CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2013, n. 12519
Acquisto immobile inserito in piano di recupero – Agevolazione fiscale – Revoca – Ipotesi
Svolgimento del processo
La contribuente acquistava, nel dicembre 1997, un immobile posto nel centro storico di Recanati, chiedendo le agevolazioni fiscali di cui all’art. 5 della l. n. 168/1982 ai fini del pagamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa, sul presupposto che la vendita aveva avuto a oggetto un bene compreso in zona di recupero secondo il disposto degli art. 27 e seg. della l. n. 457 del 1978.
L’amministrazione finanziaria negava le agevolazioni e, con avviso di liquidazione notificato nell’anno 2000, provvedeva al recupero delle ordinarie imposte. Sosteneva difatti che, al momento dell’acquisto, l’immobile non potevasi considerare inserito in un piano di recupero vigente, giacché quello invocato -relativo al centro storico di Recanati – era stato approvato nel 1980 ed era scaduto al decorrere del decennio, ai sensi degli artt. 16 e 17 della l. n. 1150/1942.
La contribuente impugnava l’avviso e l’adita commissione tributaria provinciale di Macerata accoglieva il ricorso.
La decisione era confermata dalla commissione tributaria regionale delle Marche con la sentenza in data 21.2.2007.
La commissione tributaria regionale osservava che l’immobile compravenduto ricadeva in zona di recupero attuata con il piano particolareggiato per il centro storico, comunque valevole come piano di recupero di iniziativa pubblica; che difatti, seguendosi la giurisprudenza del consiglio di stato, il termine decennale di decadenza del piano di recupero era da applicare alle sole disposizioni a contenuto espropriativo, non anche alle prescrizione urbanistiche, che invece erano destinate a rimanere operanti senza limite di tempo fino alla eventuale approvazione di un nuovo piano attuativo; che il comune di Recanati, al fine di dare continuità al processo di recupero del patrimonio urbanistico, aveva approvato, con apposita delibera consiliare del 13.3.2000, un nuovo piano particolareggiato per il centro storico sostanzialmente confermativo di quello anteriore; che la contribuente aveva quindi eseguito i lavori di restauro conservativo dell’ immobile in esecuzione dei piani di recupero e del piano particolareggiato per il centro storico, attenendosi fedelmente alle prescrizioni in essi contenute. L’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sorretto da tre motivi. L’intimata ha replicato con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Col primo motivo, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 168 del 1982 e degli artt. 27 e seg. della l. n. 457 del 1978 e 12 e 14 delle prel., l’amministrazione chiede di dire se sia sufficiente, ai fini della concessione del beneficio fiscale, la mera inclusione dell’ immobile in una zona di recupero, ancorché in mancanza del piano di recupero.
Il primo motivo è inammissibile.
La commissione tributaria regionale, invero, contrariamente a quanto supposto a presidio del quesito di diritto, non ha fatto discendere la legittimità dell’agevolazione fiscale dalla mera inclusione dell’ immobile acquistato in una zona di recupero, sebbene e proprio dalla esistenza del piano di recupero, affermata in considerazione della irrilevanza della scadenza decennale se non per i profili espropriativi.
II. – Col secondo motivo, invece, l’amministrazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 168 del 1982 e degli artt. 27 e seg. della l. n. 457 del 1978, dell’art. 16 della l. n. 1150 del 1942 e degli artt. 12 e 14 delle prel., censura la sentenza per aver affermato che, ai fini della concessione del beneficio non rileva che il piano di recupero sia in effetti scaduto al momento del trasferimento dell’immobile.
Il secondo motivo è fondato.
La questione attiene al rapporto tra la intervenuta scadenza del piano di recupero (pacifica nel caso di specie) e le agevolazioni fiscali stabilite ai fini dell’imposta di registro.
Sulla specifica questione non risultano precedenti di questa corte.
III. – E’ opportuna la previa evidenziazione del quadro normativo che rileva.
Il quadro è il seguente.
L’art. 5 della l. n. 168/1982 (Misure fiscali per lo sviluppo dell’edilizia abitativa) dispone:
“Nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui agli articoli 27 e seguenti della legge 5 agosto 1978, n. 457, ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali e ipotecarie in misura fissa.
Nello stesso ambito le permute sono esenti dall’imposta sull’incremento del valore sugli immobili e sono soggette alle imposte di registro, catastale e ipotecaria in misura fissa”.
