Corte di Cassazione sentenza n. 1439 del 22 gennaio 2013
ACCERTAMENTO – STUDI DI SETTORE – COEFFICIENTI PRESUNTIVI DI REDDITO – VERBALE DELLA PT SENZA IRREGOLARITA’
massima
______________
L’accertamento induttivo fondato sugli studi di settore-coefficienti presuntivi di reddito è valido anche se si discosta dal processo verbale della Guardia di Finanza. I coefficienti presuntivi di reddito prescindono dalla verifica della regolarità delle scritture contabili, pertanto l’accertamento basato sullo scostamento dai parametri del reddito dichiarato dal contribuente è legittimo anche se dal verbale della GdF non sono emerse irregolarità.
______________
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P.M. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’Irpef per l’anno d’imposta 1989, con il quale era stato rettificato il reddito dichiaralo in relazione all’attività di geometra, risultando lo stesso inferiore a quello calcolato con l’applicazione dei coefficienti di reddito ex D.P.C.M. 22.12.89: con lo stesso reiterava le argomentazioni ed opposizioni già svolte attraverso il questionario inviatogli.
La Commissione tributaria provinciale accoglieva.
Contro tale sentenza proponeva appello l’ufficio sostenendo sia che l’Ufficio può procedere, in sede di accertamento, alla valutazione di lutti gli elementi in suo possesso, tra i quali il p.v.c. sia che il contribuente non aveva fornito alcuna prova alta a respingere la pretesa erariale. Il contribuente resisteva.
La Commissione tributaria Regionale rigettava l’appello rilevando che i redditi dichiarati dal contribuente erano risultati veritieri in sede di verifica generale della G.d.F. il cui controllo è da considerarsi atto sostanziale, ed ancora che per il periodo d’imposta 1989, ex art. 8 co. 6 quinquies legge n. 165/90 il contribuente non poteva subire accertamenti induttivi sulla base di coefficienti presuntivi di reddito, avendo optato per la contabilità ordinaria a partire dal 1990.
Contro tale ultima sentenza ricorre per cassazione l’amministrazione finanziaria con ricorso fondalo su duplice motivo. Il contribuente resiste depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, si deve rilevare l’inammissibilità, per difetto di legittimazione, del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, per non essere stato lo stesso parte del giudizio di appello, instaurato con ricorso della sola Agenzia delle Entrate (nella sua articolazione periferica) dopo il 1° gennaio 2001, con conseguente implicita estromissione dell’Ufficio periferico del Ministero (ex plurimis Cass. S.U. n. 3116/06; Cass. n. 24245/04).
2. Le relative spese vengono compensate, non avendo tale ricorso comportato un aggravio delle esigenze difensive della controparte.
3. Il ricorrente con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n.3. la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39 e 42 D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 2697 c.c.; ed ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. il vizio di motivazione. Deduce che solo l’ufficio è legittimato a compiere gli accertamenti tributari servendosi e tenendo conto di tutti gli elementi disponibili, tra i quali anche le conclusioni della Guardia di Finanza, senza però che sussista alcun obbligo di conformarsi a quest’ultime.
La censura è fondata.
Ed invero, la CTR, nel disattendere la doglianza avanzata dall’ Ufficio, ha ritenuto che la pregressa attività di verifica dei redditi compiuta dalla Guardia di finanza compendiata nel processo verbale di contestazione, avendo natura di controllo sostanziale, avrebbe esaurito il potere di accertamento da parte dell’Ufficio.
3.3.Tale conclusione non è persuasiva.
3.4. Ed invero, la legislazione applicabile individuava tra le modalità di accertamento di eventuali maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati, il metodo analitico, quello analitico induttivo ed infine il metodo induttivo, tutti presi in considerazione dall’art. 39 D.P.R. n. 600/1973.
