Corte di Cassazione sentenza n. 15615 del 15 luglio 2011
LAVORO SUBORDINATO – RAPPORTO DI LAVORO – QUALIFICAZIONE – INCLUSIONE NELLO SCHEMA CONTRATTUALE DEL LAVORO AUTONOMO O SUBORDINATO – VALUTAZIONE DEL GIUDICE DI MERITO – CENSURABILITA’ IN SEDE DI LEGITTIMITA’
massima
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Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 291 del 30 aprile 2009, resa sul ricorso proposto da M.R. nei confronti di I.S. spa (quale incorporante S.I. spa) e A.I. spa accoglieva l’appello proposto dal suddetto M.R. nei confronti di I.S. spa e dichiarava la sussistenza fra M.R. e I.S. spa di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel profilo professionale 3A Area 1A livello impiegatizio ex CCNL settore del credito, a far data dal 1° gennaio 2005, e condannava I.S. spa a pagare all’appellante le conseguenti differenze retributive, oltre accessori.
1.1. La Corte d’Appello ha ritenuto che la fattispecie sottoposta al suo esame dovesse essere definita secondo lo schema della somministrazione irregolare di cui all’art. 27 del D.Lgs. n. 276 del 2003, secondo cui, quando la somministrazione avviene al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, il lavoratore può chiedere giudizialmente la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dall’inizio della somministrazione: ipotesi alla stregua della quale può qualificarsi d’ufficio la fattispecie, e sulla cui premessa la domanda attorea deve essere accolta.
2. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza I.S. spa (già S.I. Spa) nei confronti di R.M. e di A.I. spa (già A.C. spa – a socio unico, già R.S. spa – a socio unico, cessionaria di ramo d’azienda a seguito di scissione della A.A.S.P. spa) prospettando cinque motivi di ricorso.
3. Resiste con controricorso M.R..
4. Non si è costituita A.I. spa.
5. Sia I.S. spa che M.R. hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.).
Ad avviso della società ricorrente, la domanda del M.R. si fonda su un titolo inesistente per intervenuta abrogazione della normativa invocata, ravvisabile nella legge n. 1369 del 1960.
In proposito, è stato articolato il seguente quesito di diritto: se costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c., a fronte di una domanda fondata su di un titolo inesistente per intervenuta abrogazione della fattispecie (art. 1 della legge n. 1369 del 1960), accogliere la domanda sulla base di un diverso titolo (art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003) la cui fattispecie è data da fatti costitutivi diversi.
2. Con il secondo motivo del ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 del D.Lgs. 276 del 2003 (art. 360 n. 3 c.p.c.).
È stato prospettato il seguente articolato quesito di diritto:
se costituisce violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, a fronte di un contratto di appalto avente ad oggetto servizi informatici consistenti nella risoluzione di complesse anomalie del software, escludere la legittimità dell’appalto per il fatto che l’attività oggetto del medesimo sia stata svolta presso struttura della committente, ove erano presenti anche altri lavoratori e con mezzi materiali propri della committente;
se costituisce corretta applicazione dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, ritenere che nel contratto di appalto avente ad oggetto servizi informatici, che si concretano nella risoluzione di complesse anomalie del software, il requisito dell’organizzazione dei mezzi necessari, qualificante il contratto di appalto può essere identificato nella gestione da parte della società appaltatrice A. dei propri dipendenti (compreso il signor M.R.) in possesso di conoscenze tecniche specifiche ed altamente qualificate in campo informatico, anche se fattività è svolta all’interno di una struttura della committente, presso la quale sono presenti anche altri lavoratori, e con mezzi materiali propri della committente.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.), omessa o insufficiente nonché contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.).
In ordine a tale motivo sono stati articolati i seguenti quesiti di diritto: se costituisce violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. aver ampliato il thema decidendum e, nello specifico aver accertato lo svolgimento da parte del personale della società committente delle medesime attività svolte da parte dell’odierno intimato, pur in assenza di una allegazione in tal senso nel ricorso introduttivo del giudizio.