La legge 5/3/1978 n. 457, recante “Norme per l’edilizia residenziale”, a sua volta dispone all’ art. 28 (Piani di recupero del patrimonio edilizio esistente):
“I piani di recupero prevedono la disciplina per il recupero degli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree di cui al terzo comma del precedente articolo 27, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unità minime di intervento.
I piani di recupero sono approvati con la deliberazione del consiglio comunale con la quale vengono decise le opposizioni presentate al piano, ed hanno efficacia dal momento in cui questa abbia riportato il visto di legittimità di cui all’articolo 59 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Ove la deliberazione del consiglio comunale di cui al comma precedente non sia assunta, per ciascun piano di recupero, entro tre anni dalla individuazione di cui al terzo comma del precedente articolo 27, ovvero non sia divenuta esecutiva entro il termine di un anno dalla predetta scadenza, l’individuazione stessa decade ad ogni effetto. In tal caso, sono consentiti gli interventi edilizi previsti dal quarto e quinto comma del precedente articolo 27.
Per quanto non stabilito dal presente titolo si applicano ai piani di recupero le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale”.
Sempre il citato art. 28 disciplina l’attuazione dei piani di recupero, al riguardo prevedendo, stante l’integrazione di cui all’art. 13 della l. 17 febbraio 1992, n. 179, che i piani sono attuati: “a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all’esecuzione delle opere, dai condominii o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonché dagli IACP o loro consorzi, da imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi;
b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti casi:
1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti;
2) per l’adeguamento delle urbanizzazioni;
3) per gli interventi da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unità minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo. La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso.
I comuni, sempre previa diffida, possono provvedere all’esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute.
I comuni possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero”.
Infine la legge 17/8/194 2 n. 1150, cd. Legge urbanistica, – tuttora in vigore, fatte salve le modifiche di cui (i) all’art. 21 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 [il quale, tra l’altro, ha sostituito all’ espressione “licenza edilizia” quella di “concessione” ); (ii) al d.lgs. 31/3/1998, n. 112 [con cui sono state devolute alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni amministrative inerenti alla materia delle opere pubbliche, a eccezione di quelle espressamente mantenute allo Stato]; (iii) alle modifiche delle sanzioni pecuniarie in euro a partire dal 1° gennaio 1999 (art. 51, d.lgs. 24/6/1998, n. 213) ; (iv) alla trasformazione delle prefetture in uffici territoriali del governo [il prefetto preposto a tale ufficio nel capoluogo della regione assume anche le funzioni di commissario del governo (D.Lgs. 300/1999) ] – all’art. 16 disciplina il procedimento di approvazione dei piani particolareggiati, in proposito prevedendo che:
“I piani particolareggiati di esecuzione del piano regolatore generale sono approvati con decreto del provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la Sezione urbanistica regionale, entro 180 giorni dalla presentazione da parte dei Comuni. Con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per l’interno e per la pubblica istruzione può essere disposto che l’approvazione dei piani particolareggiati di determinati Comuni avvenga con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. Le determinazioni in tal caso sono assunte entro 180 giorni dalla presentazione del piano da parte dei Comuni.
I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose d’interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposti alla competente Soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici.
Le eventuali osservazioni del Ministero della pubblica istruzione o delle Soprintendente sono presentate entro novanta giorni dall’avvenuta comunicazione del piano particolareggiato di esecuzione”.
Orbene, al 5° co. in particolare l’art. 16 stabilisce che “col decreto di approvazione sono decise le opposizioni e sono fissati il tempo, non maggiore di anni dieci, entro il quale il piano particolareggiato dovrà essere attuato e i termini entro cui dovranno essere compiute le relative espropriazioni”. La norma infine prosegue con disposizioni non direttamente attinenti, in quanto relative (i) alle modifiche del piano che siano conseguenti all’ accoglimento di osservazioni o di opposizioni ovvero che siano riconosciute indispensabili per assicurare la osservanza del piano regolatore generale, il conseguimento delle finalità di cui al secondo comma, lettere b), c), d) del precedente art. 10, la dotazione dei servizi e degli spazi pubblici adeguati alle necessità della zona; (ii) all’equivalenza tra l’approvazione dei piani particolareggiati e la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in essi previste; e (iii) la disciplina dell’approvazione delle varianti ai piani medesimi e il rapporto tra lo strumento attuativo e la cd. valutazione ambientale strategica.
