CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 settembre 2013, n. 20485
Tributi – IVA – Associazione – Violazioni per omesse fatturazioni e registrazioni di fatture – Responsabilità personale dei componenti del consiglio di amministrazione – Prova dell’effettiva ingerenza nella gestione dell’ente – Necessità – Responsabilità limitata al periodo in cui è provata l’ingerenza
Premesso in fatto.
1. Con sentenza n. 308/36/07, depositata il 10.3.08, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Civitavecchia avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto da (…) e (…) nei confronti delle cartelle di pagamento, emesse dall’Amministrazione finanziaria ai fini IVA per l’anno di imposta 1997.
2. La CTR – confermando sul punto la decisione di primo grado – riteneva, invero, che i ricorrenti, in quanto non essendo amministratori dell’Associazione Culturale l’Altana, debitrice di imposta per omesse fatturazioni e registrazioni di fatture, ma solo soci del sodalizio, fossero sforniti di legittimazione passiva a fronte della pretesa tributaria azionata dall’Amministrazione finanziaria.
3. Per la cassazione della sentenza n. 300/36/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, ai quali i resistenti hanno replicato con controricorso, contenente, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Osserva in diritto.
1. A seguito di processo verbale di constatazione n. 102/99 – nel quale l’Ufficio accertava, nei confronti dell’Associazione Culturale l’Altana, la sussistenza di violazioni IVA per omesse fatturazioni e registrazioni relative all’anno di imposta 1997 – veniva notificato alla predetta associazione avviso di accertamento, cui faceva seguito, per mancato pagamento da parte dell’ente, la notifica di distinte cartelle esattoriali nei confronti di (…), e (…), considerati dall’Ufficio “soci e membri del consiglio direttivo dell’ente”.
1.1. Le suddette cartelle di pagamento venivano, quindi, impugnate dai destinatari, i quali eccepivano la loro carenza di legittimazione passiva a fronte della pretesa fiscale azionata nei loro confronti dall’Amministrazione finanziaria, essendo l’associazione cessata nel 1998, e non avendo essi istanti contratto obbligazioni in nome e per conto della medesima, ai sensi dell’art. 38 c.c.
1.2. Tali deduzioni dei ricorrenti venivano condivise dalla CTP di Roma, avverso la cui decisione, favorevole ai contribuenti, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, disatteso dalla CTR del Lazio. Avverso la sentenza di seconde cure ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria, sulla base di due censure.
2. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro intima connessione vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 38 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c
2.1. Osserva, invero, l’Amministrazione ricorrente che il debito tributario di un’associazione non riconosciuta – tale essendo l’Associazione Culturale l’Altana – in caso di cessazione dell’ente (nella specie verificatasi nell’anno 1998) e di decesso del presidente del sodalizio, dovrebbe cedere a carico, nell’impossibilità di investirne il legale rappresentante,, non solo dei soci che abbiano agito in nome e per conto dell’ente, ma anche, in via personale e solidale, di coloro che ne abbiano avuto la direzione, per essere stati componenti del consiglio direttivo dell’associazione. Tale rilievo, mosso dall’Amministrazione ai contribuenti, sia nei rispettivi atti impositivi che nei due gradi di merito del giudizio, avrebbe dovuto, pertanto, indurre la CTR – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – a considerare i medesimi soggetti passivi d’imposta.
2.2. Tanto più che il giudice di appello avrebbe del tutto mancato di valutare – di qui il dedotto vizio di omessa motivazione – le risultanze del processo verbale di constatazione, dal quale si sarebbe desunto, in maniera evidente, che (…), (…), e (…) erano, oltre che soci, membri del consiglio direttivo dell’ente, e perciò investiti di poteri di rappresentanza e direzione dell’Associazione Culturale l’Altana.
3. Il ricorso è infondato.
3.1. Va osservato, infatti, che – secondo il costante insegnamento di questa Corte – la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Si è, altresì, precisato – al riguardo – che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass. 25748/08, 29733/11).
3.2. D’altro canto, la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell’agente nell’attività dell’ente (Cass. 5746/07).
Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (cfr., ex plurima, Cass. 26290/07, 25748/08).
3.3. Il principio suesposto, in riferimento alla responsabilità solidale, ex art. 38 c.c., di coloro che agiscono in nome per conto dell’associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell’ente, la concreta attività negoziale riferibile all’ associazione stessa, è stato – di poi – ritenuto da questa Corte applicabile anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass. 16344/08, 19486/09), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota siffatte obbligazioni.
