Corte di Cassazione sentenza n. 10478 del 22 giugno 2012
LAVORO SUBORDINATO – CONTRATTO COLLETTIVO DI LAVORO – CONTRATTO A TERMINE
massima
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Le assunzioni disposte ai sensi dell’art. 23 della L. 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre alle fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della L. 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche nonché dall’art. 8bis del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella L. 25 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizioni di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso notificato il 17-18 febbraio 2011, la s.p.a. (OMISSIS) chiede con otto motivi, la cassazione della sentenza pubblicata il 19 febbraio 2010, con la quale la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado di dichiarazione della nullita’ del termine apposto ai contratti di lavoro subordinato stipulati con (OMISSIS) dal 4 luglio al 30 settembre 2000, ai sensi dell’articolo 8 del C.C.N.L. del 1994 per “la necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza dell’assenza per ferie”, dal 1 ottobre 2001 al 31 gennaio 2002, ai sensi dell’articolo 25 del C.C.N.L. del 2001 per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio…”; e dal 2 maggio al 30 giugno 2002, ai sensi del Decreto Legislativo n. 368 del 2001 “per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”. Alla dichiarazione di nullita’ del termine apposto ai tre contratti di lavoro e’ seguita la loro conversione in un contratto a tempo indeterminato fin dal 4 luglio 2000 e la condanna della societa’ a risarcire alla lavoratrice i danni in misura equivalente alle retribuzioni perse dal momento della offerta alla societa’ della sue prestazioni lavorative.
Resiste alle domande (OMISSIS) con rituale controricorso.
I motivi di ricorso riguardano:
1 – la violazione della Legge n. 230 del 1962, articoli 1 e 2 e della Legge n. 56 del 1987, articolo 23 con riguardo ai primi due contratti a tempo determinato;
2 – la violazione della Legge n. 230 del 1962, articolo 1, comma 2, lettera b) e articolo 3, articolo 8 del C.C.N.L. 26 novembre 1994, della Legge n. 56 del 1987, articolo 23 e vizio di motivazione, quanto al primo contratto;
3 – la violazione della Legge n. 65 del 1987, articolo 23, articolo 25 C.C.N.L. 11.1.01 e articolo 1362 c.c. e segg. e Legge n. 230 del 1962, articolo 3 quanto al secondo contratto a tempo determinato;
4 – la violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, comma 1, articolo 2 e articolo 4, comma 2, articolo 12 preleggi, articolo 1362 c.c. e segg., articolo 1325 c.c. e segg. con riguardo al terzo contratto a tempo determinato;
5 – il vizio di motivazione sul tema oggetto del motivo precedente;
6 – la violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 4, comma 2, articolo 2697 c.c., articoli 115, 116, 244, 253 c.p.c., articolo 421 c.p.c., comma 2, ancora con riferimento al terzo contratto;
7 – il vizio di motivazione quanto alla ritenuta inammissibilita’ di un capitolo di prova testimoniale riguardante il terzo contratto;
8 – la violazione degli articoli 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099 e 2697 cod. civ., quanto alle conseguenze economiche della ritenuta conversione del contratto a tempo indeterminato, in ordine alle quali la societa’ ha richiesto l’applicazione dello ius superveniens rappresentato dalla disciplina di cui alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, commi 5-7.
Il procedimento e’ regolato dall’articolo 360 c.p.c., e segg. con le modifiche e integrazioni successive, in particolare quelle apportate dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69.
Il relatore ritenendo che il ricorso potesse essere trattato in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., ha redatto una relazione, con la quale affermava la non pertinenza del primo motivo di ricorso e quanto agli altri rilevava.
Anzitutto rilevava la non pertinenza del primo motivo del ricorso e l’inammissibilita’-improcedibilita’ del secondo e del terso per la mancata integrale produzione dei C.C.N.L. invocati del 1994 e del 2001, ritenendo assorbiti gli altri motivi di ricorso, salvo l’ultimo relativo all’applicazione dello ius superveniens con efficacia sui processi in corso, rappresentato dalla Legge n. 183 del 2101, articolo 32, commi 5-7.
