CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24892
Tributi – Reddito di Impresa – Determinazione interessi passivi – Deducibilità – Ammissibilità
Svolgimento del processo
La spa P., già T. snc di T.A. e S., nonché S.T. ed A.T. in proprio, propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto che, per quanto ancora rileva, accogliendo l’appello dell’amministrazione ha negato la detassazione del reddito d’impresa reinvestito negli anni 1994 e 1995, prevista dall’art. 3 del d.l. 10 giugno 1994, n. 357, convertito nella legge 8 agosto1994, n. 489, nella misura in cui gli investimenti ultra annuali realizzati dalla società – relativi all’ampliamento dell’immobile e degli impianti industriali di lavorazione delle carni esistenti -, non risultando assistiti, per il periodo d’imposta 1994, da stati di avanzamento dei lavori, non erano stati provati; ed accogliendo solo parzialmente l’appello incidentale della contribuente ha riconosciuto la deducibilità dei soli interessi passivi relativi ad investimenti in CCT, e non anche quelli relativi a prestiti ad una persona fisica in quanto non inerenti alla produzione del reddito.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato e vizio di motivazione, censurano la sentenza per aver subordinato il riconoscimento dell’agevolazione all’effettiva sussistenza di stati di avanzamento dei lavori, e per aver ritenuto che nella specie gli investimenti ultra annuali che la contribuente assumeva aver realizzato non risultavano assistiti da stati di avanzamento dei lavori, laddove sarebbe stato controverso, e devoluto al giudice d’appello con l’impugnazione dell’ufficio, la sola questione concernente l’applicabilità, ai fini dell’imputazione a periodo d’imposta dei detti investimenti, del criterio dello stato di avanzamento dei lavori.
Con il secondo motivo, denunciando error in procedendo, violazione di legge e vizio di motivazione, lamentano la violazione del principio di non contestazione, assumendo che non sarebbero state contestate dall’amministrazione le allegazioni della contribuente “in punto di esistenza degli stati di avanzamento dei lavori, come in punto di loro contenuto, o di effettività, consistenza e tempistica degli investimenti e lavori effettuati e delle agevolazioni quantificate nella misura dichiarata in autoliquidazione per il periodo d’imposta 1994”.
I due motivi, che in ragione della loro stretta connessione vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Dall’imposizione del reddito d’impresa, in base all’art. 3 del d.l 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modifiche nella l. 8 agosto 1994, n. 489, è escluso il 50 per cento del volume degli investimenti realizzati nel periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto ed in quello successivo che risultino eccedenti rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla predetta data (Cass. n. 11458 del 2011 e n. 1521 del 2004).
In considerazione della limitazione del beneficio fiscale ai soli periodi d’imposta 1994 e 1995 assume particolare rilievo, quando le opere abbiano un tempo di esecuzione ultrannuale, l’imputazione dei relativi investimenti ai detti periodi d’imposta.
Con l’avviso di accertamento impugnato, riprodotto per ampi stralci nel ricorso per cassazione della società contribuente, l’ufficio aveva escluso dagli investimenti “agevolabili” gli importi relativi all’ampliamento dell’immobile e degli impianti di lavorazione del prodotto, “in quanto non riconosciuti come investimenti realizzati nell’anno 1994”.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, chi voglia far valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi – come del resto chi deduca l’esistenza di componenti negativi ai fini della determinazione del reddito imponibile – deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione (da ultimo, ex multis, Cass. n. 21406 del 2012).
L’individuazione del criterio di imputazione al periodo di imposta degli investimenti per opere ad esecuzione ultrannuale non può dunque esaurire il thema decidendum, quando l’ufficio contesti, care nella specie, la riferibilità degli investimenti ad un determinato periodo d’imposta, richiedendo ancora, del resto, con l’appello – Finché si legge nella sentenza impugnata – “la conferma della legittimità e della parziale fondatezza degli accertamenti per assenza degli elementi probatori necessari e la rideterminazione del quantum”.
Il giudice di merito, mentre ha riconosciuto, ai fini dell’imputazione degli investimenti, come corretto il criterio degli stati di avanzamento dei lavori propugnato dalla contribuente, passando poi all’esame della prova della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio, ha affermato che l’ammissione all’agevolazione andava “però subordinata all’effettiva esistenza di stati di avanzamento dei lavori”, ed ha in proposito rilevato che “agli atti del procedimento non risultavano allegati gli stati di avanzamento dei lavori effettuati dalla società”. Questi ultimi, infatti, “non possono essere costituiti né sostituiti dalle fatture allegate dalla società, perché sintetiche, non stabilite in contraddittorio con la direzione dei lavori, come previsto, normalmente, nei contratti di appalto. In altri termini, la commissione ritiene che le fatture non rappresentino elementi atti a rappresentare lo stato di avanzamento dei lavori”.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono emessa pronuncia e vizio di motivazione in ordine al recupero degli interessi passivi considerati indeducibili perché non inerenti alla produzione del reddito, deducendo la mera apparenza della motivazione.
Con il quarto motivo denunciano, in ordine alla detta indeducibilità, sotto diverso profilo, mancanza o vizio di motivazione e violazione di legge.
Il terzo motivo è fondato, assorbito l’esame del quarto motivo, in quanto “ai fini della determinazione del reddito d’impresa, gli interessi passivi, a mente dell’art. 75 comma quinto del d.P.R. n. 917/1986, e a differenza della precedente normativa contenuta nell’art. 74 del d.P.R. n. 597/1973, sono sempre deducibili, anche se nei limiti della disciplina dettata dall’art. 63 del detto d.P.R. n. 917/1986 che indica misura e modalità del calcolo degli interessi passivi deducibili in via generale, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza” (Cass. n. 14702 del 2001 e n. 9380 del 2009).
Questa Corte ha infatti chiarito come resti “precluso tanto all’imprenditore quanto all’Amministrazione finanziaria dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo” (Cass. n. 1465 del 2009).
In conclusione, i primi due motivi del ricorso devono essere rigettati, mentre va accolto il terzo motivo, assorbito l’esame del quarto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo dei contribuenti, limitatamente al rilievo concernente la deducibilità degli interessi passivi.
Le spese del giudizio, in considerazione della parziale soccombenza, vanno compensate nella misura di un terzo, con la condanna dei ricorrenti al pagamento dei residui due terzi, e si liquidano per l’intero come in dispositivo.
Vanno del pari compensate fra le parti le spese per i gradi di merito nella misura di un terzo, con la condanna dei ricorrenti al pagamento dei residui due terzi, liquidandole per l’intero come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbito il quarto motivo, e rigetta il primo ed il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo con riguardo al rilievo concernente la deducibilità degli interessi passivi.
Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio nella misura di un terzo, e condanna i ricorrenti in solido al pagamento dei residui due terzi, liquidandole per l’intero in euro 5.000/00 oltre alle spese per euro 200/00.
Dichiara compensate fra le parti le spese per i gradi di merito nella misura di un terzo, e condanna i ricorrenti in solido al pagamento dei residui due terzi, liquidandole per l’intero in euro 4.000/00.
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