Corte di Cassazione sentenza n. 28687 del 23 dicembre 2011
LAVORO E PREVIDENZA – CONTROVERSIE – RITO DEL LAVORO – VALUTAZIONE EQUITATIVA DELLE PRESTAZIONI – POTERI DEL GIUDICE – CONDIZIONI – LIMITI
massima
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Nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall’art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato dal giudice del merito soltanto nell’ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell’esercizio di tale potere discrezionale il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del “quantum debeatur”, indicando i criteri oggettivi assunti a base del procedimento valutativo.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Salerno, adita su impugnazione proposta da E.S., ricorrente in primo grado, confermava la sentenza di prime cure che, in parziale accoglimento della domanda proposta dallo stesso S. nei confronti di S.M., titolare della ditta E., aveva accertato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato e per l’effetto aveva condannato il convenuto al pagamento della somma di Euro 22.400,00 oltre accessori. In particolare la Corte territoriale confermava la legittimità della determinazione equitativa della somma dovuta in considerazione della ritenuta impossibilità di una precisa individuazione del quantum sulla base degli elementi acquisiti in ordine alla effettiva quantità e qualità del lavoro svolto.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso lo S. affidato ad un unico motivo. S.M. resiste con controricorso col quale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in quanto notificato da ufficiale giudiziario incompetente.
Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve premettersi che è del tutto infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal contro ricorrente. Questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 30 agosto 2011 n. 17804) ha infatti chiarito che la nullità della notificazione del ricorso per cassazione, eseguita da ufficiale giudiziario incompetente, non si estende al ricorso e resta sanata con la costituzione dell’intimato, ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c., con effetto ex tunc, senza che possa invocarsi il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c. e vizio di motivazione. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto applicabile alla fattispecie la liquidazione equitativa atteso che gli elementi di valutazione acquisiti al processo (prove testimoniali, buste paga e conteggi prodotti) avrebbero consentito una quantificazione precisa, eventualmente anche mediante l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio. Sotto altro profilo deduce che la Corte territoriale non ha indicato il processo logico attraverso il quale è pervenuto alla liquidazione della somma spettante al lavoratore.
Il motivo è infondato.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 6 maggio 2009 n. 10401; Cass. 7 gennaio 2009 n. 50) nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall’art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato dal giudice del merito soltanto nell’ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell’esercizio di tale potere discrezionale il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur, indicando i criteri oggettivi assunti a base del procedimento valutativo.
La sentenza impugnata ha correttamente applicato i suddetti principi. Il ricorso alla liquidazione equitativa dell’ammontare dovuto al lavoratore è stato pienamente giustificato, con motivazione adeguata e priva di vizi logici. La Corte territoriale ha infatti osservato che pur essendo stato accertato il diritto dello S. ad ottenere differenze retributive, la liquidazione equitativa era stata imposta dalla impossibilità di determinare con certezza l’esatta quantità della prestazione lavorativa resa dallo stesso nel corso dell’intero rapporto di lavoro; ciò in quanto, in particolare, i testi escussi in prime cure non avevano fornito dati univoci sull’orario di lavoro osservato.
Analogamente la sentenza impugnata è rispettosa dei principi sopra enunciati anche per quanto riguarda la determinazione equitativa del quantum debeatur. Ed infatti la sentenza indica, quali criteri oggettivi posti a base della determinazione suddetta, la natura e la durata del rapporto di lavoro, le mansioni in concreto espletata e la retribuzione percepita.
Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso- condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3000 (tremila) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 ottobre 2011.
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