Notificata la relazione alle parti, la societa’ ha depositato una memoria per richiamare l’attenzione del collegio sul fatto che se anche la produzione dei contratti collettivi del 1994 e del 2001 non e’ indicata come effettuata nel corpo del ricorso o nelle conclusioni, essa risulta dalla nota di deposito e di iscrizione a ruolo dell’8 marzo 2011, della qual cosa il collegio da atto.
Procedendo pertanto all’esame del ricorso, va preliminarmente respinta la deduzione della controricorrente di inammissibilita’ di quelli di diritto per mancata adeguata formulazione dei relativi quesiti di diritto, che sarebbero imposti a pena di inammissibilita’ dall’articolo 366-bis c.p.c..
Tale norma e’ stata infatti abrogata dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 47, comma 1, lettera d) con effetto sui ricorsi avverso sentenze pubblicate, come nel caso in esame, successivamente alla data del 3 luglio 2009 (Legge cit. articolo 58, comma 5).
Va poi ribadito che la censura di cui al primo motivo non corrisponde alle reali ragioni della pronuncia della Corte territoriale in ordine alla nullita’ del termine apposto ai primi due contratti, non avendo questa in alcun modo affermato che la Legge n. 56 del 1987, articolo 23 imponga un limite temporale all’esercizio del potere dei contraenti collettivi ivi previsti di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro.
Quanto al secondo motivo di ricorso, esso e’ fondato.
Va infatti premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, ad es., Cass. n. 6913/09), la Legge 28 febbraio 1987, n. 56, articolo 23 ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro subordinato, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla Legge n. 230 del 1962 e soggette, di per se’, unicamente agli eventuali limiti e condizionamenti stabiliti dalla legge che ne prevede l’individuazione o dalla medesima contrattazione collettiva.
Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive puo’ essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessita’, contrariamente a quanto sostenuto col ricorso, di un accertamento a posteriori in ordine alla effettivita’ delle stesse.
E’ stato infine ripetutamente accertato che questa ultima evenienza ricorre nella previsione dell’articolo 8 del contratto collettivo nazionale di lavoro postale del 1994, di contenuto identico all’articolo 25 del C.C.N.L. del 2001 con riguardo alla causale relativa alla “necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, interpretata nel senso che con tale previsione le parti stipulanti hanno considerato che nel periodo indicato sia sempre necessaria per la societa’ l’assunzione di personale, data la normale assenza di personale in ferie, con la conseguenza che in tale ipotesi non e’ necessaria l’indicazione nel contratto del nominativo del lavoratore sostituito e non e’ configurabile alcun onere di allegazione e prova della effettivita’ della esigenza e della idoneita’ della singola assunzione a far fronte ad essa (cfr., ad es. Cass. n. 18687/08), essendo comunque sufficiente il rispetto della ed. clausola di contingentamento, vale a dire della percentuale massima di contratti a termine rispetto al numero dei rapporti a tempo indeterminato stabilita a livello collettivo, in adempimento di quanto imposto dalla Legge n. 56 del 1987, articolo 23.
Nell’esaminare il primo contratto di lavoro a tempo determinato, la Corte territoriale non si e’ attenuta a tali principi.
Anche il terzo motivo di ricorso e’ fondato nei termini che seguono.
In proposito, l’articolo 25 del C.C.N.L. (mantenuto efficace ai sensi e nei limiti indicati dal citato Decreto Legislativo n. 368, articolo 11) individua (comma 1), come era autorizzato a fare dalla Legge n. 56 del 1987, articolo 23, una autonoma causale di possibile apposizione di un termine al contratto di lavoro nella complessa riorganizzazione della societa’ espressa con la frase riprodotta nel contratto individuale di lavoro ed affida il controllo della persistenza nel tempo di una siffatta esigenza alla base dei futuri contratti a tempo determinato a procedure di confronto sindacale (commi 2 e 3).