Sono stati, quindi, precisati i fatti controversi come di seguito riportato:
A) i dipendenti A., insieme con altri lavoratori dipendenti del S.I., concorrevano a formare un gruppo di lavoro che promiscuamente ed indifferentemente si occupava di svolgere l’attività oggetto di appalto;
B) i compiti del sig. Mi. nel momento in cui è divenuto dipendente S.I. erano accresciuti della responsabilità di assegnare agli operatori A. singoli interventi particolarmente delicati.
In ordine a tale punto del suddetto motivo di impugnazione è stato articolato il seguente quesito di diritto:
se lo svolgimento da parte del personale della società committente delle medesime attività svolte da parte dell’odierno intimato, quale fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, sia stato valutato ed argomentato dalla Corte d’Appello di Torino in maniera contraddittoria e carente rispetto alle risultanze istruttorie che da un lato hanno dimostrato la particolare complessità dei servizi svolti dal personale dell’appaltatore (cfr. deposizione…) dall’altro hanno invece appurato il tipo di servizi informatici svolti dal personale della committente col risultato di negare la legittimità dell’appalto in esame (decisione cui all’opposto la Corte d’Appello sarebbe giunta proprio de avesse considerato la specialità dei servizi informatici oggetto di appalto, svolti dal solo personale della società appaltatrice).
4. Con il quarto motivo di ricorso è stata dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e 2104 c.c., nonché degli artt. 1655 c.c. e 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003 (art. 360, n. 3, c.p.c.), omessa o insufficiente motivazione o anche contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5 c.p.c.).
In proposito è stato articolato il seguente quesito di diritto: se costituisce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e 2104 c.c., nonché degli artt. 1655 c.c. e 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, aver ritenuto l’attività svolta da un dipendente della società committente, consistente nell’assegnare agli operatori A. singoli interventi particolarmente delicati, che non potevano essere risolti direttamente da uno degli addetti incompatibile con la sussistenza di un contratto genuino di appalto nonostante tale intervento fosse necessario per la particolare natura del servizio oggetto di appalto, consistente nella risoluzione delle singole problematiche del software sorte di volta in volta nelle singole filiali della banca, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società committente.
Il fatto controverso veniva specificato come segue: il signor Mi. era un vero responsabile e coordinatore del gruppo, con poteri gerarchici e direttivi o era un mero smistatore di priorità.
Pertanto il quesito aveva il seguente tenore: se l’esercizio di potere organizzativo e direttivo sul personale dell’appaltatore da parte di un dipendente della società committente, quale fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, sia stato valutato ed argomentato dalla Corte d’Appello di Torino in modo contraddittorio e carente rispetto alle risultanze istruttorie che da un lato hanno dimostrato che il dipendente della società committente ha avuto una mera funzione di raccordo tecnico tra committente ed appaltatore relativamente all’esecuzione dell’appalto, limitandosi ad assegnare agli operatori A. singoli interventi particolarmente delicati (cfr. deposizione…), dall’altro non hanno invece appurato lo svolgimento da parte del medesimo di alcun potere organizzativo, gerarchico e/o disciplinare col risultato di negare la legittimità dell’appalto in esame (decisione cui all’opposto la Corte d’Appello sarebbe giunta proprio se avesse considerato che lo svolgimento del potere organizzativo, gerarchico e disciplinare non era svolto dal personale della committente).
5. Con il quinto motivo di impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 c.c. e dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003.
Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se costituisca violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 c.c. e 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, aver ritenuto non sussistente in capo all’impresa appaltatrice, incaricata di eseguire il servizio consistente nella risoluzione delle problematiche sorte nei software delle singole filiali delle banche, il rischio di impresa in relazione al conseguimento di un risultato finale, pur essendo la società appaltatrice una solida impresa operante nel settore informativo e pur essendo sottoposte per l’esatta esecuzione del contratto a penali e clausole risolutive espresse.
