Corte di Cassazione sentenza n. 18118 del 22 ottobre 2012
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE – IPOTESI DI ASSUNZIONI A TERMINE PREVISTE DALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA EX ART. 23 DELLA LEGGE N. 56/1987 – LIMITI DELLE TIPOLOGIE CONTRATTUALI – ESCLUSIONE – CONTRATTAZIONE COLLETTIVA AZIENDALE – INDIVIDUAZIONE DI IPOTESI DI ASSUNZIONE A TERMINE RELATIVE AD UN SINGOLO DATORE DI LAVORO – LEGITTIMITA’ – CONDIZIONI – FATTISPECIE
massima
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Le assunzioni disposte ai sensi dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre alle fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche nonché dall’art. 8-bis del decreto legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua delle esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti. Proprio perché si tratta di una delega in bianco, non può dubitarsi della facoltà della contrattazione nazionale o locale (regionale o provinciale) di rimettere anche alla contrattazione collettiva aziendale l’individuazione del presupposto di fatto per la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda proposta da C. G., ufficiale di riscossione, nei confronti della S. S.p.A. (successivamente incorporata dalla E. P. S.p.A.), dichiarando la nullità del termine apposto al primo dei cinque contratti, tutti a tempo determinato, stipulati dalle parti a decorrere dal 30 maggio 1997, nonché l’esistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Ha condannato altresì la società incorporante a riassumere il lavoratore ed a corrispondergli le retribuzioni a decorrere dalla data di notifica del ricorso introduttivo, con gli accessori di legge.
Ha osservato la Corte territoriale che il primo contratto a termine, a prescindere dall’indagine relativa all’esistenza dei presupposti che giustificavano l’apposizione del termine, era stato stipulato sulla scorta della contrattazione aziendale del 13 maggio 1997 che non era idonea ad individuare le ipotesi in cui poteva farsi ricorso a contratti a tempo determinato. Ed infatti, a norma dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 23, il potere di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro spettava alla contrattazione collettiva nazionale o locale, con esclusione di quella aziendale. Conseguentemente il termine apposto al contratto doveva ritenersi nullo.
Per la riforma di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione E. P. S.p.A. sulla base di un solo motivo.
Resiste con controricorso il lavoratore.
Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione della legge n. 230 del 1962, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e dell’art. 1418 c.c., deduce che la contrattazione collettiva a livello aziendale era idonea ad individuare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, anche perché delegata in tal senso dall’art. 25 del CCNL relativo ai concessionari per le riscossioni. Conseguentemente, il primo contratto a termine, stipulato sulla base dell’accordo aziendale del 13 maggio 1997, era legittimo.
2. Il lavoratore contesta tale assunto, rilevando che, a norma dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, il potere di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro è attribuito alla sola contrattazione collettiva nazionale o locale, con esclusione di quella aziendale, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.
In ogni caso, aggiunge, le assunzioni a termine erano illegittime per le ragioni già precedentemente dedotte, non esaminate dalla Corte di appello perché assorbite dalla pronunzia qui impugnata.
Deduce infine, con la memoria ex art. 378 c.p.c., che il ricorso è inammissibile, avendo la società ricorrente omesso di trascrivere, in violazione del principio di autosufficienza, il contenuto degli accordi aziendali contenenti la previsione del termine.
3. Tale ultima eccezione, il cui esame sotto il profilo logico precede ogni altra questione, è infondata.
Questa Corte è infatti chiamata a stabilire se la contrattazione aziendale, delegata da quella nazionale, è astrattamente idonea ad individuare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, e non già a verificare il contenuto degli accordi aziendali al fine di accertare la sussistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine, questione questa che non costituisce oggetto del presente giudizio e che non è stata esaminata dalla Corte territoriale perché assorbita dalla pronunzia che ha dato luogo alla presente impugnazione.
4. Il ricorso è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata in senso diverso rispetto al principio affermato da Cass. 11655/06, richiamato nella sentenza impugnata, secondo cui l’individuazione di nuove ipotesi di contratti a termine effettuata dalla struttura aziendale è nulla, atteso che la norma di cui all’art. 23 della legge n. 56 del 1987, la quale attribuisce alla sola contrattazione collettiva nazionale o locale il potere di individuare dette ipotesi, è inderogabile.
È stato infatti affermato in più occasioni, anche recentemente, sulla scia di Cass. n. 5793/06, che le assunzioni disposte ai sensi dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre alle fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche nonché dall’art. 8 bis d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua delle esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti. Proprio perché si tratta di una delega in bianco, non può dubitarsi della facoltà della contrattazione nazionale o locale {regionale o provinciale) di rimettere anche alla contrattazione aziendale l’individuazione del presupposto di fatto per la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (cfr. Cass. 11515/06, Cass. 23766/09, Cass. 23767/09, Cass. 16598/11, Cass. 16599/11, Cass. 16600/11, Cass. 16601/11, le ultime quattro concernenti lavoratori assunti per la notifica di atti esattoriali).
È stato altresì chiarito che la circostanza che il presupposto di fatto legittimante l’apposizione del termine, ove previsto dall’accordo aziendale a ciò autorizzato dalla contrattazione collettiva, sia riferito solo ad un determinato datore di lavoro e non già ad una pluralità di datori di lavoro, come nell’ipotesi della contrattazione collettiva di livello nazionale o locale, non contraddice il carattere generale ed astratto della previsione contrattuale, ne entra in conflitto con il disposto della legge n. 56 del 1987, art. 23, essendo anzi in sintonia con quest’ultimo che esprime appunto l’intento del legislatore di identificare i presupposti per il legittimo ricorso ai contratti a termine, ritagliandoli sulla concreta e variegata realtà aziendale, inevitabilmente non uniforme a livello nazionale, ma meglio percepibile dal sindacato (cfr. Cass. 5793/06 e Cass. 11515/06 cit.).
Alla stregua degli esposti principi, cui questa Corte intende dare continuità, il ricorso deve essere accolto, pacifico essendo tra le parti e come peraltro dà atto la sentenza impugnata, che nella nota a verbale in calce all’art. 25 del CCNL di settore si demanda alla contrattazione aziendale l’individuazione di eventuali ipotesi nelle quali i concessionari possono stipulare contratti a tempo determinato ai sensi dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987.
5. Va dunque ribadito il principio che, in tema di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, l’art. 23 della legge n. 56 del 1987, ha esteso l’ambito dei contratti a termine “autorizzati”, consentendo alla contrattazione collettiva nazionale o locale, ovvero alla contrattazione aziendale, su delega di quella nazionale o locale, di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro.
6. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale dovrà adeguarsi al principio sopra enunciato, accertando la effettiva sussistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine (Cass. 8294/06, Cass. 14877/06, Cass. 14283/11, Cass. 14284/11) al primo ed eventualmente anche agli contratti a termine stipulati dalle parti.
Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.