CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2017, n. 8797
Tributi – Imposta di registro – Avviso di rettifica e liquidazione – Acquisto di rami d’azienda televisivi – Maggior valore – Parametro del “valore per utente raggiunto dal segnale” – Insufficiente – Illegittimità dell’avviso
Svolgimento del giudizio
‘R.’ spa propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 46/40/12 del 9 marzo 2012 con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di rettifica e liquidazione notificatile dall’Agenzia delle Entrate per maggiore imposta di registro e sanzioni; ciò in relazione ad alcune acquisizioni 2005 di rami aziendali dalle società ‘T.R.C. S.p.A.’, ‘A.P.S.’ e ‘T. Srl’. La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto corretto il criterio di rettificazione applicato dall’ufficio in ragione del ‘valore per utente raggiunto da segnale televisivo’, così come comparativamente desunto da due perizie relative ad analoghe compravendite di rami d’azienda televisivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. R. ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. L’istanza di rinvio dell’udienza di discussione avanzata dal difensore di parte ricorrente (comunque rappresentato su delega) non può trovare accoglimento; non risultando allegato né uno specifico e circostanziato impedimento, né il suo carattere assoluto e cogente.
2. Con il primo motivo di ricorso R. A. lamenta – ex art. 360, 1^ co. n. 5 cod.proc.civ. – omessa motivazione sulla dedotta incongruità e non rispondenza agli articoli 51 e 52 d.P.R. 131/86, della ‘modalità di determinazione’ del maggior valore dei rami aziendali, così come recepita dall’agenzia delle entrate (con esclusivo richiamo al ‘valore per utente raggiunto dal segnale televisivo’) sulla base di due perizie relative a cessioni diverse; non rappresentative, nè comparabili alle cessioni dedotte in giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso R. formula analoga censura sotto il profilo dell’omessa motivazione sulla dedotta non correttezza del ‘metodo di calcolo’ adottato dall’ufficio impositore; inficiato da due perizie, da essa prodotte, delle quali la commissione tributaria regionale non aveva dato conto alcuno.
3. I due motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria per la loro intima connessione, sono fondati.
In ordine alla insussistenza dei presupposti economici legittimanti il maggior valore dei rami aziendali stabilito dall’ufficio negli avvisi di rettifica e liquidazione opposti, la società contribuente aveva dedotto – tanto in primo, quanto (su appello dell’ufficio) in secondo grado – le seguenti contestazioni:
a. (prima censura di cassazione) non rappresentatività dei valori desumibili dalle due compravendite di rami aziendali, relative a diverse aziende radiotelevisive, prese a comparazione dall’amministrazione finanziaria, in quanto: – (la prima) concernente il ‘valore per utente raggiunto dal segnale’ attribuibile ad un’emittente non locale (quali erano quelle fatte oggetto dei presenti accertamenti) ma nazionale; – (la seconda) recante un ‘valore per utente raggiunto dal segnale’ (di € 2,5) smentito da otto diverse compravendite da essa ricorrente effettuate, nel 2005, in condizioni del tutto analoghe a quelle oggetto di rettifica, ed attestanti un valore di molto inferiore (da 0,735 a 2,122 euro);
b. (seconda censura di cassazione) insufficienza di una valutazione che si esaurisse nella determinazione ‘a tavolino’ del ‘valore per utente raggiunto dal segnale’ senza considerare tutta una serie di altri concorrenti parametri di specificazione ed adattamento, così come evidenziati dal proprio consulente ing. M. nelle perizie, prodotte in giudizio, da questi elaborate per ciascuno dei rami di azienda oggetto di rettifica, ed attestanti la sostanziale correttezza del valore aziendale dichiarato negli atti di trasferimento: – valore dell’area di copertura sotto l’aspetto non solo demografico, ma anche del potenziale commerciale e pubblicitario; – valore tecnologico degli impianti e stato interferenziale delle frequenze interessate dalla cessione; – importanza strategica della postazione utilizzata in rapporto alla presenza di impianti alternativi sul territorio; – moltiplicazione del ‘valore unitario per utente raggiunto dal segnale’ non già per la popolazione anagrafica come risultante dal censimento Istat 2001, bensì per la sola popolazione concretamente raggiungibile dal segnale televisivo delle emittenti acquistate.
Non vi è dubbio che queste contestazioni – non palesemente strumentali, in quanto assistite da argomentate perizie tecniche e produzione di cospicua documentazione di supporto, oltre che già valorizzate dal primo giudice – investissero direttamente un punto decisivo della controversia fatto oggetto di contraddittorio tra le parti; perché volte a far emergere l’illegittimità dell’operato dell’ufficio impostore nell’adozione sia di modalità di determinazione del maggior valore aziendale facenti esclusivo riferimento al parametro del ‘valore per utente raggiunto dal segnale’, sia di un metodo di calcolo di tale valore che non considerava plurimi fattori di influenza emergenti nella specificità dei rami aziendali acquistati.
Si trattava, in definitiva, di contestazioni incentrate sulla verifica della corretta applicazione, nella concretezza della fattispecie, del criterio fondamentale di cui al quarto comma dell’articolo 51 d.P.R. 131/86, secondo cui il valore delle aziende dedotte nell’atto assoggettato a registrazione “è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento (…)”
Orbene, a fronte di ciò, la commissione tributaria regionale ha ritenuto di accogliere in toto l’appello dell’ufficio sulla base della seguente ed esclusiva argomentarne, resa dopo aver succintamente ricostruito le posizioni di ciascuna parte: “considerato quanto sopra, si ritiene che l’ufficio abbia utilizzato un metodo di calcolo corretto e che le diverse circostanze riscontrabili nella relazione M. non abbiano efficacia probatoria per modificare i parametri valutativi usati dall’ufficio”.
Si tratta di affermazione apodittica che non dà conto, in quanto tale, del percorso logico e della ricostruzione delle risultanze di causa che hanno formato il convincimento del giudice di appello. L’assoluta mancanza di qualsivoglia argomento volto a confutare i motivi di opposizione dedotti dalla società contribuente denota, anzi, una situazione in tutto assimilabile alla motivazione apparente ovvero omessa; il che è emblematico là dove la CTR non spiega minimamente ‘perché’ abbia ritenuto che la relazione M. e gli altri elementi addotti dalla contribuente non avessero ‘efficacia probatoria atta a modificare i parametri’ dell’ufficio.
Diversamente da quanto sostenuto dalla agenzia delle entrate nel proprio controricorso, le censure in esame non mirano ad inammissibilmente ottenere, nella presente sede di legittimità, una riconsiderazione di elementi fattuali e probatori; bensì a far constare un’ipotesi tipica di vizio di motivazione rilevante ex art. 360, 1° co. n. 5 cod.proc.civ. (nella previgente formulazione, qui applicabile ratione temporis).
Ipotesi riscontrabile allorquando, nel ragionamento del giudice di merito, non sia rinvenibile traccia del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione; con totale ed immotivata obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione (tra le molte: Cass. n. 8718 del 27/04/2005; Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013; Cass. n. 12799 del 6/6/2014).
La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione; la quale riprenderà nuovamente in esame la fattispecie, dando congruamente conto degli argomenti tecnico-giuridici di opposizione mossi dalla società contribuente agli avvisi contestati, nonché delle risultanze peritali da quest’ultima prodotte.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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