6. I motivi di impugnazione – da trattarsi congiuntamente in ragione della connessione delle questioni poste – non sono fondati.
6.1. Innanzitutto, va osservato che non sussistono i dedotti vizi di ultrapetizione prospettati dalla società S.I. nell’assumere che la Corte d’Appello non avrebbe proceduto ad una mera qualificazione giuridica della domanda, ma avrebbe mutato la causa petendi e ampliando il thema decidendum, riverberando ciò sulla valutazione e argomentazione dei fatti di causa.
Osserva il Collegio che è pacifico in giurisprudenza (cfr. sentenza n. 455 del 2011, per i principi nella stessa affermati) il principio che il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione; tale potere incontra peraltro il limite del rispetto dell’ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza l’introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto.
E, pertanto, il vizio di ultra o extra petizione ricorre allorché il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato) ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato.
Tale situazione non si è verificata nel caso di specie, ove la controversia attiene proprio alla qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro intercorsi tra M.R., la società A. spa (A.I. spa) e la società S.I. spa.
6.2. Osserva, quindi, la Corte che i restanti motivi di ricorso impongono la disamina di alcuni profili della disciplina del contratto di somministrazione di lavoro in relazione al contratto di appalto di cui all’art. 1655 c.c.
6.3. Ai sensi dell’art. 85, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 276 del 2003, dalla data di entrata in vigore del medesimo D.Lgs., è stata abrogata la legge 23 ottobre 1960, n. 1369.
L’art. 20 del suddetto d.lgs. stabilisce le condizioni di liceità per il ricorso all’istituto in esame e stabilisce, al comma 1 «il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5» che sanciscono i requisiti giuridici e finanziari e i regimi particolari di autorizzazione.
Il successivo comma 2 stabilisce: «per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Nell’ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro».
Infine, il comma 3 prevede, al primo periodo, «il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato».
L’art. 29 del medesimo D.Lgs. 276 del 2003, la cui rubrica reca “Appalto” prevede, al comma 1 «ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa».
6.4. Tanto premesso, occorre ricordare come questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr., tra le altre, Cass. 5 novembre 2009 n. 23455), con riferimento alla qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, che è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale. Tale principio può trovare applicazione anche nel caso di specie.
6.5. Ancora, è d’interesse richiamare la giurisprudenza formatasi in merito all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, disposizione, come si è detto, abrogata e ritenuta non applicabile alla fattispecie in esame.
Questa Corte, più volte, ha affermato che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 della legge n. 1369 del 1960), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo ali appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (vedi Cass. 9 marzo 2009, n. 5648; 30 agosto 2007, n. 18281; 5 ottobre 2002, n. 14302).
Da ultimo (Cass., n. 12201 del 2011), si è affermato che, se è vero che, nella vigenza del regime di cui alla legge n. 1369 del 1960 (ora abrogata dall’art. 85, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 276 del 2003), uno degli indici principali dell’interposizione è stato ravvisato nell’assoggettamento dei dipendenti dello pseudo appaltatore al potere direttivo e di controllo dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative (Cass. n. 86431 del 2001, Cass. n. 3196 del 2000, Cass. n. 5087 del 99), in quanto tale situazione denoterebbe l’assenza di un vero appalto, che si caratterizza per l’utilizzazione diretta della prestazione lavorativa da parte dell’appaltatore, con esercizio del potere direttivo e di controllo da parte di quest’ultimo, quale creditore della prestazione lavorativa del personale da lui dipendente, è anche vero che l’esercizio di un potere di controllo da parte del committente è compatibile con un regolare contratto di appalto e che, sotto questo profilo, può ritenersi legittima la predeterminazione da parte del committente anche delle modalità temporali e tecniche di esecuzione del servizio o dell’opera oggetto dell’appalto che dovranno essere rispettate dall’appaltatore, con la conseguenza che “non può ritenersi sufficiente ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, occorrendo verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al risultato di tali prestazioni, che può formare oggetto di genuino contratto di appalto” (Cass. n. 13015 del 1993, cui adde Cass. n. 9398 del 1993, secondo cui per valutare la legittimità dell’appalto, il giudice deve tener conto anche “delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa che manifestino la sussistenza di un rapporto di subordinazione diretta con il committente”).
