Corte di Cassazione sentenza n. 14517 del 01 luglio 2011
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – PER GIUSTIFICATO MOTIVO – SOPPRESSIONE DEL POSTO DI LAVORO CUI ERA ADDETTO IL LAVORATORE LICENZIATO
massima
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In caso di licenziamento per giustificato motivo, il datore di lavoro che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte, ma anche di aver prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale, purché tali mansioni siano compatibili con l’assetto organizzativo aziendale insindacabilmente stabilito dall’imprenditore.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello di Catania riteneva la legittimità del licenziamento intimato dalla società S. s.p.a. a U.M., dipendente con mansioni di direttore amministrativo, per riduzione di personale e soppressione del posto, così confermando la decisione del Tribunale della stessa città, che aveva respinto la domanda del lavoratore intesa alla declaratoria di illegittimità del recesso. In particolare, la Corte di merito rilevava che: doveva essere escluso il collegamento societario, dedotto dal U.M., fra la S. s.p.a. e la N.S. s.p.a., nonché la A.S.I. s.p.a., sì che risultava ininfluente, ai fini della legittimità del recesso, la eventuale possibilità di reimpiego presso la struttura organizzativa di imprese diverse dalla società S.; d’altra parte, la riduzione di personale e la conseguente soppressione del posto erano risultate provate in giudizio, essendo emerso che le mansioni del U.M. erano state unificate con altre all’interno della funzione di direttore tecnico, affidato a dipendente neo-assunta in possesso delle relative competenze; in conclusione, la asserita pretestuosità del recesso era rimasta priva di alcuna dimostrazione ed era stata esclusa in base alle risultanze acquisite in giudizio; infine, il lavoratore non aveva provato – com’era suo onere – la possibilità di essere reimpiegato presso la S. con il medesimo inquadramento.
2. Avverso tale decisione il U.M. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste con controricorso la società G. s.p.a., quale impresa incorporante di N.S. s.p.a. (a sua volta subentrata alla originaria convenuta S. s.p.a.). La resistente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorrente lamenta, col primo motivo, l’erronea attribuzione al lavoratore – in violazione dell’art. 5 legge n. 604 del 1966 – dell’onere di provare l’inesistenza del motivo oggettivo di recesso e, col secondo motivo, vizio di motivazione nel ritenere la soppressione della posizione lavorativa come fatto univocamente rivelatore della avvenuta contrazione dei costi; deduce, poi, col terzo motivo, che in ogni caso la soppressione del posto era avvenuta a seguito di dequalificazione ai sensi dell’art. 2103 c.c. e, col quarto motivo, che non era stato dimostrata l’impossibilità di reimpiego in altre mansioni (stante l’insufficienza, al riguardo, di una generica prospettazione di rioccupazione presso la società N.S.).
2. Il congiunto esame delle censure proposte rivela la fondatezza del ricorso nei limiti delle considerazioni seguenti.
2.1. Il giudizio di fatto espresso dalla Corte d’appello in ordine alla legittimità del licenziamento presuppone, esplicitamente, l’attribuzione al lavoratore dell’onere di provare sia l’inesistenza di ragioni giustificative del recesso, sia la possibilità di reimpiego in altre equivalenti mansioni. Tale presupposto, però, contrasta con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro che adduca a fondamento del recesso la soppressione del posto di lavoro, cui era addetto il lavoratore licenziato, ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle dapprima svolte, ma anche di aver prospettato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale, purché tali mansioni siano compatibili con l’assetto organizzativo aziendale insindacabilmente stabilito dall’imprenditore (cfr. Cass. n. 21579 del 2008).
2.2. Nella specie, la decisione impugnata si è soffermata esclusivamente sulla insindacabilità delle scelte datoriali relative alla riorganizzazione dell’azienda, trascurando di accertare l’assolvimento dell’onere della datrice di lavoro riguardo alla effettiva inutilizzabilità del lavoratore in mansioni analoghe a quelle originariamente assegnate, ovvero in mansioni inferiori rispondenti alla sua esperienza e professionalità, e addossando, invece, al dipendente l’onere di dimostrare l’insussistenza del motivo oggettivo del recesso, così finendo per equiparare, inammissibilmente, la disciplina dell’onere probatorio in subjecta materia a quella del licenziamento discriminatorio (mai allegato, nella specie, dal lavoratore licenziato).
2.3. Non rileva, ai fini dell’assolvimento dell’onere predetto, la generica offerta di rioccupazione nella società N.S., subentrante alla originaria datrice di lavoro, posto che – come accertato dalla stessa sentenza della Corte di merito – si trattava di compagini societarie del tutto distinte, con esclusione di alcun collegamento societario, sì che l’offerta di rioccupazione non poteva che provenire dall’impresa S.
3. Alla stregua di tali considerazioni, la decisione impugnata merita di essere censurata, per difetto della cd. base legale del giudizio di fatto operato, imponendosi l’accertamento dell’adempimento, o meno, da parte datoriale della impossibilità, in concreto, di conservare l’occupazione del ricorrente in mansioni equivalenti a quelle a lui assegnate, ovvero in altre mansioni, comunque coerenti con il suo bagaglio professionale. La sentenza va pertanto cassata con rinvio ad altro giudice, designato come in dispositivo, che esaminerà nuovamente la controversia alla stregua dell’enunciato principio di diritto. Il giudice di rinvio pronuncerà, altresì, sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Messina anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011
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