CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 luglio 2013, n. 17718
Lavoro autonomo e lavoro subordinato – Criteri discretivi – Vincolo di assoggettamento gerarchico – Mansioni e svolgimento – Mancata specificazione
Svolgimento del processo
Con ricorso ai Tribunale di Siracusa, C.S. conveniva l’Agenzia Ippica del Centro di L.A. & C. s.n.c. (poi diventata Agenzia Ippica del Centro s.r.l.), per sentirla condannare al pagamento della somma di euro 37.276,54, o quell’altra maggiore o minore somma che avesse determinato il c.t.u., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; tutto ciò, previo riconoscimento, in difformità della qualificazione come autonoma datane dalle parti, dell’esistenza di una rapporto di lavoro subordinato quale termina li sta presso il punto scommesse della convenuta sito in Floridia, nel periodo dall’8 gennaio 2000 al 20 dicembre 2002; esponeva di avere svolto l’orario di lavoro indicato in ricorso, con una paga oraria di euro 2,50 l’ora. Si costituiva la società contestando la fondatezza della domanda, sostenendo l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto la ricorrente aveva reso nei confronti della società prestazioni solo occasionali di lavoro autonomo, senza alcuna soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Eccepiva altresì l’inapplicabilità alla fattispecie di lavoro in questione delle previsioni del c.c.n.l. invocato (pubblici esercizi), anche alla luce della esistenza nell’ordinamento sindacale di specifica contrattazione di categoria (c.c.n.l. per le agenzie ippiche).
Il Giudice di primo grado, dopo aver escusso i testi e disposta c.t.u. contabile, dichiarava l’esistenza tra le parti del rapporto di lavoro subordinato dedotto in ricorso, e di conseguenza condannava la società resistente al pagamento della somma di euro 26.160,53 oltre accessori.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza depositata il 23 febbraio 2010, in riforma della pronuncia gravata, ritenendo non provata la soggezione della S. al potere direttivo datoriale, e dunque l’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, rigettava l’originaria domanda.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la S. affidato a due motivi.
Resiste la s.r.l. Agenzia Ippica del Centro con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cc.
Lamenta che la sentenza impugnata aveva escluso la subordinazione in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia di addetti alle agenzie di scommesse ippiche, rilevando invece l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, con prestazione di sole energie lavorative corrispondenti all’interesse dell’impresa, sovrattutto avuto riguardo a mansioni elementari e ripetitive che, per loro natura, non richiedono penetranti direttive che riguardino il concreto esercizio dell’attività lavorativa.
Lamenta inoltre che la Corte di merito aveva erroneamente attribuito rilievo al nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto lavorativo de quo, in assenza di idonea documentazione in tal senso ed in ogni caso in contrasto col principio di effettività che preclude alle partì una qualificazione vincolante circa la natura del rapporto di lavoro.
2. Il motivo è infondato.
Ed invero non può, in primo luogo, attribuirsi alcun valore decisivo alla circostanza che in controversie di contenuto simile, la giurisprudenza di legittimità abbia talvolta riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Non può infatti sottacersi che elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato, costituente elemento discretivo rispetto al lavoro autonomo, è il vincolo della subordinazione -la quale consiste per il lavoratore in un vincolo di assoggettamento gerarchico e per il datore di lavoro nel potere di imporre direttive non soltanto generali, in conformità di esigenze organizzative e funzionali, ma tali da inerire di volta in volta all’intrinseco svolgimento della funzione- mentre altri elementi, quali le modalità della prestazione, la forma del compenso e l’osservanza di un determinato orario, assumono invece valore sussidiario (ex plurimis, Cass. n. 2970\01; n. 7025\05; n. 1536\09). Se è pur vero che ove la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare decisivo, occorrendo così far ricorso ai criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore (Cass. n. 1536\09; Cass. n. 9251\10), è altrettanto vero che nella specie la ricorrente non ha dedotto alcunché in ordine a tali ultime circostanze.
3. Nella specie la Corte di merito ha acccertato che dalle prove raccolte era emerso solo che l’attività lavorativa in questione fosse stata svolta con continuità e secondo direttive generali del datore di lavoro, ciò che non risultava sufficiente ai fini del riconoscimento della subordinazione. La ricorrente non chiarisce e specifica quali fossero in concreto le sue mansioni, né le concrete modalità di svolgimento delle stesse, sicché la Corte non ha ragioni per cassare la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dell’accertata volontà negoziale, che la ricorrente contesta senza tuttavia offrire diversi elementi di valutazione, limitandosi invero ad escluderne qualsivoglia rilevanza, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità che, se ne esclude la decisività, non ne esclude il rilievo, anche in base al reciproco affidamento delle parti (Cass.4.8.95 n.8565, Cass.29.5.96 n.4948, Cass. 15.2.97 n.1427, Cass.20.6.97 n.552; cfr. da ultimo Cass. n. 1536\09).
4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia una insufficiente e contraddittoria motivazione (ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oltre ad una errata interpretazione ed applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione alle risultanze istruttorie.
Lamenta che i testi escussi avevano confermato, a differenza di quanto ritenuto dai giudici d’appello, la natura subordinata del rapporto, mentre risultava insufficiente la motivazione circa la maggiore o minore attendibilità dei testimoni ascoltati.
5. Il motivo è inammissibile per richiedere a questa Corte un nuovo esame delle circostanze di causa e delle emergenze istruttorie.
Deve infatti considerarsi che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5) cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il citato art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
Come chiaramente affermato nell’’ultima sentenza richiamata, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censita per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti.
6. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le alterne fasi del giudizio di merito giustificano la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
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