IV. – Delineato in tal modo il profilo normativo che rileva, il secondo motivo è da ritenere fondato. La commissione tributaria regionale ha ritenuto spettante l’agevolazione di cui all’art. 5 della l. n. 168/1982 nonostante l’acquisto fosse avvenuto dopo il termine decennale di scadenza del piano di recupero. E questo perché – si dice – il decorso del termine stabilito per l’esecuzione del piano rende comunque fermo l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici o nella modificazioni di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano particolareggiato (art. 17 della l. urbanistica cit.).
Ha in sostanza ritenuto non in linea con i canoni ermeneutici sostenere che il piano particolareggiato del centro storico di Recanati, continuando a spiegare i suoi effetti per le prescrizioni normative in esso contenute, non altrettanto possa fare sul lato dei benefici fiscali per i soggetti che a esso si conformano.
Il percorso argomentativo risulta sostenuto dal rilievo che, secondo la giurisprudenza amministrativa, la scadenza del piano particolareggiato non rende l’area priva di regolamentazione urbanistica e il termine di validità decennale di cui all’art. 16, 5° co., della l. urbanistica attiene unicamente alle indicazioni di piano nella parte in cui incidono su beni determinati, assoggettandoli a vincoli preordinati all’espropriazione o all’inedificabilità.
V. – Sennonché una simile argomentazione, per gli effetti che ne derivano sul versante tributario, è infondata in rapporto alla ratio della previsione agevolativa.
La norma di cui all’art. 5, 1° co., l. 22 aprile 1982 n. 168, dettata in materia di piani di recupero (di iniziativa pubblica, o di iniziativa privata purché convenzionati) di cui agli art. 27 e seg. l. 5 agosto 1978 n. 457, subordina l’agevolazione fiscale consistente nell’applicazione, agli atti di trasferimento di immobili, delle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa all’esistenza di un duplice requisito: uno, di carattere oggettivo, costituito appunto dall’inserimento dell’immobile in un piano di recupero di iniziativa pubblica o privata convenzionato; l’altro, di carattere soggettivo, costituito dall’essere l’acquirente uno dei soggetti che attuano il recupero.
Da questa prospettiva, in coerenza con le finalità perseguite dal legislatore, discende: (i) che il beneficio spetta soltanto quando si realizzano tutti gli elementi che integrano la fattispecie normativa; (ii) che, perciò, l’agevolazione è correlata alla effettiva attuazione del piano di recupero previsto all’atto del trasferimento dell’immobile, sicché ne resta giustificata la revoca ove si accerti la insussistenza dei prescritti requisiti. Tali principi possono considerarsi del tutto pacifici.
A mò di esempio può rammentarsi che questa corte ha ritenuto legittima la revoca dell’ agevolazione fiscale da parte dell’ amministrazione finanziaria in un caso in cui la mancata attuazione in concreto del piano di recupero previsto nell’atto di trasferimento del cespite non era imputabile a comportamento omissivo del contribuente (v. Sez. 5^, n. 11786/08, nonché conf. sulla previa affermazione giuridica Sez. 1^ n. 9520/99. E v. anche Sez. 5^ n. 14478/03).
VI. – D’altronde, pur essendo consolidato il principio secondo il quale l’applicazione dell’imposta di registro e di quelle ipotecarie e catastali in misura fissa, prevista dall’art. 5 della l. 22 aprile 1932 n. 168 per gli atti di trasferimento di immobili compresi nei piani di recupero (di iniziativa pubblica o privata, purché convenzionati) di cui agli art. 27 e seg. della l. 5 agosto 1978 n. 457, postula soltanto che, al momento della registrazione, sia dichiarata l’esistenza dei due requisiti suddetti – oggettivo (costituito dall’inserimento degli immobili nei piani di recupero) e soggettivo (costituito dall’essere l’acquirente uno dei soggetti che attuano il recupero) – è parimenti pacifico che, da questo punto di vista, la loro effettiva sussistenza deve essere accertata dall’ufficio successivamente alla registrazione, configurandosi la differenza d’imposta eventualmente dovuta come una specie di imposta complementare ex art. 42 del d.p.r. n. 131 del 1986; mentre l’attuazione effettiva del recupero da parte del soggetto che si impegna in tal senso costituisce un evento futuro rispetto alla registrazione. Per cui va condivisa l’affermazione che incombe poi all’ufficio tributario l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti dell’agevolazione quando, riscossa l’imposta in misura ordinaria all’atto della registrazione, il contribuente chieda il rimborso della parte eccedente la misura fissa (così Sez. 5^ n. 8480/09 e, in senso conforme alla prima parte del principio, Sez. 5^ n. 17061/2010).
