CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 maggio 2013, n. 11930
Lavoro – Lavoro subordinato – Appalto e rapporto di lavoro autonomo – Distinzioni – Attività prestata presso una scuola privata gestita da un’associazione – Subordinazione – Criteri di valutazione – Ricorso ad elementi sintomatici da valutare globalmente – Necessità – Fattispecie.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 2.10.07 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto dall’Associazione Pedagogica Scuola A. contro la sentenza del Tribunale capitolino che ne aveva respinto la domanda intesa ad accertare come non dovute le somme richieste dall’INPS (in forza di verbale n. 299/99) a titolo di contributi omessi e relative sanzioni civili, somme pretese dall’istituto previdenziale sul presupposto dell’esistenza di veri e propri rapporti di lavoro subordinato riguardo al personale docente e non docente operante presso la scuola (materna ed elementare) gestita dall’Associazione medesima, che ora ricorre per la cassazione di tale sentenza affidandosi a nove motivi.
L’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione per avere l’impugnata sentenza erroneamente ritenuto la sussistenza di rapporti di lavoro subordinato fra l’Associazione e il personale docente e non docente operante presso la scuola, supponendo l’esistenza del vincolo gerarchico, della predeterminazione dell’orario lavorativo, dell’esclusività della prestazione e della remuneratività della stessa, trascurando che le risultanze documentali e testimoniali e le dichiarazioni rese in sede di verbale ispettivo dimostrano, invece, che si tratta di soci che prestano la propria attività in piena rispondenza con lo scopo associativo e senza vincoli di orario.
Con il secondo motivo si denuncia contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che, quand’anche non fosse esistita una struttura gerarchicamente sovraordinata all’Assemblea dell’Associazione (che in ricorso viene definita come il centro decisionale dell’Associazione medesima), ciò non avrebbe di per sé escluso la configurabilità di rapporti di lavoro subordinati: la ricorrente lamenta l’incompatibilità logica fra le due affermazioni.
Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulle censure che nel proprio atto d’appello l’Associazione ha rivolto alla sentenza di prime cure in relazione ai verbali ispettivi dell’INPS, alle modalità dell’accertamento svolto dagli ispettori e alle loro (contestate) conclusioni.
La stessa doglianza è fatta valere, in subordine, con il quarto motivo sotto forma di vizio di motivazione.
Con il quinto motivo si prospetta violazione dell’art. 2094 c.c. per avere la gravata pronuncia ritenuto sussistenti i rapporti di lavoro subordinati nonostante il contrario materiale istruttorio, da cui non emerge l’esercizio di potere direttivo e disciplinare nei confronti dei lavoratori né il loro inserimento stabile ed esclusivo nell’organizzazione aziendale.
Con il sesto motivo ci si duole di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., avendo erroneamente ritenuto l’impugnata sentenza che incombesse sulla ricorrente l’onere di provare l’insussistenza dei rapporti lavorativi ravvisati dagli ispettori, malgrado si versasse in ipotesi di giudizio d’impugnazione d’un verbale di accertamento dell’INPS.
Con il settimo motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura che nel proprio atto di gravame l’Associazione ha mosso all’istruttoria svolta dal Tribunale, che non ha dato sfogo integrale alle istanze di prova formulate in primo grado e coltivate in appello.
La stessa doglianza è fatta valere, in subordine, con l’ottavo motivo sotto forma di vizio di motivazione e con il nono motivo sotto forma di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché – ancora – sotto forma di vizio di motivazione: a tale riguardo la ricorrente si duole del fatto che l’impugnata sentenza abbia ravvisato un quadro indiziario univoco nel senso della subordinazione anziché di mere prestazioni rese affectionis vel benevolentiae causa, senza disporre alcun ulteriore approfondimento (oltre ai due soli testi sentiti fra i trentaquattro indicati dall’Associazione): a tale proposito la ricorrente lamenta che non può il giudice negare gli approfondimenti istruttori sollecitati da una parte e, poi, addossarle gli effetti negativi del mancato assolvimento dell’onere della prova.
2 – Il ricorso non può trovare accoglimento.
Il primo, il secondo, il quarto e il nono motivo (nella parte in cui si deduce un vizio di motivazione) sono inammissibili in ragione del preliminare ed assorbente rilievo che, essendo stati formulati in relazione all’art. 360 co. 1° n. 5 c.p.c., ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis, vista la data di deposito dell’impugnata sentenza) si sarebbero dovuti concludere, per costante giurisprudenza di questa S.C., con un momento di sintesi del fatto controverso e decisivo, per circoscriverne puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 1°. 10.07 n. 20603; Cass. Sez. IlI 25.2.08 n. 4719; Cass. Sez. IlI 30.12.09 n. 27680).
