Corte di Cassazione sentenza n. 21425 del 17 ottobre 2011
PREVIDENZA ED ASSISTENZA – PENSIONI – PENSIONE AI SUPERSTITI – RIVERSIBILITA’ – FIGLI INABILI – FIGLI – RIVERSIBILITA’ IN FAVORE DEI FIGLI MAGGIORENNI INABILI AL LAVORO – INABILITA’ AL LAVORO – REQUISITO INABILITA’ – ELEMENTO COSTITUTIVO DEL DIRITTO – EFFETTI – ACCERTAMENTO – CRITERIO CONCRETO – APPLICABILITA’ – ESTREMI
massima
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L’accertamento del requisito della “inabilità” (di cui all’art. 8 della legge n. 222 del 1984) richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità ed alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 della Costituzione e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico.
In caso di morte del titolare di pensione di invalidità, la pensione di riversibilità spetta al coniuge ed ai figli minorenni, mentre ai figli superstiti maggiorenni spetta soltanto se essi siano riconosciuti inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo; l’inabilità al lavoro rappresenta pertanto un presupposto del diritto alla pensione di riversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice, a nulla rilevando che l’istituto previdenziale non abbia tempestivamente eccepito la carenza del suddetto presupposto.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.M., rappresentato dal tutore M.B., ha chiesto dichiararsi il proprio diritto alla pensione di riversibilità di entrambi i genitori (morti, rispettivamente, il padre nel omissis e la madre nel omissis) in quanto totalmente inabile al momento della morte di essi.
Il Tribunale ha rigettato la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte di Appello di Milano, che ha accolto la domanda condannando l’I. alla corresponsione dei ratei arretrati a partire dal 27.9.1995 (e cioè nei limiti della prescrizione quinquennale). A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che il G.M. versasse in condizioni di inabilità totale al momento della morte della madre, essendo impiegato in un’attività svolta presso un laboratorio protetto, che si riduceva, in realtà, ad un simulacro di attività lavorativa, per essere del tutto priva di ogni riscontro di produttività, oltre che in perdita economica. Secondo la Corte territoriale, inoltre, poiché la madre del G.M. fruiva sia della pensione diretta che di quella di riversibilità del coniuge, “era sufficiente avere riguardo al momento del decesso della madre per stabilire il diritto a percepire a titolo di reversibilità entrambi i trattamenti pensionistici”.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’I. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso G.M. (come sopra rappresentato).
Il controricorrente, rappresentato dal nuovo tutore, G.C., ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c, chiedendo a questa Corte di stabilire “se una sentenza che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità per un periodo più ampio di quello richiesto dall’interessato, con la domanda giudiziale, sia viziata da error in procedendo per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c.”.
2. – Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 22 della legge n. 903/65, in relazione all’art. 8, comma 2, della legge n. 222/84, chiedendo a questa Corte di stabilire “se ai sensi dell’art. 22 della legge n. 903/65, in relazione all’art. 8 della legge n. 222/84, il diritto alla pensione di reversibilità spetta al figlio maggiorenne che al momento del decesso del titolare originario svolga attività di lavoro autonomo o subordinato in regola anche sotto il profilo contributivo”.
3. – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 22 legge n. 903 del 1965, chiedendo a questa Corte di stabilire “se ai sensi dell’art. 22 della l. n. 903/65 alla morte del titolare della pensione di reversibilità, siffatta pensione possa essere trasmessa ai superstiti del titolare della medesima pensione di reversibilità”.
4. – Il primo motivo è fondato. Con il ricorso in appello l’interessato aveva chiesto il riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità per la morte di entrambi i genitori, con la condanna dell’I. alla corresponsione dei ratei arretrati a far tempo “dal triennio anteriore alla data di deposito della domanda in giudizio (19.11.2002)”, mentre la Corte territoriale ha riconosciuto tale diritto “a partire dal 27 settembre 1995”, così incorrendo nel vizio denunciato dall’Istituto ricorrente.