VII. – Ebbene, in base ai citati parametri, e tenuto conto che l’art. 5 cit. pone una norma di natura eccezionale, da interpretarsi restrittivamente con riferimento alla finalità perseguita dal legislatore di agevolare, sul piano tributario, lo sviluppo dell’edilizia abitativa, ritiene il collegio che al quesito posto, infine, dall’agenzia delle entrate deve darsi risposta affermativa.
Difatti la l. 22 aprile 1982, n. 168, art. 5, 1° co., afferma – come s’è visto – che “nell’ambito dei piani di recupero di iniziativa pubblica o di iniziativa privata purché convenzionati, di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 27 e ss. ai trasferimenti di immobili nei confronti dei soggetti che attuano il recupero, si applicano le imposte di registro, catastali e ipotecarie in misura fissa”.
La lettera delle legge è chiara nel senso dianzi indicata. Ma anche la logica vuole che, all’atto della registrazione dei negozi di trasferimento degli immobili inseriti nei piani di recupero si applichi la misura fissa delle imposte di registro, catastali ed ipotecarie, perché tanto il requisito soggettivo (soggetto attuante il recupero) quanto, e soprattutto, il requisito oggettivo (inserimento degli immobili in un piano di recupero) dell’agevolazione tributaria sono validamente dichiarati in rapporto alla condizione del momento. Nel caso di specie, di contro, è pacifico che, all’atto della vendita, l’immobile compravenduto non potevasi considerare inserito in un piano di recupero vigente, dal momento che quello relativo al centro storico di Recanati era in base alla sentenza scaduto sette anni prima (nel 1990).
E tanto meno potevasi considerare attuabile il piano a mezzo dell’effettuazione dell’intervento edilizio progettato dall’acquirente, evento necessariamente futuro rispetto alla registrazione, ma suscettibile di positivo accertamento da parte dell’ufficio quale presupposto per non richiedere la differenza d’imposta.
Il regime agevolato delle imposte di registro, catastali e ipotecarie, previsto dalla l. 22 aprile 1982, n. 168, art. 5, 1° co., postula, difatti, propriamente, una imposta indiretta agevolata a presupposti differiti (v. Sez. 5^ n. 8480/2009). I quali presupposti tuttavia devono comunque infine sussistere onde legittimarne l’applicazione. Non giova, allora, insistere – come fatto dal giudice tributario – sulla correlazione esistente tra la validità decennale dei piani e i vincoli preordinati all’ espropriazione.
E’ ben vero che le prescrizioni urbanistiche contenute nei piani particolareggiati, inerendo all’efficacia conformativa dello strumento urbanistico, sono da intendere comunque a tempo indeterminato (v. del resto l’art. 11 della l. urbanistica). Sicché l’attività edilizia dei privati non può in ogni caso discostarsi, anche dopo la riferita scadenza del piano di recupero, dalle prescrizioni imposte dal piano particolareggiato. E tuttavia è abbastanza evidente che chi semplicemente si attenga a codeste prescrizioni non attua il piano di recupero, ove il piano sia scaduto; e men che meno può dichiarare di volerlo fare ove il piano sia scaduto già prima dell’acquisto. Non sembra potersi in tal senso negare la valenza della considerazione che la ratio del regime agevolativo non è semplicemente rapportabile all’essere stato effettuato un intervento edilizio nell’ovvio rispetto delle prescrizioni urbanistiche (standard) proprie del piano particolareggiato; sebbene quella – affatto specifica – di sostenere dal punto di vista fiscale chi abbia posto in essere un intervento edilizio finalizzato a dare attuazione a un piano di recupero.
E tanto postula la precondizione che il piano medesimo sia vigente all’ atto della dichiarazione di intento (id est, della compravendita) e della susseguente esecuzione dell’intervento.
VIII. Le esposte considerazioni conducono all’accoglimento del secondo motivo dell’odierno ricorso e alla cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può la corte decidere la causa anche nel merito, rigettando l’originaria impugnazione della società contribuente avverso l’avviso di liquidazione.
Il terzo motivo, denunciante un vizio della motivazione della sentenza impugnata, resta assorbito.
L’intrinseca difficoltà della questione giuridica sottesa e la mancanza di specifici precedenti di giustificano la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione contro l’avviso di liquidazione; compensa le spese processuali.
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