istante è dipendente, in qualità di manager, della società Alfa che appartiene al Gruppo Beta (in seguito “Gruppo”).

Il Gruppo, costituito nel 2011 in Lussemburgo, è controllato da un fondo di private equity (di seguito, Fondo), gestito da Gamma (di seguito, General Partner) ed è operante in dieci diversi Paesi, offrendo servizi di formazione accademica e post lauream.

Nel 2018, il Gruppo ha attivato un Piano di incentivazione del proprio management che consiste nella possibilità di sottoscrivere diverse tipologie di “quote” di una società veicolo denominata Delta il cui valore risulta collegato all’andamento delle diverse società facenti parte del Gruppo.

Su indicazione degli organi amministrativi del Gruppo sono stati individuati i dipendenti ammessi a partecipare, nonché le quote (quantità e tipologia) che i partecipanti selezionati avrebbero potuto acquistare. Il prezzo di acquisto è stato determinato dalla parte venditrice tramite l’ausilio di advisor terzi, che hanno fatto ricorso a metodi di valutazione accettati in ambito internazionale. La valutazione così ottenuta è stata utilizzata in modo omogeneo a livello mondiale per tutti i dipendenti del Gruppo cui è stato riservato il diritto di investire in Delta.

Secondo quanto rappresentato nell’istanza, in base alle valutazioni effettuate da parte di Delta, la partecipazione dei manager al piano di investimento è pari complessivamente a circa il 2 per cento. I partecipanti possono essere chiamati ad effettuare versamenti ulteriori nel caso di aumenti di capitale deliberati dalla società.

Gli importi di tali versamenti sono determinati sempre al fair value. Tuttavia, in ordine alla base di commisurazione dell’investimento minimo, l’Istante, non potendo produrre piena dimostrazione documentale di quanto dichiarato, ha chiesto alla scrivente di pronunciarsi in merito alla vicenda prospettata, senza tenere in considerazione nella propria analisi valutativa la complessiva percentuale di partecipazione del management al capitale di Delta, non ritenendo tale elemento dirimente ai fini della determinazione della natura e della qualificazione fiscale di tali redditi.

Il piano di incentivazione non prevede l’obbligo per i partecipanti di detenere le quote per un periodo minimo quinquennale (cosiddetto holding period), e, di fatto, consente ai partecipanti la possibilità di “uscire” dal Gruppo, e dunque dal Piano in qualsiasi momento.

Nel caso di “uscita” di un partecipante prima del decorso di un periodo quinquennale, tuttavia, il Piano contempla – come meccanismo di penalizzazione – la presenza di clausole di leavership che prevedono una diversa valorizzazione dell’investimento del partecipante uscente in ragione della motivazione che ha determinato l’interruzione del rapporto di lavoro ed in ragione del periodo di partecipazione del manager al Piano.

Le quote in oggetto non possono essere liberamente trasferite, né date in pegno, né vincolate e “non attribuiscono diritti di voto, né il diritto a ricevere dividendi inizialmente e fino al rimborso della leva finanziaria”.

Nel caso in cui si verifichino uno o più eventi di liquidità (c.d. Exit) in capo alla società Delta, quali:

– l’ammissione alla quotazione sul mercato mediante un’offerta iniziale pubblica di acquisto;

– la vendita ad un soggetto terzo rispetto al Gruppo;

– la liquidazione;

“il Piano prevede un preciso ordine di distribuzione e prevede, altresì, la restituzione dell’investimento effettuato e un rendimento minimo garantito (“Cumulative dividend”) ad alcune categorie di titoli prima di procedere alla soddisfazione di altre categorie di quote aventi un minor grado di privilegio”.

Nel caso in cui si avveri una delle condizioni di Exit, il manager è obbligato a cedere le partecipazioni.

Più precisamente, i manager sono obbligati a cedere ovvero a realizzare le partecipazioni:

– all’avverarsi di condizioni di Exit sopra indicate; ed altresì

– nei casi in cui si qualifichino come “leaving manager”, vale a dire il manager che cessi di essere, per qualsiasi motivo, dipendente di una società del Gruppo. In questo caso, il Consiglio di Amministrazione di Delta sarà incaricato di indicare i soggetti ai quali le quote del manager uscente devono essere trasferite, il prezzo di cessione, nonché la qualifica dello stesso in termini di “Good Leaver” o “Bad Leaver”.

Il corrispettivo per la cessione della propria partecipazione cui il manager ha diritto è determinato come segue:

– nel caso di Exit, al manager spetterà un corrispettivo pari al fair value delle quote da lui detenute in Delta;

– nel caso di Good Leaver, al manager spetterà un corrispettivo pari al fair value delle quote da lui detenute in Delta in proporzione al numero di anni di detenzione delle stesse;

– nel caso di Bad Leaver, il prezzo corrisposto al manager sarà sempre pari al minore tra il costo di acquisizione e il fair value.

