Ritenuto in fatto

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata l’illegittimità dell’avviso di accertamento emesso, per Irpeg ed Irap del 2000, nei confronti della X s.r.l. sulla base della ritenuta indeducibilità, ai sensi dell’art. 76, commi 7 bis e 7 ter, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente ratione temporis), dei costi di acquisto di bobine fotografiche da società residente in Liechtenstein (Y), dalla quale la X era controllata.
Il giudice di merito ha ritenuto che nessuna delle condizioni richieste dall’art. 2359 cod. civ. per la configurabilità di un rapporto di controllo erano state provate dall’Ufficio ed inoltre che: era ininfluente che la sede della società estera (commercialmente attiva) si trovasse in luogo o Stato diverso da quello in cui esisteva l’unità operativa; non contrastava con alcuna norma il fatto che il pagamento degli acquisti venisse effettuato in località o Stato diverso da quello di residenza della fornitrice; dai listini depositati dalla contribuente si rilevavano prezzi delle forniture Y più vantaggiosi rispetto a quelli praticati direttamente dalla K; non costituiva indizio a favore della tesi del Fisco la circostanza che la residenza del socio di maggioranza della X fosse in Svizzera, dove venivano effettuati i pagamenti.
2. La X resiste con controricorso.

Considerato in diritto

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del rapporto di controllo tra la X s.r.l. (quale controllata) e la società Y (quale controllante): in particolare, censura la ritenuta inidoneità degli elementi forniti a tal fine dall’Ufficio per non aver il giudice considerato che: a) l’esistenza di un rapporto di controllo poteva essere accertata soltanto in via presuntiva sulla base della valutazione complessiva dei dati addotti; b) doveva ritenersi “anomala” la condotta di una società italiana che acquista gran parte dei beni da una impresa ubicata in un cosiddetto paradiso fiscale, benché tali beni non siano prodotti in via esclusiva da detto fornitore e siano agevolmente acquistabili aliunde, ed effettua il pagamento su un conto corrente aperto da tale impresa presso un istituto bancario ubicato in Svizzera, cioè. in Paese diverso da quelli in cui essa aveva la sede legale e quella operativa, ma coincidente con il Paese di nascita e residenza del socio di maggioranza della società italiana.
Con il secondo motivo, è nuovamente denunciata la carenza di motivazione, in relazione al profilo dell’esistenza dell’effettivo interesse economico della contribuente ad acquistare i prodotti dalla Y: si censura, in particolare, che il giudice di merito ha fondato la decisione sulla base di un documento da ritenere insufficiente, per il suo contenuto parziale e incompleto, a fornire la prova richiesta.
2.1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per stretta connessione, sono infondati.
2.2. I commi 7 bis e 7 ter dell’art. 76 del d.P.R. n. 917 del 1986, introdotti dalla legge n. 413 del 1991, prevedevano, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis (poi più volte modificato: cfr., ora, art. 110 del nuovo TUIR), per quanto qui interessa, che “non sono ammesse in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato, le quali direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa ai sensi dell’art. 2359 del codice civile” (comma 7 bis); e che “le disposizioni di cui al comma 7 bis non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le società estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione” (comma 7 ter).
2.3. Ciò posto, il giudice di merito, come detto in narrativa, ha innanzitutto escluso la configurabilità di un rapporto di controllo tra le due società, considerando inidonei a tal fine gli elementi di prova (presuntiva) addotti dall’Ufficio (sopra indicati), ed ha poi, per di più, ritenuto dimostrata dalla contribuente l’esistenza di un effettivo interesse economico alla esecuzione delle operazioni in esame, derivante dalla convenienza dei prezzi praticati dalla Y.
Si tratta di motivazione fondata su accertamenti e valutazioni di fatto, come tali riservati al giudice di merito, che si sottraggono alle censure formulate dalla ricorrente, le quali tendono in sostanza a contrapporre, a quello operato dal giudice in base al suo libero convincimento, un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie, senza fornire decisivi elementi, non considerati, idonei a far emergere l’assoluta incongruità o illogicità del ragionamento decisorio.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in 30.000 euro per compensi, oltre 200 euro per esborsi ed oltre accessori di legge.

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