Il raccordo tra la prima parte della norma collettiva che individua la causale e la seconda che istituisce un procedimento continuo di controllo sindacale antecedente la stipula di un certo numero di contratti individuali a termine assicura quella trasparenza del fenomeno, di cui la sentenza ha viceversa rilevato il difetto ove il contratto individuale si limiti unicamente a riprodurre il contenuto della clausola collettiva.
La Corte territoriale, in tale ottica, ha pertanto omesso di esaminare, con riguardo alla esistenza o non di un tale confronto, l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato alla societa’ ricorrente a sostegno della valutazione sindacale di persistenza per tutta la durata del contratto collettivo (un anno) di processi che renderebbero necessario il ricorso a contratti a termine.
Per tali ragioni, il motivo merita accoglimento.
Anche il quarto motivo e’ fondato.
Il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, articolo 1 relativo alla “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES”, stabilisce ai primi due commi:
“1 – E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
2 – L’apposizione del termine e’ priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1″. In proposito, questa Corte ha gia’ ripetutamente affermato (cfr., ad es. Cass. n. 2279/10) che con l’espressione sopra riprodotta, di chiaro significato gia’ alla stregua delle parole usate, il legislatore ha infatti inteso stabilire un vero e proprio onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, perseguendo la finalita’ di assicurare la trasparenza e la veridicita’ di tali ragioni nonche’ l’immodificabilita’ delle stesse nel corso del rapporto (cosi’ Corte Costituzionale sent. 14 luglio 2009 n. 214).
Il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida tipicizzazione delle causali che consentono l’apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro (in parte gia’ oggetto di ripensamento da parte del legislatore precedente), in favore di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), cui ricondurre le singole situazioni legittimanti come individuate nel contratto, si e’ infatti posto il problema, nel quadro disciplinare tuttora caratterizzato dal principio di origine comunitaria del contratto di lavoro a tempo determinato (cfr., in proposito, Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) del possibile abuso insito nell’adozione di una tale tecnica.
Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell’istituto, il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilita’ e la verificabilita’ della causale assunta a giustificazione del termine, gia’ a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contento che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e piu’ in generale circostanziale.
In altri termini, per le finalita’ indicate, tali ragioni giustificatrici devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell’effettiva portata delle stesse e quindi il controllo di effettivita’ delle stesse.
Il collegio ritiene peraltro che siffatta specificazione delle ragioni giustificatrici del termine puo’ risultare anche indirettamente (esplicitamente, Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, comma 2) nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessita’ e la articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che e’ alla base della esigenza di assunzioni a termine, questo risulti analizzato in documenti specificatamente ad esso dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o concordata con i rappresentanti del personale.
Cio’ che la ricorrente deduce essere avvenuto nel caso in esame, in cui il contratto di lavoro della (OMISSIS) (che pur enuncia, nella prima parte, solo genericamente motivi attinenti ad esigenze aziendali) fa riferimento, per precisarne in concreto la portata, “all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2001.
Da tali accordi, come riprodotti dalla difesa della societa’ nelle parti di interesse (nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), si desumerebbe infatti l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’abito del processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilita’ del personale all’interno dell’azienda al fine di riequilibrane la distribuzione su tutto il territorio nazionale nonche’ quanto alle mansioni, da posizioni sovradimensionate, in genere di staff, verso il servizio di recapito, carente di personale.
In tale contesto, secondo la ricorrente, l’accordo 17 ottobre 2001, sul punto implicitamente richiamato anche nelle sede contrattuali successive, prevederebbe che “La societa’ potra’ continuare a ricorrere all’attivazione di contratti a tempo determinato per sostenere il livello di servizio recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilita’ di cui al presente accordo, ancorche’ nella prospettiva di ridurne gradualmente l’utilizzo”.