La partecipazione in Delta è composta da tre diverse macro-tipologie di quote, suddivise in differenti classi:

– “Preference”, coincidenti con le quote “Senior Preference Shares” e ” Preference Shares”;

– “Sweet equity”, coincidenti con le quote C;

– “Ordinario”, coincidenti con tutte le altre tipologie di quote, diverse dalle precedenti.

Le quote di tipo “Preference” sono principalmente possedute dai partecipanti al Fondo e solo in minima parte sono possedute dai manager, incluso l’Istante. Questa tipologia di quote ha una minima esposizione al rischio d’impresa e un rendimento sostanzialmente costante al variare del valore del Gruppo, in quanto garantisce un rendimento pari al 10,75 per cento annuo e la soddisfazione prima di ogni altra tipologia di quote.

Le quote di tipo “Ordinario”, invece, rispetto alla classe precedente presentano un minor grado di privilegio ed un rendimento garantito inferiore (6%, 5%, 4% e 3%), in quanto tale rendimento è maggiormente ancorato alla crescita del valore di Delta.

Le quote di tipo “Sweet equity “, o quote di tipo C, sono destinate prevalentemente ai manager, alle stesse non è riservata alcuna garanzia di rendimento ed è riservato il più basso grado di privilegio. A tali quote “viene destinata, in misura proporzionale tra loro, la spartizione degli utili eccedenti il rendimento garantito” alle quote “Ordinarie” e “Preference”.

Dalla presenza di quote aventi un rendimento sostanzialmente fisso e dal meccanismo di ripartizione dei proventi in caso di vendita, l’Istante deduce indirettamente che ci troviamo in presenza di quote con diritti patrimoniali rafforzati.

Più precisamente, laddove si riservi alle quote di tipo “Preference ” un rendimento solo in minima parte correlato rispetto al valore/andamento della società, la remunerazione ad esse garantita rappresenterebbe il c.d. hurdle rate. A tali quote, quindi, a parere dell’Istante, non è associato alcun diritto patrimoniale rafforzato.

Con riferimento, alle quote di tipo “Ordinario” è riservato in parte un rendimento garantito ed in parte, in misura crescente, un rendimento variabile e dipendente dall’andamento del valore di Delta.

Per quanto riguarda le quote di tipo C o “Sweet equity”, invece, non è prevista alcuna remunerazione fissa o garantita. “Tali quote, infatti sono destinatarie della ripartizione degli utili derivanti dalla vendita, una volta soddisfatte tutte le altre tipologie di quote, le quali, come sopra esposto, garantiscono una remunerazione fissa e disancorata rispetto al valore di Delta. Per questo motivo le quote di tipo C, in presenza di una crescita significativa del Gruppo sono in grado di garantire una remunerazione più che proporzionale rispetto alla relativa partecipazione al capitale (per converso, in assenza di una crescita significativa, tali quote potrebbero comportare un rendimento meno che proporzionale rispetto alla relativa quota di partecipazione al capitale o persino una perdita del capitale investito dai manager)”.

Pertanto, l’Istante “ritiene che le quote di tipo “Sweet equity” siano portatrici di diritti patrimoniali rafforzati, così come le quote di tipo ordinario, seppur in misura differente”.

Ciò premesso, in data gg/mm/aaaa, l’Istante ha acquistato dal Fondo, ad un prezzo complessivamente pari a euro xxx, diverse tipologie di quote della Delta.

Con riferimento alle quote, che a parere dell’Istante hanno diritti patrimoniali rafforzati, vengono chiesti chiarimenti in merito alla qualificazione giuridica e al conseguente trattamento fiscale da riservare ai redditi derivanti dalla loro vendita ancorché con riferimento ad esse non possa trovare applicazione la presunzione legale prevista dall’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 atteso che non risultano soddisfatte tutte e tre le condizioni previste dalla citata norma.

Più precisamente, viene chiesto di conoscere se i redditi conseguiti in qualità di partecipante al Piano, pari all’eventuale differenza positiva di valore dell’investimento tra la data di acquisto delle quote di Delta e la successiva data di vendita delle stesse, configurino un capital gain e come tale siano da tassare ai sensi degli articoli 67 e 68 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir).

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

L’Istante ritiene che la plusvalenza realizzata in seguito alla vendita delle quote aventi diritti patrimoniali rafforzati di Delta sia da inquadrare fra i redditi diversi, e, come tale, da tassare ai sensi degli articoli 67 e 68 del Tuir, con l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento.