A ciò si aggiunga – riguardo al primo, al quarto e al quinto motivo – che per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi) il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un fatto decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).
Né con il primo, il quarto e il quinto motivo il ricorso isola (come invece avrebbe dovuto) singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l’illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste (vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa), ma ritiene di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti ed una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità.
Per il resto, nei suddetti motivi il ricorso si dilunga in difformi valutazioni delle risultanze del processo, che l’impugnata sentenza ha esaminato in maniera completa e con motivazione immune da vizi logico-giuridici.
3 – Il terzo motivo non è autosufficiente perché non trascrive le censure avanzate in appello su cui la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata.
Invero, per costante insegnamento di questa Corte Suprema, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente (nei loro esatti termini) nel ricorso per cassazione; ciò è dovuto in ossequio al principio di autosufficienza, per consentire al giudice di verificare, in primo luogo, la ritualità e la tempestività di domande ed eccezioni e, in secondo luogo, la loro decisività (cfr., ex aliis e da ultimo, Cass. 4.3.13 n. 5344).
Il motivo si palesa altresì infondato nella parte in cui lamenta un’omessa pronuncia su talune deduzioni difensive volte a inficiare le risultanze degli accertamenti ispettivi dell’INPS: è noto in giurisprudenza che il giudice del merito non è tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 15.4.11 n. 8767; Cass. 20.4.06 n. 9234).
4 – Ancora da disattendersi sono il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo (quest’ultimo nella parte in cui si deduce un vizio di legittimità).
Si premetta che, nonostante il richiamo alla ripartizione dell’onere probatorio circa la gratuità di una prestazione lavorativa, in realtà l’impugnata sentenza ha esplicitamente ravvisato un univoco quadro indiziario di onerosità delle prestazioni lavorative.
Ciò ha affermato in base a circostanze di fatto incompatibili con l’asserita natura meramente volontaristica delle prestazioni, circostanze che l’odierna ricorrente non contesta nella loro storicità e che non formano neppure oggetto delle ulteriori prove testimoniali richieste, il che rende irrilevante la censura inerente alla mancata ammissione degli altri mezzi di prova.
Per l’esattezza, i giudici del merito hanno ravvisato l’esistenza della subordinazione in virtù della:
– continuità didattica e dell’articolazione dei corsi secondo moduli organizzativi previsti dalla legge, per loro stessa natura inconciliabili con la libertà di orario sostenuta dall’odierna ricorrente, secondo cui docenti e non docenti sarebbero stati liberi di scegliere autonomamente entità e collocazione oraria del proprio impegno; per altro, proprio il ricorso riferisce (nel riportare i capitoli di prova su cui si era chiesto un approfondimento istruttorio in via testimoniale) che erano previsti appositi orari scolastici con attribuzione delle classi agli insegnanti e afferma altresì l’irrilevanza della necessità di rispettare determinati standard di prestazione oraria: ma – va ricordato – proprio la faciendi necessitas è un connotato della subordinazione;
– predeterminazione nella misura e nei contenuti (anche per quanto concerne gli aspetti accessori) delle attività lavorative de quibus;
– entità dell’impegno lavorativo di ognuno, mediamente destinato ad assorbire 4-5 ore al giorno per 5 giorni alla settimana;
– entità delle erogazioni effettuate in favore del personale, non accordabile con la natura (sostenuta dalla ricorrente) di meri rimborsi spese a forfait.
Né per fare luogo ad un accertamento presuntivo ex artt. 2727 e ss. c.c. si devono prima necessariamente assumere tutti i testi indicati dalle parti: è noto, invece, che nel vigente ordinamento non esiste una gerarchia tra fonti di prova, di guisa che la prova per presunzioni, non collocandosi in posizione sott’ordinata rispetto agli altri mezzi istruttori, consente al giudice di fare ricorso alle presunzioni semplici rifiutando la prova testimoniale offerta da alcuna delle parti (cfr. Cass. 1°.6.04 n. 10484; Cass. 9.3.2000 n. 2668; Cass. 3.2.99 n. 914).
Nel caso di specie, per altro, la prova testimoniale era stata assunta, ma il numero dei testi ridotto, il che costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità ed esercitabile persino nel corso dell’espletamento della prova, potendo il magistrato non esaurire l’esame di tutti i testi ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga (con valutazione che non deve essere necessariamente espressa, potendo desumersi per implicito dal complesso della motivazione della sentenza) superflua l’ulteriore assunzione della prova (cfr. Cass. 22.4.09 n. 9551; Cass. 16.8.04 n. 15955).
5 – In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 50,00 per esborsi e in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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