Attraverso il richiamo agli accordi collettivi citati, il contratto di lavoro della (OMISSIS) specificherebbe, secondo la societa’, che la causale del termine consiste nella necessita’ di coprire, temporaneamente e fino al progressivo e-saurimento del processo di mobilita’ interaziendale di cui agli accordi medesimi, posizioni di lavoro scoperte, su tutto il territorio nazionale, presso il servizio recapito della societa’ e quindi per cio’ che riguarda mansioni e qualifiche ben individuate.
Cio’ posto, il collegio rileva che i giudici di merito hanno omesso di esaminare gli elementi di specificazione emergenti dal contratto alla luce delle deduzioni della societa’ e tenuto altresi’ conto della sede di lavoro e alla posizione lavorativa della lavoratrice risultante dal contratto di lavoro, al fine di valutarne l’effettiva sussistenza nonche’ la sufficienza sul piano della ricorrenza o meno del requisito di cui al cit. Decreto Legislativo, articolo 1, comma 2.
Per tali motivi e nei limiti di essi, il quarto motivo va accolto (con assorbimento del quinto), con la precisazione che, ove i giudici di merito, cui la causa va rinviata, valutino come sufficientemente specificata la causale, l’onere probatorio relativo alla effettiva ricorrenza nel concreto degli elementi cosi’ individuati, ivi compresa l’effettiva destinazione della (OMISSIS) nel corso del rapporto presso la sede di lavoro indicata nel contratto di lavoro, con la qualifica e le mansioni conseguenti, gravera’ sulla societa’ datrice di lavoro e dovra’ essere assolto sulla base della documentazione ritualmente acquisita al processo e della prova testimoniale dedotta, che la Corte territoriale ha erroneamente non ammesso, in quanto non ne ha esaminato la specificita’ e rilevanza alla luce dei principi qui indicati.
Va infatti disatteso l’assunto di cui al sesto motivo di ricorso, secondo cui nel nuovo sistema introdotto dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001 non graverebbe piu’ sul datore di lavoro l’onere di provare le ragioni obiettive che giustificano la clausola oppositiva del termine, ma dovrebbe essere il lavoratore a dedurre e provare la non ricorrenza nel caso concreto della situazione enunciata per legittimare il termine.
Questa Corte (cfr., esplicitamente, per tutte Cass. 21 maggio 2008 n. 12985, cit. nonche’ gli obiter dieta in Cass. 21 maggio 2002 n. 7468 e 26 luglio 2004 n. 14011) ha infatti avuto gia’ modo di osservare che, anche anteriormente alla esplicita introduzione del comma “premesso” dalla Legge 24 dicembre 2007, n. 247, articolo 39 (secondo cui “il contratto di lavoro subordinato e’ stipulato di regola a tempo indeterminato”), il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e’ normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria.
Lo testimonia la stessa tecnica legislativa adottata dal decreto legislativo, secondo la quale l’apposizione del termine “e’ consentita” solo “a fronte” di determinate specifiche ragioni derogatorie, come tali normalmente da provare in giudizio da chi le deduce a sostegno delle proprie difese.
Lo conferma poi il dato relativo alla “vicinanza” al datore di lavoro delle situazioni che consentono la deroga, anch’essa elemento normalmente significativo del conseguente carico probatorio in giudizio.
Infine e soprattutto, un tale risultato ermeneutica e’ sostenuto dal richiamo alla c.d. clausola di non regresso contenuta nella direttiva concernente il contratto di lavoro a tempo determinato, a cui il decreto da attuazione.
Restano assorbiti gli ultimi due motivi di ricorso.
Concludendo vanno respinti il primo e il sesto motivo di ricorso, accolti il secondo, terzo e quarto, assorbiti gli altri.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con rinvio ad altro giudice, anche per cio’ che riguarda il regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e il sesto motivo di ricorso e accoglie il secondo, il terzo e il quarto, assorbiti gli altri; cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
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