A conferma della soluzione interpretativa prospettata, l’Istante richiama i chiarimenti contenuti al paragrafo 4 della Circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E con riferimento alla ipotesi di partecipazioni con diritti patrimoniali rafforzati che non rientrino nella presunzione legale dell’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.

In particolare, l’Istante sottolinea la rilevanza rispetto al salario dell’importo versato per la sottoscrizione delle quote in esame e l’assenza di clausole di salvaguardia a favore del suo investimento.

L’Istante dichiara, inoltre, di percepire dal proprio datore di lavoro una remunerazione congrua rispetto alla posizione da lui ricoperta all’interno del Gruppo, comprensiva anche di una parte variabile.

A parere dell’Istante, infine, la circostanza che la cessazione del rapporto di lavoro con una società del Gruppo implichi che il manager sia costretto a vendere le quote e la presenza di clausole di Good Leaver e Bad Leaver, non costituirebbero elementi sufficienti a qualificare i redditi derivanti dalla partecipazione in oggetto come redditi di lavoro dipendente.

Parere dell’Agenzia delle entrate

L’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, stabilisce, al comma 1, che «I proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio percepiti da dipendenti e amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».

La qualificazione come reddito di capitale o diverso, stabilita dalla norma, opera in presenza di determinati requisiti di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 della medesima disposizione, ovvero:

«a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;

b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;

c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».

La disposizione è diretta ad evitare le incertezze nella qualificazione reddituale dei proventi in discorso come redditi derivanti da attività lavorativa piuttosto che come redditi di natura finanziaria, incertezze derivanti dal duplice ruolo rivestito dal manager, al contempo amministratore/dipendente ed azionista/quotista delle società, degli enti o degli OICR richiamati dalla stessa norma.

Come chiarito nella circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E, tale presunzione legale di qualificazione del reddito, volta a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e management e la correlata esposizione al rischio di perdita del capitale investito, opera esclusivamente in riferimento ai proventi derivanti da strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati, e non riguarda il reddito derivante dalla assegnazione degli stessi, ricompreso – in base ai principi generali desumibili dall’articolo 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) – tra i redditi di lavoro dipendente. Come illustrato nella relazione di accompagnamento al decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento degli interessi e rischi dei manager rispetto a quelli degli altri investitori ai fini di una comune assunzione e condivisione del rischio societario. Tale allineamento costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi disciplinati dalla disposizione in commento ai redditi di natura finanziaria (di capitale o diversi), assimilazione che la norma opera a prescindere da qualsiasi legame con l’attività lavorativa prestata dai manager o dipendenti presso la società, ente od OICR.

Ciò premesso, nel caso di specie, l’Istante assume che le quote di tipo “Ordinario” e di tipo C (“Sweet Equity”) detenute siano strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati e in quanto tali possano essere astrattamente ricondotti alla previsione di cui all’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017.

Tuttavia, l’Istante non è in grado di dimostrare che risulti integrato il requisito dell’investimento minimo di cui alla lettera a) e rappresenta che il requisito del holding period di cui alla successiva lettera c) non è rispettato in quanto il Piano di incentivazione non prevede l’obbligo per i partecipanti di detenere le quote per un periodo minimo quinquennale, consentendo agli stessi di “uscire” in qualsiasi momento dal Piano, cedendo le quote di Delta.

Come chiarito nella citata circolare n. 25/E del 2017, il mancato rispetto dei parametri fissati dalla disposizione citata pone la questione della qualificazione reddituale dei proventi rivenienti da siffatti strumenti. Se l’integrazione dei requisiti previsti attribuisce, infatti, all’emolumento natura finanziaria per presunzione di legge ed esclude in ogni caso che esso possa rappresentare una remunerazione dell’attività lavorativa prestata dal manager, al contrario l’assenza di una delle condizioni richieste non comporta quale conseguenza l’automatica riqualificazione del provento come reddito da lavoro.

L’analisi volta alla qualificazione reddituale degli importi in esame richiede una verifica della natura del provento, al fine di stabilire se esso sia effettivamente collegato all’assunzione del rischio derivante dall’investimento, o se viceversa rappresenti un compenso per l’attività lavorativa prestata.

La natura di retribuzione correlata alla prestazione lavorativa del manager non può venir meno in considerazione dell’aleatorietà del provento erogato solo se il fondo o la società genera profitti che superano un “livello minimo di rendimento” (cd. hurdle rate), atteso che analoga incertezza sussiste anche per la retribuzione variabile incentivante.