3.5. In questo contesto si inseriva l’accertamento mediante i coefficienti disciplinato dall’art. 12 del D.L. n. 69/1989. convertito in L. 27 aprile 1989 n. 154, nella versione ratione temporis vigente, che prevedeva la possibilità per gli uffici di determinare. Indipendentemente dalle disposizioni di cui all’art. 39 ult. cit. ricavi, compensi e volumi di affari, nel caso di constatala incongruenza tra il volume di affari dichiarato ed il volume di affari correlabile al tipo di attività, sulla base dei coefficienti prescindendo dal regime ordinario dell’accertamento, ma tenendo conto dei coefficienti, alla quale si affiancava la necessità di preventivo interpello del contribuente che avesse indicato poste reddituali inferiori.
3.6 Tanto consente di escludere, ad onta di quanto diversamente opinato dal giudice di appello, che l’eventuale verifica compiuta dalla Guardia di Finanza possa inibire all’Ufficio di acquisire aliunde elementi relativi al reddito e, in particolare, dai coefficienti presuntivi, potendosi eventualmente porre in discussione la legittimità dell’azione accertati va allorché la Guardia di Finanza, in sede di verifica, abbia proceduto a verificare la conformità del reddito a detti coefficienti. Circostanza che non risulta in alcun modo nel caso di specie.
3.7. Errata si appalesa, pertanto, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il processo verbale dì constatazione avesse esaurito la possibilità dell’Ufficio di procedere all’accertamento sulla base di coefficienti presuntivi che. dunque, prescindono dalla verifica della regolarità delle scritture contabili, offrendo al contribuente di dimostrare, in caso di scostamento del reddito dichiarato dai detti coefficienti, la non applicabilità dei coefficienti rispetto all’attività esercitata.
4. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 6 quinquies L. 165/90; e ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. il vizio di motiva/ione sul punto. Deduce che nel caso di specie è errato l’assunto del giudice a quo secondo il quale il ricorso ai coefficienti presuntivi di reddito era esclusa dal fatto che il contribuente aveva comunicato di voler optare, con effetto dall’anno 1990, per il regime di contabilità ordinaria.
4.1 La censura è fondata e va accolta secondo il principio già enucleato da questa Corte – al quale questo collegio intende dare continuità – secondo il quale “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 12. comma quinto, del D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 1989. n. 154 (nel testo applicabile ratione temporis) rende possibile l’accertamento dell’imponibile a mezzo di coefficienti presuntivi anche nei confronti dei soggetti che hanno optato per il regime ordinario di contabilità. Detta norma – nella parte in cui prevede che i coefficienti presuntivi di cui all’art. 11 del medesimo D.L. possono essere utilizzati “ai fini della programmazione dell’attività di controllo di cui al comma primo, anche nei confronti di soggetti che hanno optato per il regime ordinario di contabilità” – non può ritenersi diretta, infatti, esclusivamente alla individuazione dei soggetti in contabilità ordinaria da sottoporre ai “controlli programmati” sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (come modificato dall’art. 6 della legge 24 aprile 1980, n. 146), ma deve considerarsi rivolta agli uffici, ponendo a loro disposizione, anche nei confronti dei predetti soggetti, ulteriori presunzioni semplici, ritenute idonee, per la loro precisione, gravità e concordanza, a legittimare l’esercizio del potere di controllo delle dichiarazioni e quindi, se del caso, di rettifica delle dichiarazioni stesse (Cass. n. 8882 del 2007: conf.: Cass. n. 25694 del 2009, n. 26404 del 2005).
4.2 Il giudice a quo ha fatto mal governo del principio enunciato affermando che. con riferimento al periodo d’imposta 1989, il contribuente non poteva subire accertamento induttivo sulla base dei coefficienti presuntivi del reddito per il solo fatto di aver comunicalo di voler optare con decorrenza 1.1.1990 per il regime di contabilità ordinaria.
5. La censura va pertanto accolta e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria Regionale delle Marche che darà applicazione al principio sopra enunciato e regolamenterà le spese del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e della Finanze e compensa le relative spese;
Accoglie entrambi i motivi di ricorso;
Cassa la sentenza impugnala e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.