5. – Il secondo motivo è infondato. L’I. in sostanza eccepisce che, alla data della morte della madre, il G.M. svolgeva un’attività di lavoro in regola anche sotto il profilo contributivo e pertanto mancavano i requisiti previsti dall’art. 22 legge n. 903/65 ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità. L’assunto trascura di considerare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, l’accertamento del requisito della “inabilità” (di cui all’art. 8 della legge n. 222 del 1984) richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (cfr. explurimis Cass. n. 12765/2004). Nella specie, la Corte territoriale ha accertato, con una valutazione di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, che le residue capacità lavorative del G.M. erano talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, che dovevano comunque essere completate da un altro operatore, e si risolvevano, in buona sostanza, nello svolgimento di “un’attività del tutto priva di ogni riscontro di produttività, oltre che in perdita economica”, esercitata esclusivamente all’interno di strutture protette, con esclusione di una qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno. La Corte di merito ha, dunque, verificato in concreto la permanenza o meno di una capacità del soggetto di svolgere un’attività tale da procurargli una fonte di guadagno che non fosse meramente simbolica e, nel ritenere che l’interessato fosse totalmente inabile al lavoro, si è correttamente attenuta ai principi che sono stati sopra enunciati. La sentenza impugnata, in definitiva, non è assoggettabile alle censure che le sono state mosse con il motivo in esame, che deve essere pertanto respinto.
6. – Il terzo motivo è fondato. Il quesito formulato da parte ricorrente deve trovare risposta nel principio già affermato da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 11999/2002), ed al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui “in tema di pensione ai superstiti, a norma dell’art. 22 legge n. 903 del 1965, il diritto a pensione di riversibilità spetta, alla morte del pensionato o dell’assicurato, iure proprio, a ciascuno dei soggetti individuati dalla citata norma, in ragione dei rapporti con il defunto e in relazione alla situazione in cui si trova al momento del decesso di quest’ultimo; deve pertanto escludersi che sia prevista la trasmissibilità del diritto a pensione di riversibilità e, in particolare, deve escludersi che, alla morte del titolare di pensione di riversibilità, detta pensione venga ulteriormente attribuita ai superstiti di quest’ultimo”. Quanto alle considerazioni svolte sul punto dal controricorrente, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di morte del titolare di pensione di invalidità, la pensione di riversibilità spetta al coniuge e ai figli minorenni, mentre ai figli superstiti maggiorenni spetta soltanto se essi siano riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo; l’inabilità al lavoro rappresenta pertanto un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice, a nulla rilevando che l’istituto previdenziale non abbia tempestivamente eccepito la carenza del suddetto presupposto (Cass. n. 1367/98, Cass. n. 2204/81). Sulla stessa linea, anche se in tema di invalidità civile, è stato affermato che nei giudizi volti al riconoscimento del diritto a pensione o ad assegno di invalidità civile, il requisito reddituale, al pari dei requisiti sanitari e di quello socio-economico (c.d. incollocazione al lavoro), costituisce elemento costitutivo del diritto, la cui sussistenza va verificata anche d’ufficio ed è preclusa solo dalla relativa non contestazione, ove la situazione reddituale sia stata specificamente dedotta, nonché dal giudicato, nel caso in cui non sia stato proposto sul punto specifico motivo di appello (cfr. Cass. n. 16395/2008). È stato altresì precisato che, in tema di pensione di reversibilità, il requisito della inabilità, prescritto ai fini della sussistenza del diritto alla pensione di reversibilità o indiretta in favore del figlio ultradiciottenne vivente a carico del genitore, pensionato o assicurato, al momento del decesso di quest’ultimo, deve esistere con riferimento a tale momento perché possa ritenersi integrata la fattispecie costitutiva del diritto stesso, restando lo stato di inabilità irrilevante ove insorga successivamente a quel momento, attesa la inapplicabilità dell’art. 149 disp. att. c.p.c., riguardante soltanto la pensione diretta di invalidità (Cass. n. 15440/2004).
7. – La sentenza impugnata, che non si è attenuta i principi sopra indicati, va dunque cassata in relazione ai due motivi accolti, con rinvio della causa alla stessa Corte d’appello in diversa composizione, che terrà conto dei rilievi espressi sub 4) e si atterrà nella decisione ai principi enunciati sub 6).
8. – Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per le spese alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 luglio 2011.
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