CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 agosto 2013, n. 20036
Cessione di immobile strumentale – Risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario venditore – Immobile indicato come bene personale – Difformità del regime fiscale indicato – Assoggettabilità ad IVA – Art. 1455 codice civile
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Con citazione notificata il 12 ottobre 1998 i coniugi P. -T. convennero G.T. innanzi al Tribunale di Trani, per ivi sentir dichiarare risolto, per inadempimento del convenuto, il contratto preliminare con lo stesso concluso in data 25 luglio 1997, contratto avente ad oggetto la vendita di un locale in Terlizzi. Dedussero che il promissario non si era presentato alla data fissata per la stipula del rogito.
Costituitosi in giudizio, il T. contestò le avverse pretese, sostenendo che il preliminare doveva ritenersi risolto per esclusivo inadempimento degli attori. Affermò che il P. gli aveva nascosto sia che l’immobile era bene strumentale dell’impresa familiare, soggetto, come tale, ad IVA, sia che lo stesso apparteneva anche a sua moglie. Chiese, pertanto, in via riconvenzionale, la restituzione dell’acconto versato e il risarcimento dei danni.
2. Con sentenza del 7 marzo 2004 il giudice adito accolse le domande di risoluzione e di risarcimento del danno formulate dal P., mentre rigettò la riconvenzionale spiegata dal T..
Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello di Bari lo ha respinto in data 23 novembre 2010.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte G.T., formulando tre motivi.
Resiste con controricorso G.P..
3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall’art. 360 bis, inserito dall’art. 47, comma 1, lett. a) della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi rigettato.
Queste le ragioni.
4. Con il primo motivo di ricorso, l’impugnante denuncia violazione dell’art. 1453 cod. civ., ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Oggetto delle critiche è l’affermazione del decidente secondo cui non era stata censurata per intero la motivazione del giudice di prime cure, con riferimento, in particolare, alla importanza dell’inadempimento. Deduce per contro l’esponente, riportando il pedissequo passaggio argomentativo sviluppato nell’atto di appello, che egli aveva segnatamente denunciato come il P., assunto nel preliminare l’obbligo di fare acquistare al promissario la proprietà di tutto l’immobile, che in realtà apparteneva anche alla moglie, non aveva alla data fissata per la stipula del rogito, comunicato alla controparte di essere in condizione di adempiere. Per altro verso, dalla compiuta istruttoria era emerso che il giorno 7 ottobre 1998 la moglie del promittente non era presente nello studio notarile, di talché la vendita non avrebbe comunque potuto aver luogo.
Secondo l’esponente, la gravità di tale inadempimento sarebbe assolutamente indiscutibile e tale da assorbire anche la ritenuta conoscenza, da parte sua, della comproprietà del bene in capo alla signora T.. Aggiunge che, in ogni caso, tale conoscenza era stata apoditticamente affermata dalla Corte territoriale, in contrasto con le emergenze istruttorie.
Sostiene infine che, a tutto voler concedere, nella fattispecie erano ravvisabili inadempimenti reciproci delle due parti, di talché, in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità, le domande di risoluzione binc et inde proposte, avrebbero dovuto essere rigettate. Con il secondo mezzo, lamentando violazione dell’art. 1453 cod. civ., nonché vizi motivazionali, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., l’impugnante contesta la ritenuta irrilevanza della mancata comparizione della moglie del Pagano innanzi al notaio rogante nel giorno fissato per la sottoscrizione del rogito.
Con il terzo motivo di ricorso, prospettando violazione degli artt. 1362, 1497 e 1453 cod. civ., nonché mancanza di motivazione, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., il ricorrente critica l’affermazione del giudice di merito secondo cui l’assoggettabilità al regime fiscale IVA del bene promesso in vendita non avrebbe potuto condurre alla declaratoria di risoluzione del contratto per colpa del promittente venditore, mancando il requisito della gravità dell’inadempimento. Assume per contro che le parti, cristallizzando nel preliminare la qualità di bene personale dell’immobile promesso in vendita, avevano con ciò attribuito alla stessa carattere essenziale.
5. I primi due motivi, che si prestano a essere esaminati congiuntamente per la loro intrinseca connessione, sono privi di pregio.
Dalla sommaria esposizione dei fatti di causa contenuta in ricorso (confr. pagg. 5 e 6), si evince che il giudice di prime cure aveva ritenuto tout court inesistente il preteso inadempimento, consistente nella sottoscrizione del preliminare da parte del solo P., mentre solo con riferimento al regime fiscale del cespite promesso in vendita aveva negato la sussistenza del requisito della non scarsa importanza dello stesso, di cui all’art. 1455 cod. civ.
Ne deriva che le critiche del ricorrente sono, in parte qua, eccentriche rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento al preteso inadempimento connesso a tale ultimo profilo della vicenda dedotta in giudizio, e l’impugnante, invece, alla impossibilità del P. di trasferire al T. l’intero immobile promesso in vendita.
6. Quanto poi all’affermata irrilevanza dell’assenza, nel preliminare, di ogni riferimento all’appartenenza del cespite anche alla moglie del promittente, il giudice di merito ha adeguatamente esplicitato le ragioni per le quali la circostanza della comproprietà dell’immobile doveva comunque ritenersi nota al T., chiarendo altresì che la mancata comparizione della moglie il giorno fissato per la stipula non si prestava a essere valutata in termini di inadempimento, avendo il promissario già preannunciato la sua assenza ed essendo lo studio notarile, in ogni caso, facilmente raggiungibile. Ora, tali argomentazioni, corrette sul piano logico e giuridico, esenti da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, resistono alle critiche dell’impugnante, le quali appaiono in definitiva volte a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.
Non è superfluo peraltro ricordare che, questa Corte ha ripetutamente statuito che al contratto preliminare di compravendita di cosa parzialmente altrui si applica la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 cod. civ., con la conseguenza che il promittente venditore resta obbligato, oltre che alla stipula del contratto definitivo per la quota di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente, oppure facendo in modo che il comproprietario addivenga alla stipulazione definitiva, di talché un siffatto contratto preliminare, perfettamente valido, benché insuscettibile di esecuzione in forma specifica per via giudiziale ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., rimane assoggettato all’ordinario regime risolutorio per il caso di inadempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore (confr. Cass. civ. 29 dicembre 2010, n. 26367; Cass. civ. 10 giugno 2010, n. 13987).
7. Privo di pregio appare altresì il terzo motivo di ricorso.
L’assunto che l’assenza, nel preliminare, di ogni riferimento al regime fiscale dell’immobile promesso in vendita andrebbe inteso come pattuizione del carattere di bene personale dello stesso, costituente una qualità essenziale del cespite, è specioso e privo di qualsivoglia riscontro.
Piuttosto è principio di comune esperienza che chi acquista assuma informazioni sugli esborsi accessori ai quali va incontro e, in particolare, sull’ammontare delle imposte connesse al trasferimento del bene.
In tale contesto la valutazione in termini di non gravità del preteso inadempimento del promittente, in quanto congniamente motivata, è giudizio di stretto merito, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità”.
Il collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, che non sono in alcun modo infirmate dalle deduzioni svolte nella memoria di parte ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Segue la condanna dell’impugnante al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 2.500,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.
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