Per altro verso, l’attribuzione a manager e dipendenti di utili più che proporzionali al valore della partecipazione al capitale, laddove finalizzata ad allineare i loro interessi a quelli degli investitori, porterebbe a considerare tali proventi “utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti” di cui all’articolo 44, comma 1, lettera e) del Tuir, o, in caso di cessione, redditi diversi di natura finanziaria.

Come illustrato nella relazione di accompagnamento al decreto, gli strumenti con diritti patrimoniali rafforzati, “nella prassi denominati carried interest, comportano una partecipazione agli utili proporzionalmente maggiore rispetto a quelli degli altri investitori, generalmente a fronte dell’assenza di diritti amministrativi, dell’esistenza di temporanei vincoli alla trasferibilità e della postergazione nella distribuzione degli utili, in quanto potranno assumere rilevanza concreta solo se gli investimenti daranno complessivamente luogo a risultati economici al di sopra di determinate soglie”. I diritti patrimoniali rafforzati cui la norma fa riferimento si configurano quale diritto a ricevere una parte dell’utile complessivo generato dall’investimento in misura più che proporzionale all’investimento stesso e ordinariamente presuppongono che la generalità dei soci abbia ottenuto il rimborso del capitale investito oltre ad un rendimento adeguato, definito nella prassi “hurdle rate”.

Ciò premesso, con riferimento agli importi riconosciuti in sede di cessione o realizzo delle quote in oggetto, in occasione di eventi di liquidità o di cessazione del rapporto di lavoro, assume rilievo in primis la circostanza che tali quote non possono essere mantenute in capo al manager in tutte le ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro.

Consentire al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, costituisce un’indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l’attività lavorativa del manager ed è indice della natura finanziaria del reddito in questione.

Diversamente da dette ipotesi, invece, nel caso di specie, è esplicitamente previsto un obbligo di cessione a determinati soggetti e secondo le modalità stabilite dal Consiglio di Amministrazione di tutte le quote detenute in adesione al Piano di incentivazione, non solo nelle ipotesi in cui si realizzi un evento liquidità, ma soprattutto in occasione della cessazione, per qualsiasi motivo, del rapporto di lavoro. In tale ipotesi, il Piano prevede delle clausole di “Leaver”. In particolare, nel caso in cui il manager si qualifichi quale “Good Leaver”, gli è riconosciuto il pagamento delle quote al fair value per una percentuale di quote via via crescente in funzione degli anni di detenzione delle stesse, mentre alle restanti quote verrà riconosciuto l’importo più basso tra il costo e il fair value.

Dalla documentazione prodotta, si rileva che il prezzo di cessione delle quote possedute dal manager uscente è determinato dal Consiglio di Amministrazione sentito l’Amministratore Delegato sulla base di un principio di ragionevolezza e buona fede (“reasonably and in good faith”). Pertanto si ritiene che la valutazione delle quote sia discrezionale e non ancorata a criteri oggettivi.

La circostanza che l’Istante definisce tale meccanismo una forma di ” penalizzazione” e la discrezionalità con la quale è determinato il fair value, porta a presumere che in caso di “Good Leaver” tale valore sia verosimilmente sempre maggiore del costo di acquisto delle quote.

La previsione di questo meccanismo crescente e progressivo, che garantisce un ritorno più favorevole dell’investimento ancorato al decorrere del tempo, porta a ritenere che la relativa remunerazione sia legata alla prestazione lavorativa svolta nel tempo.

La presenza delle clausole descritte sembra non avere come naturale risultato quello di allineare interessi e rischi del manager a quella degli altri investitori, in coerenza con quanto richiesto dalla normativa e dalla prassi di riferimento.

La circostanza che il manager sia obbligato a cedere la quota di partecipazione in Delta, in caso di interruzione del rapporto di lavoro, il meccanismo volto a penalizzare la fuoriuscita dal Piano di incentivazione e la discrezionalità della determinazione del prezzo di vendita delle quote porta ad escludere che i proventi in questione rappresentino una modalità di remunerazione del capitale investito inquadrabile tra i redditi di natura finanziaria, svolgendo, piuttosto, la funzione di integrare la retribuzione lavorativa dell’Istante.

Di conseguenza, l’eventuale plusvalenza realizzata, in occasione della cessione delle quote, costituirà reddito da lavoro dipendente e dovrà essere assoggettata a tassazione secondo il disposto dell’articolo 51 Tuir. Si precisa, infine, che parimenti eventuali proventi, medio tempore, distribuiti e collegati al possesso delle quote di Delta saranno da assoggettare alla normale tassazione IRPEF prevista per il reddito da lavoro dipendente.

Il presente parere è fornito sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello e nella risposta alla richiesta di documentazione integrativa, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.