6.6. Tanto richiamato, ritiene la Corte che ferma la ratio legis che sottende la disciplina di cui al d.lgs. n. 276 del 2003 e l’autonomia e la specificità degli istituti ivi previsti, rispetto alle disposizioni previgenti abrogate dal medesimo d.lgs. e alle disposizioni del codice civile, l’interprete può, tutt’ora, rinvenire nei principi sopra richiamati alcuni parametri significativi al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso il quale si intenda eludere le disposizioni che disciplinano il mercato del lavoro.
Ciò, in particolare, tenendo conto che il citato art. 29 fa riferimento, giova ribadirlo, nell’indicare le peculiarità del contratto di appalto, all’«organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa», e, dunque, naturalmente, nei limiti della persistenza, nelle disposizioni vigenti, di analoghi indici rivelatori della insussistenza di un contratto di appalto di opere e di servizi.
6.7. La Corte d’Appello nella statuizione assunta, nel ritenere che si vertesse in un’ipotesi di somministrazione irregolare di cui all’art. 27 del D.Lgs. n. 276 del 2003, ha dato rilievo alle previsioni dell’art. 29 citato, per quanto le stesse indicano le caratteristiche del contratto di appalto ex art. 1655 c.c., con motivazione congrua ed esente da vizi (peraltro, nel ricorso, nei quesiti formulati con riguardo ai vizi di motivazione in ragione di fatti controversi, non è precisato lo specifico riferimento probatorio, essendo lasciata in sospeso l’indicazione della testimonianza di riferimento), che ha esaminato le risultanze probatorie, argomentando in modo logico e congruo in ordine alle stesse. La Corte d’Appello ha ritenuto che non sussistessero le condizioni fissate dal citato art. 29 ai fini della regolare stipula del contratto d’appalto di cui all’art. 1655 c.c., per più ragioni che fanno corretta applicazione della suddetta disposizione.
In particolare:
– l’essere stato smentito che oggetto dell’appalto sarebbe stato il servizio di assistenza al remote banking, in quanto i dipendenti A., insieme con altri lavoratori sia di altre ditte esterne sia del S.I. concorrevano a formare un gruppo di lavoro che promiscuamente ed indifferenziatamente si occupava di svolgere tale attività. Pertanto – assume la Corte – l’appalto non riguardava l’effettuazione del servizio, ma la forza lavoro a cui, solo in parte, lo stesso era devoluto (sul punto sono richiamate le testimonianze Da., De.);
– l’essere svolto il coordinamento dei dipendenti A. da un dipendente S.I. (sul punto sono richiamate le testimonianze C., Mi.);
– l’interscambiabilità e la fungibilità tra i vari componenti del gruppo addetto al servizio di assistenza al remote banking, compresi anche dipendenti S.I. (è richiamata la testimonianza D.);
– l’esclusione di rischio d’impresa in capo alla A. circa il conseguimento del risultato finale.
La Corte d’Appello, quindi, ha escluso la sussistenza di un contratto di appalto di opere e servizi, poiché la società S.I. continuava a farsi carico direttamente dell’assistenza al remote banking, ed ha ritenuto che il rapporto tra le due società fosse volto ad incrementare la forza lavoro mediante la fornitura di manodopera. Tale possibilità – ha affermato la Corte d’Appello – potrebbe sussistere solo in presenza delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, che la stessa ha ritenuto peraltro non ricorrere nella fattispecie in esame.
Alla luce delle considerazioni svolte, in ragione della non fondatezza dei motivi d’impugnazione dedotti, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di M.R. come in dispositivo.
Nulla spese per A.I. spa non costituita in giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti di M.R. che liquida in euro 30,00 per esborsi, euro 2.500 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma il 13 aprile 2011
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