Si è – per vero – rilevato, in proposito, che il principio in questione non esclude, peraltro, che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel perioda considerato. Ciò nondimeno, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 ce. -vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (v. Cass. 5746/07).
3.4. Tutto ciò premesso, va rilevato che, nel caso concreto, la pretesa fiscale azionata nei confronti degli odierni resistenti non è in alcun modo fondata – come si evince sia dal ricorso che dalla memoria ex art. 378 c.p.c. dell’Agenzia delle Entrate – sul fatto che i medesimi abbiano svolto attività negoziale in nome e per conto dell’ente; circostanza,, del resto, esclusa dalla stessa sentenza impugnata, non gravata sul punto dall’ Amministrazione finanziaria. E neppure è controverso che nessuno di essi abbia mai rivestito la qualità di legale rappresentante del sodalizio, come – del pari – accertato dalla stessa sentenza di seconde cure.
3.5. In realtà, l’individuazione dei resistenti quali soggetti passivi dell’obbligazione tributaria azionata risulta effettata dall’Agenzia delle Entrate sulla base del rilievo – smentito dall’impugnata sentenza, che li ha considerati come “semplici soci” – che i medesimi avrebbero assunto, in qualche modo, la direzione dell’associazione, per essere stati membri del consiglio direttivo dell’ente.
Ed a supporto di tale argomentazione, l’Amministrazione ha trascritto nel ricorso per cassazione le parti essenziali dell’atto di appello, nel quale la medesima evidenziava alla CTR che i destinatari delle cartelle di pagamento in contestazione “non erano semplici soci ma membri del consiglio direttivo e, perciò, investiti di poteri di rappresentanza e direzione dell’ente”. Siffatta qualità degli odierni resistenti si desumerebbe, invero, dal processo verbale di constatazione – del pari trascritto, in parte qua, nel ricorso per cassazione – nel quale venivano indicati espressamente come “membri” di detto consiglio, e non come semplici soci. Sicché la sentenza di seconde cure andrebbe cassata – a parere della ricorrente – per non avere la CTR tenuto conto di siffatte risultanze decisive, emergenti dagli atti del giudizio di secondo grado.
3.6. Tali censure dell’Amministrazione, tuttavia, a giudizio della Corte, non colgono nel segno.
3.6.1. La suesposta esigenza che anche coloro i quali, in forza del ruolo rivestito nell’associazione, abbiano diretto la gestione associativa abbiano realizzato un’effettiva ingerenza nell’attività dell’ente, comporta – come dianzi detto – che la responsabilità per le obbligazioni sociali, anche di natura tributaria, debba essere circoscritta a quelle sole obbligazioni che siano insorte nel periodo di relativa investitura di ciascun componente del consiglio direttivo (Caas. 5746/07).
Ed infatti, posto che la rappresentanza dell’ente spetta in via di principio al legale rappresentante ex art. 36 c.c., e che il consiglio direttivo ha, di conseguenza, per lo più compiti consultivi del presidente, l’assunzione della qualità di soggetto passivo di imposta a carico di ciascun singolo componente di detto organo direttivo – ipotizzata, nel caso di specie, dall’Amministrazione finanziaria – avrebbe richiesto la prova dell’effettiva insorgenza delle obbligazioni in discussione nel periodo di investitura di ciascuno del predetti componenti del consiglio direttivo. Poiché, invero, la responsabilità personale di ciascuno dei suddetti soggetti è circoscritta al periodo in cui la sua ingerenza nell’attività dell’ente, per l’investitura nella carica sociale, deve considerarsi effettiva, costituiva onere dell’Ufficio provare tale circostanza [Cass. 25748/08), in quanto costitutiva del proprio diritto ad azionare la pretesa nei confronti dello stesso soggetto.
3.6.2. Per contro, dall’esame del processo verbale di constatazione, nell’unica parte trascritta nel ricorso, è dato desumere esclusivamente che (…) , (…), (…) e (…) i erano ivi indicati come componenti del consiglio direttivo del sodalizio, ma senza specificazione alcuna né della data della nomina, né di quella di cessazione dalla carica, ai fini del riscontro della loro effettiva ingerenza nella gestione dell’ente nel periodo in considerazione. 4. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente soccombente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2.500,00, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge.